“Mi è capitato recentemente di riferire una breve testimonianza su Giuseppe Selvaggi da inserire in una ricerca effettuata dagli alunni della Scuola Media Biagio Lanza di Cassano Ionio: in quell’occasione, mi sono reso conto che sintetizzare un uomo ed un’amicizia non è facile, imbrigliato come sono in quel pudore -direi generazionale- nel manifestare i sentimenti, che quasi sempre rimangono implosi nel mio cuore. So che può sembrare una sciocca scusa, ma io -come Selvaggi- appartengo e provengo da un mondo nel quale si aveva un rispetto reverenziale per i genitori, per le persone adulte, per i superiori in cultura e in esperienza, ai quali ci si rivolgeva con il voi: è capitato anche con Giuseppe Selvaggi.
Lui, però, da grande qual era e come veramente solo i grandi sanno fare, dall’alto della sua esperienza di giornalista, di poeta, di critico d’arte, di uomo proiettato a tutta velocità nel pianeta cultura, a me -giovane ragazzo calabrese pieno di sogni e di progetti culturali nella testa- ha generosamente teso la mano, elargendomi a profusione consigli e dritte che ancora oggi considero fondamentali nella mia vita e nel lavoro che svolgo”.
Una decina d’anni fa, Mimmo Sancineto -editore e fine intellettuale in quel di Castrovillari- presentava una pubblicazione che Pierfranco Bruni dedicava all’indimenticabile poeta calabrese, da poco scomparso: “Giuseppe Selvaggi e il sentimento del tempo” era un omaggio forte e sentito ad una delle personalità più importanti che la cultura calabrese ha potuto vantare nell’intero ‘900. Bruni, calabrese di nascita e pugliese d’adozione, scrittore e giornalista, vanta una lunga attività sulle pagine de “L’Indipendente”, del “Secolo d’Italia”, del “Roma”, del “Corriere del Giorno” e del “Corriere del Mezzogiorno-Corriere della Sera”.
Il suo profilo narrativo si articola attraverso racconti e romanzi tra i quali vanno certamente ricordati “I luoghi e le voci”, “Pagine ritrovate”, “L’ultima notte di un magistrato”, “Paese nel vento”, “L’ultima primavera”, “E dopo vennero i sogni”, “Quando fioriscono i rovi”. Analista della letteratura del Novecento con scritti su Cesare Pavese (“Il viaggio omerico di Cesare Pavese”), Luigi Pirandello, Corrado Alvaro, Francesco Grisi, Gabriele D’Annunzio, Carlo Levi, Salvatore Quasimodo ed Ungaretti, ha scritto numerosi saggi sulle problematiche relative alla cultura della Magna Grecia, traendo spunto dal Mediterraneo come fonte inesauribile d’ispirazione.
“Con Selvaggi ho intrattenuto uno straordinario rapporto di amicizia che è durato negli anni sino alla sua scomparsa, tra vita e letteratura;i pochi capitoli qui presentati, hanno lo scopo di avviare un discorso sulla sua poetica e sul ruolo che Selvaggi ha avuto all’interno del contesto della cultura contemporanea;già in precedenza avevo avuto modo di pubblicare del materiale interessante di e su Selvaggi, riferito al suo rapporto con autori contemporanei, ma questo materiale assume una rilevanza diversa e particolare.
Certo, mi tocca direttamente e le lettere poste in Appendice lo dimostrano: un poeta di sicura rilevanza all’interno della temperie del secondo Novecento. Qui si è cercato di stabilire proprio questo itinerario. Il volume si arricchisce di un breve tracciato di immagini, che ripercorre alcuni appuntamenti che sono documentati con foto e presenze relative a incontri di natura culturale”.
Ed allora, pur nella brevità di un testo di una cinquantina di pagine, di altrettante lettere e documenti meticolosamente riportate e di un bel numero di fotografie che mostrano simbolicamente la lunghissima avventura culturale di Selvaggi, Pierfranco Bruni ha ripercorso le linee-guida della complessa ed articolata poetica dell’autore nato a Cassano allo Ionio, storico centro della costa jonica cosentina il 29 agosto del 1923 e morto a Roma il 26 febbraio del 2004, città nella quale viveva sin dagli anni universitari.
Grazie ad un’intensa vena poetica e ad una straordinaria capacità di contestualizzare gli autori sottoposti al suo vaglio, Bruni mostra tutto il suo coinvolgimento umano e culturale: non si tratta di presentare ed analizzare un autore, sia pur prestigioso, che però rimane ai margini della propria vita: Giuseppe Selvaggi -“Beppe”- è stato un amico, un Maestro, un’ancora: “parlo di un poeta, dunque, un poeta vero. Quel poeta che recitava le nenie in una memoria strappata tra i veli dell’infanzia lungo le strade di un paese di Calabria e tra i corridoi e i labirinti di una visione che aveva sempre qualcosa di onirico;storicizzarlo come intellettuale, come giornalista, come critico d’arte della temperie di questo nostro Novecento passato e infuturato non è cosa da poco”.
Ed infatti, al di là dell’imponente mole di scritti e di vicende della sua straordinaria esperienza culturale, Bruni mette in rilievo il dato sicuramente più complesso da evidenziare: “Selvaggi ha tracciato una linea generazionale nella cultura calabrese e italiana: è stato non solo un poeta e un giornalista ma un maestro di stile;un personaggio che ha saputo raccontare la storia di una generazione. Generazioni che hanno ascoltato la sua voce, la sua testimonianza, il suo acume critico e la sua pazienza (…).
E così Selvaggi può essere considerato, a giusta ragione, un riferimento sicuro nel contesto della dialettica letteraria ed artistica di quel mondo culturale che ha attraversato gli ultimi sessant’anni: un poeta raffinatissimo e un attento critico d’arte che ha cercato sempre di sviluppare un confronto all’interno dei processi storici degli ultimi decenni del nostro Novecento”. Un intero ciclo di vita e di poesia campeggia nelle riflessioni di Bruni, nelle quali è possibile rintracciare delicatezza, stile ed amore in cui non è difficile intravedere la lezione del suo Maestro: quel Giuseppe Selvaggi, appunto, che di delicatezza, stile ed amore fu Maestro per più di una generazione.
Egidio Lorito