Poche regioni d’Europa, come purtroppo la Calabria, hanno visto mettere in serio pericolo nel giro di pochi decenni i cardini portanti del moderno Stato di Diritto. Sarà per la diffusa illegalità che sembra non arretrare di un metro neanche innanzi ai poteri coercitivi dello Stato;sarà per l’atavica non ricchezza economica che connota questa terra, nella quale -è bene sottolinearlo- sembra però non mancare proprio nulla! E sarà anche per una sorta di drammatica rassegnazione, ma se oggi proviamo a guardare la Calabria attraverso le lenti del principio di legalità, ci accorgiamo da quante emergenze sia connotata la vita democratica e civile della pur sempre affascinante penisola calabrese. Regione d’Europa che -a dir il vero- ha incantato e continua a farlo intere generazioni di visitatori, per come mi è capitato di sottolineare in diversi scritti come in pubblici interventi: ma questa è un’altra storia, purtroppo.
La nostra, quella che interessa le riflessioni che seguono, deve necessariamente seguire un altro canale, di carattere storico-tipologico, ovvero partire proprio dalle fondamenta dello Stato moderno, con il quale “generalmente s’intende -sulla scia di Max Weber- una forma storicamente determinata di organizzazione del potere o delle strutture dell’autorità, contrassegnata dal fatto che una sola istanza, quella statuale appunto, detiene il monopolio legittimo della costrizione fisica”. (1
Insomma, parlando di Stato nella moderna concezione europea occidentale, ovvero dello Stato di democrazia classica, non può non emergere come esso sia latore delle fondamenta della civile convivenza, comprendente -appunto- anche l’uso della forza interna ed esterna, diretta ad assicurare il minimo di pace sia tra i suoi confini che nei confronti degli altri Stati confinanti. Partendo da questa piccolissima nozione, così finemente riportata nell’affermazione del noto politologo di scuola bolognese, da oltre trecento anni la storia d’Europa si è caratterizzata per aspetti e nozioni che hanno diversificato lo Stato Moderno da tutta una lunga teoria di altre forme che, pur avvicinandosi ad esso, non ne integravano appieno i contenuti: la Polis greca, la Res Publica romana, il sistema feudale e così via. Insomma, è Stato quella realtà politico-sociale che detiene, unicamente, il potere di costrizione fisica: in questo momento storico, quando si afferma questa nozione, nasce l’idea di Stato Moderno e si abbandonano tutte le altre forme associative che avevano caratterizzato la storia del Vecchio Continente. Siamo già al nodo cruciale: il lettore, anche più distratto, si renderà facilmente conto che, a dispetto dell’età contemporanea, oggi in alcune aree geografiche della nostra Penisola, la “costrizione fisica” non è più monopolio legittimo dello Stato, al quale si sono aggiunte -quando non proprio sostituite- altre organizzazioni che non hanno assolutamente la connotazione di Stato. Il nostro Paese ha già duramente attraversato la terribile stagione dell’eversione che tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘90 ha marcato di “rosso sangue” le strade di città più o meno grandi, con un trasversalismo che non ha risparmiato idee politiche, vittime sacrificali, realtà geografiche. Gli “anni di piombo” sono stati proprio il risultato, sanguinoso e violento, di quest’aberrante rivoluzione costituzionale, con lo Stato -appunto- non più in “possesso” del suo antico monopolio fatto di potere di costrizione fisica. Negli anni, il nostro Stato costituzionale (rectius: la dottrina e la giurisprudenza) ha elaborato l’antica nozione di “ordine pubblico” al punto che “la presenza dell’espressione “ordine pubblico” in diversi settori dell’ordinamento, la sua previsione in corpi normativi assiologicamente fondati in direzioni confliggenti, la sua straordinaria efficacia evocativa, la polisemia propria del concetto di ordine e la relatività storica della sua qualificazione in senso pubblico, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere la nozione in oggetto tra le più inquisite sotto il profilo della determinatezza e non solo all’interno di questo ordinamento”. (2
Sono bastate queste poche nozioni più spiccatamente giuridiche per rendere attuale il problema della sicurezza e riportarlo nell’alveo delle nostre riflessioni contemporanee, nelle quali non può non esistere anche un problema più semplicemente pratico. Cosa che capitò nel nostro Paese, appunto, “quando tra la metà degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta, per affrontare intense ed allarmanti forme di criminalità politica e comune, il legislatore ha fatto ricorso allo schema della difesa dell’ordine pubblico, operando scelte di politica criminale chiaramente ispirate al perseguimento di finalità di deterrenza, molto problematiche, sotto il profilo della compatibilità con i principi normativi fondamentali di riferimento”. (3
Ebbene: ci riferiamo alla lunga stagione dell’emergenza, drammaticamente presente nella nostra storia repubblicana come dimostra il successo di flash-back televisivi (4 che grazie alla meticolosa ricostruzione storico-sociale, riescono a non far cadere nell’oblìo uomini, idee, sacrifici.
Tutta questa visione giuridica, fortemente ancorata ai principi dello Stato di Diritto, vede la sua esplicazione nella vigenza di un principio di legalità che permea l’intero nostro ordinamento sin dall’avvento a seguito della Rivoluzione francese: questo principio “(…) esprime l’esigenza del rispetto del diritto positivo: legalità s’identifica con certezza del diritto, principio di legalità s’identifica con sicurezza del traffico, con stabilità del diritto, con l’ordine;è funzionalmente collegato ai valori dell’ordinamento e va valutato secondo un giudizio di congruità e di adeguatezza alle scelte di fondo anche istituzionali del sistema giuridico al quale appartiene”. (5
Non sarà mai inutile o tempo sprecato ricordare come il nostro ordinamento giuridico risponda a quel complesso di norme superiori che è la Costituzione nel suo complesso, in cui il valore della legalità -giustamente definita costituzionale- si esplica appieno soprattutto nella sua Prima Parte: solo in questo modo è possibile “pensare ad uno sviluppo e ad una naturale integrazione di quel programma dello Stato di Diritto che porta a compimento il processo di sottomissione al diritto di tutte le funzioni ordinarie dello Stato, compresa la legislazione. Si potrebbe, quindi, supporre che si sia realizzata appieno l’ideale del <>in luogo del <>e che ha costituito il principio fondativo dello Stato di diritto”. (6
Sarebbe troppo lungo ed arduo per l’economia della presente riflessione ripercorrere l’intera vicenda dello Stato costituzionale di diritto: su un dato -credo- non possiamo non trovarci d’accordo e cioè che il complesso delle norme su cui si fonda la nostra comunità politica sia stato giustamente disegnato proprio allo scopo di permettere ai consociati di vivere secondo regole che assicurassero non tanto quella “pace perpetua” di kantiana memoria, quanto almeno- le più elementari norme di comportamento del vivere sociale: liberta, sicurezza, valori. In questa direzione non può che essere accolta quella linea dottrinale che -guardando anche oltre i nostri confini nazionali- aspira alla creazione di una “nuova cittadinanza”, nel tentativo di “amalgamare culture e tradizioni di Paesi diversi che per secoli hanno combattuto guerre sanguinose, per poter affermare la propria supremazia sull’altro e che hanno dato vita, impersonificandolo, allo stesso Stato sovrano e nazionale. In questo senso, l’integrazione europea rappresenta una sfida per le costituzioni nazionali ed i popoli d’Europa che dovranno trasformarsi nel populus di una nuova comunità politica(…)”. (7 Anche nel solco della sicurezza comune, nazionale e regionale!
Nota bibliografica:
Il Tetto - n. 274 - Anno XLVI Novembre-Dicembre 2009 Egidio Lorito