RILETTURE. Vanni Scheiwiller, intellettuale e divulgatore. Al pari di Berto e Piovene.

C’è stato un editore milanese che ha amato la Calabria come pochi. E’ scomparso nell’ottobre 1999: era stato critico d’arte, giornalista, scrittore, figlio di quel Giovanni Scheiwiller originario della Svizzera tedesca che fu per decenni il direttore della libreria Hoepli e fondatore, nel 1925, dell’omonima casa editrice ben presto impostasi come una delle più autorevoli nel panorama nazionale per l’elevata qualità delle sue pubblicazioni d’arte e letteratura; lo stesso nonno paterno, Giovanni Scheiwiller, era stato a sua volta uno dei primi collaboratori del grande Ulrico Hoepli.

 

Vanni aveva fondato, nel 1977, la “Libri Scheiwiller”, una sigla editoriale nata grazie ad un felice sodalizio con il mecenatismo bancario teso alla valorizzazione dell’intero paesaggio  italiano. Cosa aveva legato, dunque, Vanni Scheiwiller (1934-1999), il “poeta-editore” milanese, alla nostra Calabria? Proprio la numerosa attività pubblicistica che, per conto della Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania, permise di fare luce, con il supporto di poeti e letterati, accompagnati da affascinanti fotografie, sull’immenso patrimonio paesaggistico-culturale della penisola calabrese. Partendo dall’assunto, risalente a Piero Camporesi, secondo cui il paesaggio è il luogo in cui la storia s’incontra con il lavoro e la natura con l’arte, Scheiwiller  tenta “un veloce excursus, a partire dal ‘700, sull’atteggiamento dei viaggiatori stranieri e italiani -centro-settentrionali- in Calabria: è rivolto soprattutto all’arte ed al folklore, più che al paesaggio, anche se tutti lodano e ammirano la bellezza intatta e selvaggia; per i viaggiatori italiani “centro-settentrionali” ho attinto alla mia biblioteca personale ed al lungo amore che porto per la Lucania e la Calabria a partire dal lontano 1956”. All’epoca, Vanni Scheiwiller era studente di Lettere alla Cattolica di Milano ed insieme all’intellighenzia lombardo-veneta stava compiendo passi fondamentali alla scoperta della sconosciuta Calabria: anzi, conosciuta solo come terra di provenienza di migliaia di valigie di cartone che, a bordo dei treni della speranza, risalivano la penisola, scaricando i legittimi proprietari nelle stazioni di Torino, Genova, Milano, Venezia: “dopo un primo approccio nel 1956 dal finestrino della Freccia del Sud, da Milano a Taormina, vi fu l’occasione del viaggio nel 1957 a Crotone e nella Sila in occasione del “Premio Crotone”, assegnato per l’opera prima a un mio volumetto di poesie, “Codice Siciliano” di Stefano D’Arrigo: nel gruppetto di letterati, assieme a Giacomo Debenedetti, Aurelio Roncaglia, Enrico Falqui, c’erano anche Gianna Manzini e il celeberrimo anglista Mario Praz. Sono proprio gli anni ’50 gli anni d’oro dei viaggiatori, fotografi e letterati: Luigi Bartolini, Carlo Belli, Giuseppe Berto, Carlo Batocchi, Raffaello Brignetti, Alfonso Gatto e soprattutto Guido Piovene”.

