Bompiani, Milano 2013, pp.262, € 9.00

Forse la migliore recensione, la critica più efficace l’ha redatta quel lettore che su “Amazon.fr” ha sentenziato, seccamente come “l’Utilità dell’inutile” fosse “un libro da leggere e rileggere senza moderazione”. E così a cinquantacinque anni, aspetto molto giovanile, cordiale e disponibile, Nuccio Ordine sa bene di essere considerato uno dei filosofi contemporanei più tradotti, letti, recensiti e -sicuramente- influenti: uno con un curriculum da fare invidia ai grandi del pensiero contemporaneo, con traduzioni sin’anche in cinese, giapponese e russo.

E, soprattutto, uno che dalla sua terra, la Calabria, di strada ne ha compiuta tanta, senza -alla fine- allontanarsene per niente. Infatti, nonostante ”frequenti” l’Harvard University Center for Italian Reinassance Studies, negli Stati Uniti e la Alexander von Humbolt Stiftung, in Germania, in qualità di fellow, cioè di ricercatore-docente esterno, e sia stato invitato in qualità di visiting professor in alcune prestigiose università ed istituti di ricerca, in America (Yale, New York University), in Francia (Ecole in Haute Studies in Sciences Sociales, Ecole Normale Superiéure, Paris-IV Sorbonne, Centre d’Etudes Superiéure de la Reinassance di Tours, Institut de Etudes Avances di Parigi) in Inghilterra (Warburg Institute di Londra) in Germania Max Planck di Berlino), Nuccio Ordine vanta strenuamente le proprie radici calabresi non solo per nascita ma soprattutto per la provenienza accademica. Anni fa, intervistandolo, non aveva affatto nascosto questo particolare:“La mia prima tappa è stata all’Università della Calabria: esperienza significativa, visto che per la prima volta noi calabresi avevamo la possibilità di studiare direttamente nella nostra terra, senza dover emigrare al nord o nelle storiche facoltà meridionali;la nascita di quest’Ateneo ha inciso molto nelle coscienze di noi giovani, considerato che ci veniva offerta l’opportunità di ritrovarci tutti assieme in un campus, esperienza del tutto innovativa in Calabria dove per l’assenza di fabbriche e di altre opportunità di aggregazione, l’Università ha subito rappresentato il centro di questa nuova fase.Nel Dipartimento di Filologia ebbi la fortuna di incontrare Giulio Ferroni, Dante Della Terza, Alfonso Berardinelli, Costanzo Di Girolamo, Ivano Paccagnella: un gruppo di agguerriti docenti con nuove idee che mi fecero appassionare allo studio della letteratura, amplificando una passione che già al Liceo mi era esplosa: fu all’epoca che capii che il rapporto tra la letteratura e la vita non era solo di ordine culturale (…)”.  E così, questo nuovo successo editoriale che Bompiani presenta come versione accresciuta e rivista della prima edizione francese, “L’utilité de l’inutile” (Paris, Le Belles Lettres, 2013) è diventato un caso editoriale, filosofico, letterario, sociologico. Insomma culturale, perché affronta i grandi temi della conoscenza mondiale con la semplicità che è necessario assicurare quando ci si rivolge al grande pubblico, si tratti sia di quello che affolla le aule universitarie o di quello che rimane incollato a trasmissioni nazional-popolari -nel senso sociologico del termine!- e non solo quando ci si rivolga ad un cenacolo di intellettuali. Affrontando direttamente uno di quei temi di assoluta praticità nella vita quotidiana: “L’ossimoro evocato dal titolo L’Utilità dell’inutile merita un chiarimento. La paradossale utilità di cui parlo non è la stessa in nome della quale i saperi umanistici e, più in generale, tutti i saperi che non producono profitto vengono considerati inutili. In un’accezione molto più universale, ho voluto mettere al centro delle mie riflessioni l’idea di utilità di quei saperi il cui valore essenziale è completamente libero da qualsiasi finalità utilitaristica. Esistono saperi fine a se stessi che -proprio per la loro natura gratuita e disinteressata, lontana da ogni vincolo pratico e commerciale- possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità. All’interno di questo contesto, considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori (…)”.
