Antropologo a “tutto tondo”, ricercatore eternamente “on the road”, fine docente universitario in quel di Arcavacata, intellettuale di razza come pochi se ne incontrano alle nostre latitudini, Vito Teti è, soprattutto, un cantore di paesi abbandonati, di nostalgie di migranti, di malinconie di poeti in fuga, di cibo e di invenzione dell’identità. Insomma, un contemporaneo story-teller che agisce con la lente dello scienziato per rintracciare, analizzare e far emergere quanto della civiltà di un popolo non sia stato definitivamente gettato nel dimenticatoio della storia. Storia che potrebbe apparire minore, -microstoria, quella con la “s” minuscola- ma che poi ricercata e tramandata come solo i grandi osservatori sanno fare, diventa narrazione collettiva di un popolo, di una cultura, di un’identità geografica.
E questa densità culturale la si coglie, tutta intera, nell’ultima ricerca consegnata alle stampe qualche mese addietro, partendo proprio da alcuni autori -dei veri “numi tutelari” della materia- che impreziosiscono il testo: e così ti imbatti in un antropologo del calibro di Claude Levi-Strauss, in un narratore come Joseph Conrad, in un sociologo quale Walter Benjamin ed in uno scrittore e poeta calabrese come Saverio Strati che, diretto come sempre (“Vai o non vai al Sud, il Sud ti è dentro come una maledizione”), sembra impersonare quasi la voce narrante di ciò che le successive 449 pagine serviranno ad evidenziare.
“(…) Intorno alla metà degli anni Ottanta avevo cominciato a pensare e a scrivere un libro sul viaggio nel mondo tradizionale calabrese. Proprio in quei mesi, una tornata di un concorso accademico avrebbe dovuto spingermi a chiudere, per farne velocemente una pubblicazione. Decisi tuttavia di non cogliere quell’occasione e di non pubblicare il testo (…). Il libro diventò così il mio manoscritto non pubblicato, (…) ma c’era molto altro da dire, da recuperare alla memoria, da aggiungere alla riflessione. C’era, soprattutto, una quantità di note di viaggio, di descrizioni, di appunti, di frammenti (…). Di testo in testo, è nato così questo nuovo libro, inquieto e mobile, come la terra che racconta e che, forse, esprime il carattere del suo autore”.
Eccole ora, in forma editoriale, queste 464 densissime pagine dedicate, nella miglior tradizione della ricerca di Teti, ad uno dei temi più affascinanti e oscuri, intriganti e controversi della millenaria storia della terra di Calabria: terra nel vero senso, cioè di superficie calpestabile su cui, da secoli, si agitano popolazioni eterodosse, indigene e straniere, in un gioco a rincorrersi nello spazio. Come descrivono, meglio, le “linee” che Vito Teti utilizza per questo suo racconto: come quella “ondulata”, fatta di “sussulti, scivolamenti, abbandoni” degni di una “geoantropologia di una terra mobile”, nella quale desolazioni e rovine, terremoti, catastrofi sembrano avere la meglio. “La Calabria -la sua configurazione del terreno, la disposizione geografica, il veloce mutamento di un paesaggio, l’improvviso succedersi di monti, colline, mare- consegna a chi l’osserva un’immediata idea di movimento, invia immagini e visioni di spostamento (…)”. Come quella “curva”, con i suoi “percorsi, pellegrinaggi, cicli eterni” con “l’erranza mitica del mondo contadino” a fare da preciso spartiacque: con la “(…) società calabrese tradizionale, già prima dell’inizio dell’emigrazione, caratterizzata da situazioni di viaggio. Viaggi dei forestieri, viaggi quotidiani o eccezionali delle classi subalterne della regione, i viaggi degli aristocratici, dei borghesi dei proprietari terrieri dentro e fuori la Calabria (…)”. O come ancora quella “retta”, tutta di “utopie, fughe, nostalgie”, legate -soprattutto- al tema dell’emigrazione: “(…) il mito e il richiamo dell’America nascono in alternativa al mito della terra e a seguito del fallimento delle possibilità storiche di conquistarla. Chi parte va in una nuova terra, avanza nuove richieste (…)”.
Sino alla “linea spezzata” fatta di “ritorni, nuovi arrivi, partenze” che tra Bruce Springsteen, Giuseppe Isnardi e Franco Costabile, ci catapulta direttamente in Canada con “le nuove basse e luminose del cielo, gli alberi dei grandi boschi, le strade dritte e lunghe che ora si alzano ora si abbassano, creandoti l’illusione dell’inizio di un mutamento di un paesaggio uniforme (…)”.
Realtà dura, sogno, immaginazione, evasione, fuga: sentimenti che accompagnano il lettore. Anzi è Teti stesso che ci guida per mano da un luogo all’altro di questa “terra inquieta”, con un avvertimento quasi da “bugiardino” farmaceutico: “(…) Bisogna essere cauti, accorti, pazienti nel definire la Calabria come un luogo. E’ difficile definire e delimitare un luogo antropologico compatto e stabile. Figuriamoci un luogo esteso, aperto, storico, mobile, senza pace e dai molti volti. Il desiderio, pure apprezzabile e legittimo, di raccontare e raccontarci con semplicità cosa è la Calabria, si rivela spesso un’ambiziosa scorciatoia, e sfocia in luoghi comuni e in immagini riduttive e parziali”. E, come dargli torto, non foss’altro che ci troviamo di fronte -forse meglio, al fianco…- a quell’antropologo che solo pochi anni addietro aveva teorizzato il concetto all’interno di una mirabile pubblicazione (“Il senso dei luoghi, Donzelli, 2004), in un certo senso preludio delle nuove riflessioni dell’ultima pubblicazione.
Immagini da sogno cercato, ma spesso da triste quotidianità subìta, in un rincorrersi di “tante Calabrie” grazie alle quali “(…) la Calabria, allora, è nello stesso tempo un luogo e tanti luoghi. E per qualcuno, di recente, è diventata un luogo segnato da non-luoghi, ma quest’immagine non appare del tutto convincente (…)”.
Un saggio consegnato ai calabresi di oggi scritto con la severità del rigore scientifico mai disgiunto da una dose di autobiografia (“La resistenza di mia madre, che dissuase mio padre, ritornato con altri padri per portarci in Canada, fece sì che non partissi”) contribuiscono a rendere meno “inquieta” la nostra stessa lettura…
Per saperne di più: Vito Teti, Terra inquieta. Per un’antropologia dell’erranza meridionale, Rubbettino 2015, € 18.00
Cronache delle Calabrie, p. 30 Egidio Lorito, 20/11/2016