Ognuno di questi intellettuali ha dedicato preziose pagine alla terra calabra, loro che, per raggiungerla, impiegavano interminabili giornate di viaggio: “Memorabili” -ricorda Scheiwiller- “le pagine di Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia” del 1957, (Mondadori, Milano) più da saggista socio-economico che da ammiratore di paesaggi - <<la Calabria è rocciosa e spaccata in profonde valli da una cinquantina di fiumi-torrenti con pendenze precipitose>> - “ma Piovene è soprattutto un ammiratore del paesaggio della Sila”: <<questo paesaggio, verde di boschi e di pascoli è la montagna vera nel senso nordico: ricorda i paesaggi trentini, come l’Alpe di Siusi o addirittura la penisola scandinava. Tuttavia quello che resta dei boschi silani, poco per l’economista, abbastanza per il turista, supera certo di splendore i boschi svizzeri o trentini. La Sila è una fantasia del nord eseguita con il rigoglio meridionale; la tragedia che qui si svolse, sotto apparenze pacifiche, fu quella del disboscamento; la Sila era tutta una foresta: disboscò il primo dopoguerra, disboscarono i tedeschi e gli americani, più disboscarono gli speculatori, approfittando del disordine. La situazione è oggi (1957), migliorata ma non risolta>>”. Figuriamoci quando Scheiwiller pubblica le rabbiose pagine che un altro veneto, in un estremo gesto d’amore, aveva dedicato ad uno degli scenari più affascinanti della penisola calabra: “Vent’anni dopo, nel 1977, Giuseppe Berto -che si era addirittura trasferito dal suo Veneto a Capo Vaticano- pubblica un opuscolo dal titolo “Intorno alla Calabria”, commosso ed indignato: <<(…) i calabresi, appena tirata fuori la testa dalla miseria, si sono messi a distruggere il proprio passato -anche gli alberi, le case, il paesaggio- con un accanimento che l’avidità, l’ignoranza e l’ansia di portarsi al più presto all’altezza di Jesolo e di Busto Arsizio, non bastano da sole a spiegare. Bisogna cercare nell’inconscio>>”.

Scheiwiller prese a raccolta i passi più accorati degli uomini di cultura provenienti il più lontano possibile dalla Calabria: non vi arrivavano con l’arroganza dei colonizzatori, ma scendevano in riva al Tirreno o allo Jonio con l’intento di conoscere una regione da secoli conosciuta come la figlia prediletta dell’antica Grecia e per il viaggiatore-intellettuale l’unico scopo era quello di ammirare per innamorarsi. “In Bellezza e Bizzarria (Mondadori, Milano 1960) e poi ne Il mondo che ho visto, (Adelphi, Milano 1982) Mario Praz aveva scritto della “Gita alla Colonna” e c’ero anch’io con la Manzini ed altri letterati: apparve un anno dopo sulla terza pagina de “Il Tempo” (19 luglio 1958), dove il celebre anglista recensiva anche “Sulle rive dello Jonio” di George Gissing, tradotto per Cappelli di Bologna (1957), dalla poetessa Margherita Guidacci e rievocava i grandi viaggiatori del Sud, come Lenormant, mèmore di Chateubriand che decantò  << a colori smaglianti i giardini delle case patrizie dei Barracco, dei Berlingieri, degli Zurlo, dei Lucifero, >> che già il Gissing non seppe ritrovare e quanto al Bourget  << non trovò presso la Colonna che cardi secchi e fiori di croco rosa>>”.  

Scheiwiller, Berto, Piovene e con loro un’intera generazione di intellettuali-viaggiatori, oltre che ammirare il paesaggio, s’interrogavano soprattutto sul senso più profondo di quell’antico legame, mai spiegato appieno, tra i viaggiatori ed il paesaggio di Calabria. Cosa spingeva da secoli, insomma, visitatori provenienti dalle più disparate realtà geografiche a scendere in riva ai due mari terminali d’Italia, per bagnarsi nelle acque del Mito o per risalire fin su le cime di montagne che di meridionale avevano, ai loro occhi, ben poco? Ancor oggi quest’interrogativo si palesa in tutta la sua oscura risposta. Forse spetterebbe ai calabresi contemporanei svelare questo richiamo ancestrale.             

Per saperne di più:
Vanni Scheiwiller, Davanti al paesaggio, Libri Scheiwiller, Milano 1992   

La Provincia di Cosenza – Terzo Tempo        Egidio Lorito, 08 gennaio 2015

 

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