Baldini&Castoldi, Milano 2013, pp.347, € 19.90

“Ho sempre creduto che per comprendere il presente e pensare il futuro fosse necessario avere somma consapevolezza del tempo passato. Di quel tempo che diventa Storia e forgia inevitabilmente l’essere umano costituendone la sua stessa natura. Noi siamo la nostra storia e noi siamo la nostra formazione. E per formazione intendo tutti quegli aspetti, culturali, educativi, naturali, empirici, i condizionamenti esterni, gli esempi, le tradizioni, in una parola l’ambiente, nel quale siamo da sempre immersi e dal quale, per qualsiasi essere vivente, è impossibile evadere (…)”.    

Vincenzo Pepe è il vulcanico interprete del nuovo ambientalismo italiano: ricercatore, docente di Diritto costituzionale comparato e di Diritto dell’ambiente italiano e comparato presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, insieme a oltre 100 docenti universitari ha fondato il Movimento Ecologista Europeo “FareAmbiente”  che oggi conta più di 150.000 iscritti ed è presente in tutte le regioni italiane e in diversi Paesi europei: autore di numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue a sostegno dell’ambientalismo realista e responsabile di tipo europeo, Pepe è presidente della “Fondazione Giambattista Vico” e ideatore delle “Oasi di Filosofia”, luoghi di eccellenza dove la cultura a trecentosessanta gradi si sposa con paesaggio ed ambiente. Impegnato in Italia per l’energia nucleare come fonte pulita e sicura, è balzato agli onori della cronaca come uno dei leader dei Comitati del No al referendum per l’abrogazione della legge che reintroduce in Italia il nucleare: e così, sulla delicata materia, Pepe incide con una nuova pubblicazione che sicuramente scuoterà un ambiente culturale ed ideologico fermo, in Italia, a qualche decennio addietro. Un prologo, dodici capitoli, un finale -anche se l’Autore tiene a sottolineare che non si tratta di ciò: “(…) Non può esserlo per il semplice motivo che si tratta, caso mai, di un inizio (…)”- danno ora conto di un messaggio ambientalista che l’autore vuole considerare del tutto innovativo: una forza che si esprime anche attraverso il movimento “FareAmbiente” che Pepe presiede con l’impegno non certo del politico navigato, quanto del ricercatore, dello scienziato che ben conosce la materia, senza dimenticare richiami personali, affetti, ricordi, impressioni che fanno, di questa ricerca, un’appassionata traversata del pianeta ambiente. Parte da lontano, per gettare le basi di una nuova prospettiva: “(…) la completa valorizzazione di questo “ambitus” è il mio obiettivo di ricercatore, di studioso, di persona votata a una passione civile. Mi soffermerò in più occasioni sui significati e sul valore del termine ambiente, ma un discorso responsabile sul dovere complessivo che dobbiamo ai luoghi che abitiamo, o sulle fonti energetiche, sull’energia nucleare e sugli scenari futuribili del nostro sviluppo che qui mi propongo, non può sottrarsi dall’affermare che l’Ambitus umano è qualcosa di estremamente prezioso (…)”. In effetti, che di innovativo piano di lavoro, di nuova strategia, di inversione di tendenza si tratti, lo si coglie sin dalle primissime battute, allorquando Pepe getta le basi del proprio progetto: “(…) Non condivido l’accezione che auspica la difesa dell’ambiente come qualcosa che si riduca o ponga in primo piano la salvaguardia di una foresta, la purezza delle acque o la salubrità dell’aria che respiriamo. Sono questi obiettivi importanti, senza dubbio nobili e necessari, ma pur tuttavia generici, che facilmente possono scivolare nell’astrazione e, infine, non sufficienti per raggiungere una consapevolezza più alta del nostro stare al mondo (…)”.  L’incontro dell’Autore con Hans-Georg Gadamer (1900-2002) -il grande filosofo tedesco, allievo di Paul Natorp e di Martin Heidegger, considerato uno dei maggiori esponenti dell’ermeneutica filosofica, grazie alla sua opera più significativa, “Verità e metodo”- rimane non solo un ricordo personalissimo, ma soprattutto il momento della svolta, di questo cambio di prospettiva così tanto auspicato: “(…) chiesi, forse anche ingenuamente, cosa mai potesse essere l’ambiente (…) stette in silenzio per qualche istante, sembrava che i  suoi occhi andassero  a cercare altrove la risposta, finché dì improvviso quasi proruppe e con tono risolutorio ma affabile, mi rispose. “L’ambiente è la libertà. E la libertà è la responsabilità (…)”.
