Alla fine degli anni ’90, all’interno dell’allora Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica dell’Università della Calabria, vide la luce l’”Osservatorio per lo studio dei Processi Culturali e della Vita Quotidiana”, cui venne dato il nome esotico e ben augurante di “Ossidiana”. Quella struttura, che mutuava il nome da quello di una pietra lavica ben nota sin dall’antichità per le sue caratteristiche di duttilità, venne “pensata e costruita” -si scrisse- “come uno spazio aperto e vivace di incontro, confronto e discussione, di analisi, riflessione e ricerca su tematiche che, sin dall’inizio, sono state attinenti alla cultura e alla vita quotidiana, alla memoria, alla teoria sociale, alla comunicazione, ai media e ai consumi culturali, e che, più recentemente, hanno incluso anche le migrazioni, la sfera pubblica, gli studi culturali e gli studi postcoloniali.
Nel suo primo decennio di attività, l’Osservatorio è stato promotore di numerose presentazioni di volumi, cui hanno solitamente partecipato gli autori; di seminari che hanno visto il coinvolgimento di accademici di altri atenei nazionali e internazionali; e ha realizzato indagini e ricerche che hanno privilegiato metodi sia qualitativi sia quantitativi. Molti dei seminari sono stati organizzati in collaborazione con la sezione Vita Quotidiana dell’Associazione Italiana di Sociologia; in altre occasioni, invece, la collaborazione ha privilegiato la Facoltà di Scienze Politiche e/o il dottorato in Politica, Società e Cultura dell’Università della Calabria.
Attualmente, l’evento che si svolge con maggiore regolarità è una conversazione di gruppo, a cadenza mensile, intorno a volumi di recente pubblicazione o a stesure e ricerche in corso.
Le attività di Ossidiana, pensate collegialmente dal gruppo di dottorandi, dottori di ricerca e docenti che anima da più lungo tempo l’Osservatorio, sono rivolte innanzitutto agli studenti, ai tesisti e ai dottorandi, ai ricercatori e ai docenti del Dipartimento, ma sono altresì aperte a chiunque si sente in sintonia con i temi ed è sensibile al confronto intellettuale”.
Direttore dell’Osservatorio è il sociologo Paolo Jedlowski, milanese di nascita che, dopo gli studi in Filosofia presso l’Ateneo di Via Festa del Perdono, ha intrapreso studi di Sociologia in Italia e negli Stati Uniti: attualmente è ordinario di Sociologia all'Università della Calabria, dove ha insegnato anche dal 1992 al 2004; precedentemente ha insegnato presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di Sociologia della comunicazione all'Università della Svizzera italiana.
Gli interessi scientifici di Jedlowski spaziano dalla sociologia della cultura alla teoria sociale, dalla sociologia della vita quotidiana alla storia della sociologia: già coordinatore nazionale della sezione "Vita quotidiana" dell’Associazione italiana di sociologia (AIS), ha pubblicato volumi sulla memoria collettiva e sull’esperienza contemporanea e ricerche sulla comunicazione nella vita quotidiana, oltre a testi di sociologia generale: si ricordano Il racconto come dimora. Heimat e le memorie d'Europa (Bollati Boringhieri, 2009), Un giorno dopo l'altro. La vita quotidiana fra esperienza e routine (Il Mulino, 2005), Sociologia della vita quotidiana, con Carmen Leccardi (Il Mulino, 2003), Fogli nella valigia. Sociologia e cultura (Il Mulino, 2003), Memoria, esperienza e modernità (Franco Angeli, 2002, nuova ediz. rivista 1994), Pagine di sociologia (a cura di, Carocci, 2002), Sociologia (con F. Crespi e L. Rauty, Laterza, 2000), Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana (Bruno Mondadori, 2000), Il mondo in questione. Introduzione alla storia del pensiero sociologico(Carocci, 1998, nuova ediz. rivista 2009), Il sapere dell'esperienza (Il Saggiatore, 1994, nuova ediz. rivista Carocci, 2008), In un passaggio d'epoca. Esercizi di teoria sociale (Orthotes Editrice, 2012). Anche il teatro lo ha visto impegnato con la piece Smemoraz, messa in scena dal Teatro dell'Angolo di Torino. Oltre all’edizione di alcuni classici della sociologia come Maurice Halbwachs, Peter Berger, Georg Simmel e Alfred Schutz, ha curato un dizionario delle scienze sociali e ha pubblicato due manuali di storia del pensiero sociologico. Ad affiancare il sociologo lombardo-calabrese, un pool di giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria, riuniti attorno ad un comitato scientifico che fa capo ad Olimpia Affuso, assegnista di ricerca in Sociologia e responsabile redazionale, Sonia Floriani, ricercatrice in Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Teresa Grande, ricercatrice in Sociologia generale, Ercole Giap Parini , ricercatore in Sociologia generale e Giuseppina Pellegrino, ricercatrice in Sociologia dei processi culturali e comunicativi.