Non è un caso che nell’Introduzione l’Autore scomodi un monumento della filosofia mondiale come Pierre Hadot, per il qualela filosofia è nata, nell’antichità greca, proprio come “stile di vita”, come saggezza intesa quale “saper vivere”. Del filosofo di Reims, Ordine riporta un passo dei celebri Exercices spirituels et philosophie antique secondo cui “il ruolo della filosofia è proprio quello di rivelare agli uomini l’utilità dell’inutile o, se si vuole, di insegnare loro a distinguere tra i due sensi della parola utile“.                      
E così, un’introduzione, tre parti, una bibliografia che abbraccia i simboli della cultura mondiale di ogni tempo e l’appendice che reca un saggio di Abraham Flexner -celebre educatore statunitense che contribuì attivamente a riformare l'educazione medica, tra i fondatori del prestigioso Institute for Advanced Study di Princeton- fanno delle pagine di Ordine un godibilissimo testo quanto mai attuale ed utile proprio nell’attuale fase sociale, nella quale tra difficoltà di ogni sorta, pensiamo faccia proprio bene avere tra le mani una vera guida per la sopravvivenza civile: che è, al tempo stesso, morale e sociale, politica ed economica. Culturale, insomma, nel senso di appartenente alla nostra epoca, pur piantandosi forte nella storia del pensiero filosofico globale.
Una guida? Un cartaceo navigatore satellitare? Un documento programmatico per un movimento o forse anche per una corrente politica, artistica o religiosa: insomma, un “manifesto”? Potrebbe esserlo, d'altronde il termine campeggia sulla copertina: sorge un dubbio, che l’Autore stesso contribuisce ben presto a dissipare: “(…) le pagine che seguono non hanno nessuna pretesa di formare un testo organico. Riflettono la frammentarietà che le ha ispirate. Perciò anche il sottotitolo -Manifesto- potrebbe sembrare sproporzionato e ambizioso se non fosse giustificato dallo spirito militante che ha costantemente animato questo mio lavoro. Ho voluto solo raccogliere, all’interno di un contenitore aperto, citazioni e pensieri collezionati in tanti anni di insegnamento e ricerca. E l’ho fatto nella più totale libertà, senza alcun vincolo e con la coscienza di aver solo abbozzato un ritratto incompleto e parziale (…)”.
Sta tutto qui il senso di questo nuovo contributo di Nuccio Ordine alla storia del pensiero contemporaneo, alla cultura nelle sue mille sfaccettature: voler dare, semplicemente, gli strumenti per orientarsi nell’intricato mondo attuale, complicato più che mai anche dalla stessa invadenza di mezzi di comunicazione sempre più invadenti e da un “pubblico” che -sociologicamente parlando- appare non più spettatore passivo ma sempre più attore in prima linea sulla ribalta della propria rappresentazione quotidiana. Con tutti i “contro” del caso… Eccola la prima parte, dedicata all’ ”utile inutilità della letteratura”: una lunga cavalcata che mette, uno accanto all’altro, Vincenzo Padula e David Foster Wallace, Gabriel Garcia Marquez, Dante e Petrarca, Tommaso Moro e Tommaso Campanella, Robert Louis Stevenson e William Shakespeare, Aristotele e Platone, Kant e Ovidio, Montaigne e Leopardi, Théophile Gautier e Charles Baudelaire, John Locke e Boccaccio, Federico Garcia Lorca e Cervantes, Charles Dickens e Martin Heidegger, Zhuang-zi e Kakuzo Okakura, Eugène Ionesco, Italo Calvino ed Emile Cioran. Tutti accomunati da autorevoli prese di posizione sul tema.
