Ne è trascorso di tempo da quel periodo che possiamo collocare tra la prima metà del ‘700 e gli inizi del ‘900, da quando, cioè, la terra di Calabria divenne meta prediletta di grandi viaggiatori che dal centro e nord Europa si spostavano in riva al Mediterraneo per ammirare, respirare ed odorare una terra che fino a qual momento avevano potuto leggere soltanto su datati manuali o all’interno delle grandi opere classiche.
In effetti, molti di quei viaggiatori avevano dovuto superare un singolare “difetto di fondo” dovuto al fatto che Goethe aveva praticamente saltato la Calabria durante il celebre viaggio che compì in Italia, provocando così un vero black out su un’area che sarebbe stata oggetto di analisi soltanto da parte di quelli che, al contrario, avevano accettato il rischio di sobbarcarsi viaggi lunghi in zone praticamente ignote alla cultura ufficiale.
Ma né la dimenticanza del grande poeta e scrittore romantico, né la penose condizioni in cui si trovavano le vie di comunicazione in quei decenni, scoraggiarono questi coraggiosi ed arditi viaggiatori: “il fenomeno è per gran parte - ma non del tutto - riconducibile nell’ambito del Grand Tour, la temperie culturale che spinse aristocratici, letterati, studiosi dell’epoca ad effettuare lunghi viaggi in Italia alla ricerca di vestigia archeologiche, opere d’arte, paesaggi pittoreschi da descrivere, poi, in raffinati diari di viaggio”, ricorda Francesco Bevilacqua che a questo argomento ha dedicato buona parte del suo “Calabria sublime.
I paesaggi naturali della Calabria attraverso gli occhi di viaggiatori e descrittori”. “Dico non del tutto” -sostiene Bevilacqua- “perché altri viaggi, di sapore più squisitamente scientifico, furono fatti nello stesso periodo, ma anche perché prodromi o postumi dello stesso spirito che aveva nutrito i protagonisti del Grand Tour, si rinvengono negli scritti di personaggi dissimili, vissuti in altre epoche più lontane o più vicine a noi. Chi si spingeva più a sud di Napoli era animato, in genere, dal desiderio di visitare i siti della Magna Grecia e di rievocarne i fasti”.
Dunque, un desiderio di visitare la Calabria ed il Mezzogiorno in genere per rituffarsi in quel passato aulico fatto di classicità greco-romana e continuare a respirarne l’atmosfera. Provenienze più disparate, sia italiche che europee, che colpivano proprio per la diversità culturale da cui muovevano i passi verso la Calabria, terra che sarebbe stata immortalata da diverse angolature: ad esempio, l’archeologo francese Francois Lenormant che visitò tra il 1879 ed il 1882 la regione, sino a cristallizzarla nella monumentale “La Grand Grèce. Paysages et histoire” pubblicata a Parigi tra il 1881 ed il 1884, o il pittore britannico Sir Arthu John Strutt capace, nel 1841, di percorrerla a piedi, fino ad imbattersi in gruppi di briganti e descriverla nel suo “A pedestrian tour in Calabria and Sicily”.
Sino a quel Norman Douglas che nel 1915 pubblicò a Londra “Old Calabria”- considerato uno dei libri di viaggio più belli e famosi mai usciti dalla penna di un narratore- resoconto di ben quattro anni di peregrinazioni lungo la penisola calabrese. E non esageriamo nel sottolineare il fascino che la natura calabrese esercitava su questi visitatori tanto che nel 1821, un letterato inglese come Richard Keppel Craven, nella sua “A tour through the southern provinces of the Kingdom of Naples”, esclamava che “(…) ho la presunzione di affermare che in nessuna altra parte d’Europa la natura ha tracciato in modo così magnifico le linee che il genio e l’opera umana devono seguire e gli sforzi dell’arte migliorare(…)”.
Attestati di stima sul paesaggio calabrese che erano stati preceduti dalle parole pronunciate da un dispolmatico tedesco, aristocratico di nascita -Friederich Leopold von Stolberg che nel 1794 non si faceva scrupoli nell’affermare che “(…) lascio con commozione la più bella provincia della bella Italia. Questa regione è più vicina della altre al meraviglioso sole ed è rinfrescata da venti provenienti dai due mari, dall’altezza delle sue montagne, dai boschi ombrosi, da innumerevoli sorgenti che irrigano i campi sui quali il grano e gli alberi brillano di primo verde. Ciò che le altre parti del mondo hanno singolarmente di grande e di bello, è riunito in Calabria”.
Bastano queste dotte e storiche citazioni per comprendere quanto forte fosse stata l’attrazione che la Calabria aveva esercitato in quei secoli su generazioni di viaggiatori che da Nazioni lontane giungevano ad ammirarla, solo perché ne avevano sentito parlare nei loro stessi Paesi e desideravano conoscerla in prima persona: nè esageriamo -ancora- nell’affermare che qualcuno soffrì anche di una sorta di “mal di Calabria”, pena d’amore che traspose a mani larghe in quel “By the Ionian sea”. George Gissing era uno scrittore vittoriano che alla fine dell’ ‘800, spinto da un insaziabile attrazione per il Mediterraneo, approda in Calabria, versante ionico, nel 1897: “da solo: attraversa la vita come fosse un viaggio e quest’ultimo suo viaggio al termine della vita finisce allora nel luogo più a sud di tutto. In Calabria.
Il posto migliore per perdersi. Chi era George Gissing?” -si chiede ancora Bevilacqua- “Un vittoriano solitario, un fuggiasco maledetto, uno scrittore senza lettori (…). Gissing cercava la luce del Sud per sanare una ferita. Questi luoghi di bellezza sono quegli stessi agognati e nascosti ai personaggi che, nelle favole amare dei suoi romanzi e racconti, vedono indicata davanti a sé la strada giusta che il protagonista non riesce mai a percorrere, deviato nel suo cammino da errori e avversità esorbitanti (…). Quello che Gissing attraversa e porta con sé nell’autunno del 1897 è il Sud che non vediamo più: le rovine del passato classico, rotte e sparute, sono quelle solenni vestigia non ancora calpestate dai turisti, sepolte sotto il fango dei secoli o ricoperte di grovigli di rovi e di rampicanti (…).
Cosa resta, oggi, di tutto quel peregrinare, di quel dotto vagabondare dall’Europa umida e nebbiosa alle assolate plaghe mediterranee? Resta il ricordo di una monumentale pagina di storia e letteratura europea che ha permesso, almeno alle nazioni più importanti del continente, di conoscere il paesaggio, l’arte, la cultura di una quasi sconosciuta landa dell’Italia meridionale. Ma forse resta il rimpianto per una condizione che ancor oggi ci costringe a vivere questi ricordi sin troppo lontani nel tempo, nella speranza di un nuovo Grand Tour, colto ed aulico, ben diverso da quel turismo chiassoso ed irrispettoso che pare abbia finito per fagocitare il nostro paesaggio, le nostre coscienze, la nostra esistenza. Ma questa è un’altra storia… 1) Francesco Bevilacqua, Calabria sublime. I paesaggi naturali della Calabria attraverso gli occhi di viaggiatori e descrittori, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2005;2) Mauro Francesco Minervino, In fondo a Sud. Calabria e altri turismi, Philobiblon Edizioni, Ventimiglia (Im) 2006.
Egidio Lorito