La collana è impreziosita da volumi quali Sfera pubblica. Il concetto e i suoi luoghi (a cura di Paolo Jedlowski e Olimpia Affuso), Luigi Pellegrini Editore 2010, con scritti di Olimpia Affuso, Gabriele Balbi, Carmelo Buscema, Giuseppe Civile, Simona Isabella, Paolo Jedlowski, Antonio Tursi e Francesca Veltri; Incontri tra le righe. Letterature e scienze sociali (a cura di Renate Siebert e Sonia Floriani) Luigi Pellegrini Editore 2010, con scritti di Paolo Jedlowski, Massimo Cerulo, Attilio Scuderi, Renate Siebert, Raya Cohen, Livia Apa, Ercole Giap Parini e Sonia Floriani; La danza dei caffè. L’interazione faccia a faccia in tre luoghi pubblici, di Massimo Cerulo, Luigi Pellegrini Editore 2011.
Intrigante e quanto mai attuale, il concetto di sfera pubblica si è fatto strada tra gli studiosi delle discipline sociali e, particolarmente, tra i sociologi della comunicazione e della cultura, per il semplice motivo di rappresentare, nella moderna società della comunicazione, il luogo ideale in cui incontrasi -e scontrarsi…- far sentire il proprio pensiero, manifestare piacimento o avversione nei confronti di una tematica o di argomenti sempre più caratterizzati da pubblicità e generalità. In questa direzione, Jedlowski nota come “(…)” la sfera pubblica, in sé, non è un luogo: è una rete di discorsi e di discorsi di un certo tipo. Approssimativamente, si tratta di discorsi che sono svolti in pubblico (non tutti i discorsi lo sono) e che riguardano questioni che un certo insieme di persone ritiene di rilevanza collettiva (…). Tali discorsi disegnano uno spazio sociale caratterizzato da una certa struttura: vi è chi è incluso e chi no, chi ha posizioni privilegiate e chi dispone di una voce più debole; i discorsi circolano in una direzione ma possono non circolare in un’altra: e così via. Questo spazio sociale non corrisponde necessariamente a uno spazio fisico (si può conversare a distanza; e per converso chi è fisicamente vicino può essere socialmente distante e dunque, non parlarsi per nulla). Tuttavia, è pur vero che questi discorsi hanno bisogno di qualche posto in cui manifestarsi. Può trattarsi di luoghi concreti, come un caffè, una piazza o una sala di riunioni; oppure di luoghi virtuali come lo schermo di un televisore o un sito internet (…)”. L’analisi parte dal concetto elaborato da Jurgen Habermas nel 1962, all’interno della propria tesi di docenza, ovvero quel celebre Storia e critica dell’opinione pubblica apparso in Italia nel 1971 e destinato a divenire un testo di largo successo ed analisi, grazie al quale -come ricorda Olimpia Affuso nel suo contributo- “(…) Habermas sviluppa un concetto normativo di sfera pubblica sulla base di una ricostruzione storica che arriva ad evidenziare il degrado nella società contemporanea (…). In questa prospettiva, la sfera pubblica è uno strumento di <<dissoluzione discorsiva del potere>>: nelle democrazie moderne, il potere fondato sulla tradizione o sulla consuetudine viene ad essere sostituito da un vaglio argomentativo che diventa l’unico modo accettato di conferire legittimità al potere stesso (…)”.
