Possiede la rara qualità della chiarezza e della semplicità espositiva che per un giurista impegnato su molteplici fronti rappresenta il miglior passaporto per il successo professionale. Quando la informo dell’apertura di un nuovo quotidiano nella città dove si trovano i suoi affetti familiari, manifesta ammirata sorpresa (“In bocca al lupo! Un quotidiano è una bella responsabilità…”) e soddisfazione anche personale (“Per me, anche nell’era di Internet, poter sfogliare quella carta che odora d’inchiostro è sempre la sensazione più bella!”).
Il suo è un osservatorio privilegiato: brillante avvocato con studio a Milano, capitale dell’editoria, esperto di diritto dell’informazione e della comunicazione, docente presso i Centri di Formazione per il giornalismo di Perugia ed Urbino, Caterina Malavenda è uno di quei giuristi che applica sul campo ciò che elabora in teoria. La sua autorevole carriera, spesa in difesa della libertà di manifestazione del pensiero, ancor oggi, non le impedisce di porsi una domanda basilare: “Perché qualcuno dovrebbe voler diventare giornalista? E perché qualcuno dovrebbe leggere l’ultima ricerca che ho dedicato al tema? Ce lo siamo chiesti, io ed i miei due colleghi, quando abbiamo deciso di pubblicarla. Forse per conoscere meglio l’origine di luoghi comuni e facili semplificazioni, per condividerli o sfatarli, entrando nella vita quotidiana del cronista per bene. In Italia, infatti, è invalsa l’opinione, forse qualunquista, ma con un fondo di verità, che il giornalista sia un privilegiato, spesso prono per convenienza al potente di turno, pronto a nascondere o travisare le notizie scomode e a reggere non solo metaforicamente il microfono a chi conta davvero;oppure sia un invasato che, per sostenere teorie di parte, ignora la realtà o la presenta in modo parziale;o ancora, sia la buca delle lettere di magistrati, avvocati, e imputati eccellenti (…)”.
E così, insieme a Carlo Melzi D’Eril e Giulio Enea Vigevani (il primo avvocato penalista, il secondo docente di Diritto costituzionale e Diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università di Milano-Bicocca) quando ha deciso di consegnare alle stampe un efficace manuale per districarsi nel complesso mondo dell’informazione, non poteva non notare come “in un Paese come il nostro si è soliti pensare che non vi sia alcun controllo, che ognuno dica e scriva quel che vuole, senza rischiare severe sanzioni, come nelle democrazie più serie, né la vita o il carcere, come nei Paesi a democrazia sospesa. Eppure, anche qui da noi, la vita può essere dura per coloro che non hanno un padrone e rispondono solo al lettore, né hanno protettori o parenti che contano”.
Le chiedo se questo sia davvero un mestiere difficile e se convenga ancora farlo: “Difficile è poco! Giornalisti seri sono quelli che verificano i fatti prima di divulgarli, che danno voce a tutte le parti, esprimono opinioni forti, con toni civili e rispettosi, ma non si girano dall’altra parte, non risparmiano chi conta, non si fermano al primo ostacolo, non usano le veline, ma sono osservatori attenti e inesorabili. E’ a questi giornalisti che abbiamo pensato, quando ci siamo occupati dei principi del diritto dell’informazione, secondo cui la libertà è la regola e i limiti l’eccezione, ma anche quando siamo entrati nel labirinto delle leggi e delle sentenze, per segnalare quante siano le zone d’ombra e quanto questo rapporto tra regola ed eccezione possa essere aleatorio. Ma nonostante tutto, dopo tanti anni, credo che sia una professione dell’anima -una specie di seconda pelle…- ineludibile nelle moderne democrazie”.
Passione, certo: ma le regole del diritto non sono un optional…: “Se a cavallo fra gli anni ’90 ed il 2000 il diritto di cronaca era considerato prevalente sulla tutela della persona, quando venivano rispettati i limiti canonici, nell’ultimo decennio si verifica il fenomeno opposto: la disciplina della privacy, sacrosanta ma a volte troppo enfatizzata, il nuovo codice deontologico, con regole soggette ad interpretazioni soggettive, la dilatazione del “diritto all’oblìo” fanno propendere l’ago della bilancia verso una maggiore attenzione alla persona, indotta anche dal malcostume giornalistico, a volte intollerabile e, così, addio alla cronaca come la si intendeva e la si praticava una volta, con un sensibile aumento di cause: si sceglie la via della citazione civile, se si mira esclusivamente al risarcimento economico, mentre la querela in sede penale viene privilegiata quando si vuole che la sentenza colpisca direttamente il giornalista ed il suo direttore. Il terreno, oggi, è più che mai minato e l’apertura di un nuovo quotidiano in una regione difficile come la Calabria, come hanno evidenziato recenti vicende, è un evento da salutare e tenere bene a mente. In bocca al lupo!”.
Conviene allora tenere presenti le sue istruzioni per questo mestiere pericoloso…
Per saperne di più:
Malavenda Caterina, Melzi D’Eril Carlo, Vigevani Giulio Enea, Le regole dei giornalisti. Istruzioni per un mestiere pericoloso, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 178, € 15,00 (Isbn 978-88-15-24058-3)