Filosofia a piene mani, dunque, nelle basi scientifico-culturali di un giurista, non foss’altro che l’area da cui proviene il nostro Autore, la Campania, la cela nelle pieghe più intime della propria connotazione genetica: come nel caso del pensiero di Giambattista Vico, al quale Pepe chiede il simbolico soccorso per un “(…) modello di una società che si fonda e cresce sulle basi di una civiltà razionale, nella quale la storia non può ridursi a uno snocciolarsi di date ed eventi, crudelmente messi lì in ordine semplicemente cronologico (…)”. Ecco, allora, il senso nella costituzione della Fondazione Giambattista Vico, “(…) che desse slancio e visibilità alla cultura, alla formazione, alle scienze e alla valorizzazione delle splendide realtà paesaggistiche, storiche ed artistiche della mia terra (…), un orizzonte di teorie, di pensiero e di attività che ho condiviso assieme ai miei amici Elena Croce, figlia di Benedetto Croce, e a Gerardo Marotta, presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, figura emblematica di quelle radici morali e teoriche di cui vado orgoglioso (…)”.  E proprio evidenziando gli aspetti più intimi, personali oltre che scientifici del percorso culturale di Pepe, si potrà cogliere il senso della sua nuova prospettiva ambientalista, del tutto sganciata dai classici ed abituali canoni cui un certo ambientalismo, ideologico e partitico, ci aveva sin’ora abituato: l’Autore parla, senza indugio, “(…) dell’etica dei comportamenti che va a sovrapporsi alla responsabilità delle scelte. La stagione dei no preventivi alla ricerca, alle scienze, alle innovazioni tecnologiche, scadente sottoprodotto di molto ambientalismo nostrano, mi pare abbia fatto il suo tempo (…)”.      
Da queste basi culturali, dunque, prende le mosse la ricerca che Vincenzo Pepe consegna ora al pubblico dei lettori, passando in rassegna la nascita del movimento “FareAmbiente” insieme al lungo dibattito in materia di nucleare, tra il 2007 -vent’anni esatti “(…) dal referendum che nel 1987 sancì l’abbandono delle tecnologie nucleari da parte dell’Italia (…)”- e la chiamata referendaria del 2011 che “(…) ha decretato che se da un verso i combustibili fossili rimangono la nostra principale e quasi esclusiva fonte di approvvigionamento energetico, d’altro canto sarà inevitabile rimettere mano all’intera questione energetica in futuro (…)”; disquisendo di nucleare come “tecnologia complessa”, tra accettabilità e sostenibilità del rischio, di energia come democrazia, di “idee e uomini che cambiano la storia”, con i forti richiami ad Enrico Mattei, a Felice Ippolito -ideatore del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare- a John Fitzgerald Kennedy, a Mauro De Mauro , a Pier Paolo Pasolini, a Nicolas Tesla, a Ettore Majorana: ciascuno importante nella formazione dell’Autore e nello svolgersi delle vicende che fanno da trama al testo. Sino alla drammatica uccisione di Angelo Vassallo, coraggioso Sindaco di Pollica, comune del salernitano a due passi dai luoghi nativi dello stesso Pepe: “(…) Più volte lo avevo invitato a partecipare e sempre, dopo la chiusura dei lavori, continuavamo a parlare dei problemi e della realtà della nostra terra (…)”.            
Sino, infine, a riflettere su quanto facciano paura le novità, su come orientarsi nel vasto scenario delle fonti rinnovabili e su come affrontare le “nuove frontiere”, rimanendo ben saldi sugli “antichi doveri”.     
Una ricerca che serve ad orientarsi nel vasto, complicato e sin troppo ideologizzato mondo della tutela dell’ambiente, nel quale Pepe auspica una svolta: “(…) Così come negli anni Sessanta ci si rese, giustamente, conto che era arrivato il momento di dare vita e forza alla difesa della natura, delle specie degli animali, della biodiversità, che bisognava avere consapevolezza del nostro sviluppo, allo stesso modo oggi è indispensabile un’evoluzione generale di quel pensiero. (…) Il tempo delle battaglie dure e pure è passato, semmai serve una nuova sensibilità, nuove istituzioni, nuove politiche di buon governo, perché l’insieme in gioco si chiama qualità della vita (…)”.  Occorrerebbe, finalmente, riuscire a far dialogare visioni, ideologie, modi di concepire la tutela dell’ambiente, aspetti -questi- rimasti divisi per un tempo sin troppo lungo:  operazione difficile, soprattutto quando i cambiamenti riguardano il territorio più prossimo all’uscio di casa nostra, per il quale ogni minimo mutamento genera allarme, preoccupazione, protesta, scontro. Come dire: Not in my back yard, non nel mio giardino, dunque…     

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