A rendere la ricerca attuale per la nostra particolare contemporaneità mediatica, l’incursione tra i mezzi di comunicazione di ultimissima generazione: partendo proprio da quanto evidenziato da Simona Isabella -dottore di ricerca presso il Dipartimento e, attualmente, borsista post-doc presso il Dipartimento di Ricerche Economiche e Sociali dell’Università di Cagliari- secondo cui “(…) negli ultimi decenni, però, i nuovi media hanno contribuito a radicalizzare la tendenza a mettere in scena la dimensione privata dell’esistenza: e hanno favorito un definitivo cambio di prospettiva: la sfera intima sia dei personaggi che popolano i media sia, sempre negli ultimi anni, dei fruitori stessi è diventata uno dei messaggi principali veicolati dai mezzi di comunicazione (…)”. L’attenzione della ricercatrice si è puntata, soprattutto, sui c.d. siti di Social network, particolarmente efficaci a a soddisfare “(…) una crescente esigenza di raccontare di sé (…)”, al fine di realizzare “(…) delle vere e proprie <<presentazioni del sé in pubblico>> per dirla in termini goffmaniani (1959), in cui si tiene conto rigorosamente di ciò che si vuol fare vedere e di ciò che invece si vuole mantenere nel retroscena. La selezione della foto da inserire nel profilo così come la scelta degli argomenti trattati negli aggiornamenti, le citazioni, i video e le canzoni pubblicate e condivise, fanno tutte parte della costruzione di quella sorta di <<vetrina sociale>> in cui l’individuo si presenta al suo pubblico, attendendo da questo anche una reazione (…)”.
Altamente evocativo e suggestivo, poi, il tema della costante analisi comparata di letteratura e scienze sociali: veri e propri “incontri tra le righe” che, a detta di Renate Siebert -già Ordinario di Sociologia Generale nello stesso Ateneo- e di Sonia Floriani impongono quasi “(…) un dialogo fra studiosi di letteratura, di storia e di sociologia, nella convinzione che la questione sia di fondamentale importanza ai fini degli studi e della crescita dei vari campi disciplinari (…)”. In particolare, Sonia Floriani ha insistito nel sottolineare come “(…) la frequentazione con la letteratura può consentire alla sociologia di prendere meglio coscienza delle trame complesse e delle contraddizioni dell’esistenza, della molteplicità di tipi umani e di eventi, e, così, essere indotta a moltiplicare le questioni intorno a cui interrogarsi e riflettere (…)”. Questa singolare prospettiva di analisi e ricerca -l’incontro tra letteratura e scienze sociali!- è stata stimolata da Paolo Jedlowski che ha preso spunto da un’intervista di un sociologo ed intellettuale francese del calibro di Pierre Bourdieau (1930-2002) che ha sostenuto come “(…) la letteratura, contro la quale molti sociologi della prima ora, ma anche di oggi, hanno creduto e credono di dovere affermare la scientificità della loro disciplina (…) sia per più versi in anticipo sulle scienze sociali e soprattutto racchiuda tutto un tesoro di problemi fondamentali (…) che i sociologi dovrebbero tentare di prendere in esame, invece di prendere ostentatamente le distanze da forme di espressione e di pensiero che ritengono compromettenti (..)”. Non due mondi separati, non due settori di studio e ricerca a camera stagna: al contrario, sempre secondo Jedlowski, “(…) frequentando la letteratura, il sociologo -come chiunque altro- amplia la sua visione del mondo, affina la sua conoscenza della varietà dei tipi umani, dei motivi che possono spingere a un’azione o a un’altra (…)”. Tra i più incisivi assertori di questa linea evolutiva della moderna ricerca sociologia, Ercole Giap Parini -ricercatore di Sociologia generale ed esperto di Sociologia della devianza- ha posto in risalto come, grazie a tali nuove “alleanze”, “(…) il sociologo, l’antropologo, lo storico, lo studioso del diritto, così sensibili ad ogni strumento che permetta di interpretare la realtà sociale, hanno di che riflettere (…). In particolare Parini -che proprio dal corrente Anno accademico terrà un innovativo insegnamento come “Criminalità, legalità e territorio”- aveva già indicato come fosse possibile “costruire immagini sociologiche con le immagini della letteratura”, prendendo a modello il caso editoriale -ed in questo senso letterario e sociologico- di “Gomorra”, “(…) un libro e una vicenda che sono diventate anche una sorta di valvola di sfogo di un Paese che ripiegato civilmente su sé stesso, ha bisogno di eroi (…)”.