Nella seconda parte – “L’università-azienda e gli studenti-clienti”, Nuccio Ordine entra nel vivo del dibattito politico-culturale contemporaneo. “Il disimpegno dello Stato” in materia di scuola e università è sin troppo attuale, lampante e preoccupante, per non interessare chi vive di, per e nell’università, come il nostro Autore: “(…) Martha Nussbaum, nel suo bel libro “Non per profitto”, ci ha recentemente fornito un eloquente ritratto di questo progressivo degrado. Nel corso dell’ultimo decennio, in gran parte dei paesi europei, con qualche eccezione come la Germania, le riforme e i continui tagli di risorse finanziarie hanno funestato, soprattutto in Italia, la scuola e l’università. In maniera progressiva, ma molto preoccupante, lo Stato ha avviato un processo di disimpegno economico del mondo dell’istruzione e della ricerca di base (…)”.                               
Il tema degli studenti-clienti, delle università-aziende e dei professori-burocrati è il centro dell’analisi che Ordine dedica a questa parte del testo, anche qui facendoci visitare una bella galleria di uomini di cultura che anche al tema della mercificazione del sapere hanno dedicato i loro autorevoli interventi: Victor Hugo, Alexis de Tocqueville, Aleksandr Herzen, Georges Bataille, John Henry Newman, John Locke, Antonio Gramsci, Aby Warburg, Euclide, Archimede, Plutarco, Henry Poincaré, Giovenale. Tutti in linea -il loro pensiero e la loro azione- con quanto Ordine lesse qualche anno su un cartello segnaletico in una perduta oasi del deserto del Sahara: “La conoscenza è una ricchezza che si può trasmettere senza impoverirsi”.             
La terza parte si rivela un tuffo nel modo classico, da cui attingere a mani basse: “Possedere uccide: dignitas hominis, amore, verità”. Afferma Ordine “(…) se oggi, come abbiamo visto, il possedere occupa un posto eminente della scala dei valori della nostra società, alcuni autori hanno brillantemente mostrato la carica illusoria del possedere e i suoi molteplici effetti distruttivi in ogni dominio del sapere e in ogni tipo di relazione umana (…)”. E qui, classici di ogni tempo quali Montaigne, Ippocrate, Democrito, Seneca, Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti, Antoine de Saint-Exupéry, Ariosto, Virgilio, Diderot, Rainer Maria Rilke, Giordano Bruno, Castellion, Erasmo Da Rotterdam, Boccaccio, John Milton, Lessing accompagnano il lettore attraverso memorabili pagine del pensiero occidentale.
Sino al saggio di Abraham Flexner, The usefulness of usless knowledge, “L’utilità del sapere inutile”, appunto, scritto nel 1937 e pubblicato nel 1939:  “(…) questo celebre scienziato-pedagogo americano ci presenta un affascinante racconto della storia di alcune grandi scoperte per mostrare come proprio le ricerche scientifiche teoriche considerate più inutili, perché prive di qualsiasi scopo pratico, hanno inaspettatamente favorito applicazioni, dalle telecomunicazioni all’elettricità, rivelatesi poi fondamentali per l’umanità (…). Flexner ci mostra egregiamente che la scienza ha molto da insegnarci sull’utilità dell’inutile (…)”.

Brillante ed originale, il saggio di Nuccio Ordine si segnala per una facilità di approccio e di lettura che colpisce sin dalle prime battute, nonostante le tematiche affrontate, le riflessioni condotte e la mole bibliografica, lo potrebbero tranquillamente collocare tra testi ben più impegnativi. La stessa “nota dell’autore” dà conto di una varietà di legami accademici internazionali -dall’Universidade Federal do Rio Grande do Sul a Porto Alegre all’Institute for Advanced Study di Princeton all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli- che, uniti ai centri di ricerca nei quali l’Autore opera ed ha operato, rendono perfettamente l’idea dello spessore culturale, professionale e -soprattutto- umano di un interprete del pensiero  contemporaneo che non si fa scrupoli ad affermare che “(…) quando la desertificazione dello spirito ci avrà ormai inariditi, sarà veramente difficile immaginare che l’insipiente homo sapiens potrà avere ancora un ruolo nel rendere più umana l’umanità… “. Come non dargli ragione!

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