Partendo da una felice linea di riflessione di Jedlowski sul tema dei c.d. “luoghi terzi” - “(…) si tratta di spazi intermedi tra l’ambito familiare e quello professionale: caffè, bar, osterie, ma anche negozi di parrucchieri, mercati, piazze e altri luoghi, la cui caratteristica saliente è di essere spazi aperti a una socialità informale, al cui interno i cittadini hanno modo di impegnarsi in conversazioni spontanee sugli argomenti più vari (…)”- nata in America, a metà degli anni ’80, grazie al sociologo Raymond Oldenburg ed al suo “Celebrating the Third Place”- Massimo Cerulo, Ricercatore in Sociologia già in forza all’ateneo calabrese ed oggi docente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino, non esita nel definire “il caffè” “(…) come luogo terzo, ossia come uno spazio interstiziale tra quello intimo-familiare e quello pubblico-professionale. Un luogo terzo è una terra di mezzo in cui tutti, con tempi e modalità differenti, transitiamo nella nostra quotidianità (…), spazi che potremmo definire a metà tra l’ambito privato e quello pubblico, in cui s’incontrano altre persone, si discute, si ottengono informazioni, si sbrigano faccende personali, domestiche, familiari o professionali. Insomma, luoghi in cui si interagisce (…)”. La particolarità della ricerca di Cerulo sta tutta nel tipo di tecnica utilizzata, quella ben nota della c.d. osservazione partecipante, che gli ha permesso di frequentare per ben tre mesi, nella doppia di veste di cliente e di sociologo, tre noti caffè situati nell’area urbana di Cosenza: “(…) dalla fine del Seicento fino al Duemila, i caffè sono stati vissuti come ambiti di socievolezza, palestre di virtù civiche, luoghi pubblici per eccellenza, in cui avere relazioni a prescindere dai legami di ceto, corporazione casa o famiglia; centri di comunicazione commerciale e spazi di giornalismo e letteratura; luoghi “del dibattito intellettuale e del pettegolezzo” , aree di libertà e di liberi incontri, “vettori principali di formazione dell’opinione pubblica e di aggregazione politica. Siamo, insomma, di fronte a luoghi multifunzione e polimorfi, in cui prendono vita diverse pratiche sociali (tra), tra socievolezza, sfera pubblica e capitale sociale (…)”.
Una collana editoriale, dunque, al passo con i tempi: quelli della ricerca scientifica e della vita sociale, grazie al costante dialogo tra i diversi attori che si affacciano, quotidianamente, sul palcoscenico della contemporaneità, sempre più bisognosa di “(…) descrizione e comprensione dei processi di mutamento che attraversano la vita quotidiana degli uomini e delle donne che vivono oggi nel Mediterraneo e in Europa”.
La lezione della storia. Sul futuro dell’Italia e le prospettive dell’Europa
Prefazione di Michele Valensise
Marsilio Editori, Venezia 2013, pp. 253, € 16.00