Antonio-Costabile-il-potere-politico

Costabile analizza la situazione calabrese partendo da Weber

Ritrovo Antonio Costabile non certo per caso. Alcuni anni addietro, un suo insegnamento presso la Facoltà di Scienze Politiche della Università della Calabria attirò attenzione e sensibilità scientifica, partendo dalla stessa titolazione accademica,  visto che “Il Potere politico” rappresentava molto di più di una semplice denominazione istituzionale.  Impersonava -e continua  farlo oggi- un orizzonte di attese e di conferme per chiunque fosse sinceramente interessato allo studio del sistema politico e al modo in cui, quest’ultimo, avesse letteralmente invaso la società italiana, quella meridionale e calabrese in particolare. Ordinario di Sociologia  dei  Fenomeni Politici presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, attento osservatore e studioso dei comportamenti politici e del rapporto tra il potere politico ai vari livelli ed il mutamento sociale, Costabile cura anche un altro insegnamento dal nome piuttosto evocativo come  Etica e Politica. Anche questo piuttosto attuale…

Professore Costabile, ben ritrovato! Max Weber è sempre più vicino…
“La particolare situazione in cui si trovano la Calabria e tanta parte del Mezzogiorno contemporanei rende quanto mai opportuno e preliminare ripartire proprio da Weber e dalla sua celebre nozione della professione politica, ovvero che <<esistono due modi di fare della politica la propria professione: si può vivere “per” la politica oppure “di” politica. “Della” politica come professione vive colui il quale aspira a farne una fonte di introito durevole; “per” la politica vive colui per il quale ciò non avviene. Quest’ultimo soggetto, quindi, deve essere, in condizioni normali, economicamente indipendente dagli introiti che la politica gli può procurare>>. E’ preliminare, anche in questo scambio informale di idee e contenuti, avvertire che nella sua celebre pagina, il sociologo e filosofo di Erfurt si riferisse, chiaramente, a quanti, più o meno intensamente e continuativamente, svolgevano la parte principale delle proprie attività entro associazioni o istituzioni politiche. Dalle mie ricerche sull’argomento emerge una realtà originale in cui la categoria del “vivere di politica”, intesa come dipendenza dalla politica per la propria stessa sussistenza, viene applicata non più solo a singoli soggetti o categorie sociali, quanto ad intere società regionali, proprio come avviene in Calabria: qui da noi, la percentuale della popolazione che fa della politica l’unica o principale fonte di reddito, orientandovi una parte decisiva delle proprie azioni, è in crescita costante. Direi, che si tratti, ormai, della maggioranza della popolazione!”
Professore, visto l’andazzo generale, c’è da preoccuparsi?     
“Guardi, l’aria che tira non è certo “salubre”, inutile illuderci. Già la stessa pubblicistica di settore e la saggistica di gran moda oggi concorrono a bipartire la visione del Mezzogiorno: da un lato registriamo il c.d. Sud delle patologie che non perde occasione per enfatizzare, spesso unilateralmente, le classiche e drammatiche problematiche, quali la corruzione dilagante, gli omicidi ad opera della ‘ndrangheta,  la malasanità e tutta quella lunga serie di record negativi che hanno condannato noi calabresi ad essere praticamente ultimi in tutto. Dall’altro, qualche nicchia di sviluppo esiste pure: una sempre maggiore presa di coscienza, la montante opinione pubblica con larghe schiere di giovani finalmente orientati altrove, un numero sbalorditivo di imprese di successo, intellettualità sempre più precoce, associazionismo e cooperazione in recupero:  certo, maggiore idealità e minore materialità, per intenderci, ma almeno non abbandoniamo la speranza”.
Dove colloca le Sue riflessioni?
“Mi riferisco, spesso, all’esistenza di una sorta di “terra di mezzo” situabile tra le due visioni estreme:  è chiaro che esiste un corpo sociale e politico tutto nostrano che non si colloca immediatamente nelle due prospettive maggiori e che non fa notizia o perché non è abbastanza scandaloso o perché non è neppure abbastanza virtuoso. Ecco, mi piacerebbe far sentire voce e teorie proprio da questa visione mediana”.
Sinceramente, il quadro sta cambiando. In peggio?         
“Non c’è da stare felici, indubbiamente: all’interno del Mezzogiorno e della nostra Calabria, date le condizioni di estrema debolezza dei settori produttivi e del mercato economico, si registra una forte dipendenza sociale immediatamente ricollegabile alla politica, al punto che già quaranta anni fa un attento osservatore del fenomeno come  Arnaldo Bagnasco affermava testualmente che <<la società meridionale è oggi la parte della società nazionale con maggiore regolazione politica, al contrario delle regioni centro-settentrionali, che sono la parte di società a maggiore componente di regolazione di mercato. E si tratta di un sistema politico organizzato per gestire il sottosviluppo>>.  Da noi, purtroppo, industria e cultura del lavoro, borghesia imprenditoriale, classe operaia e forme di associazionismo sono sempre state carenti e marginali, generando sistemi di azione e di relazione totalmente differenti rispetto alle aree trainanti del Paese”.
Veniamo al punto: cosa comporta, sul piano politico, fattuale, “vivere di politica”?
“Significa che non vi è campo della vita pubblica che non sia attinto entro le spire del sistema partitico-politico imperante!  Significa rendersi letteralmente conto della dipendenza dalla politica nei diversi campi della società e nei diversi settori che compongono il mondo del lavoro e quello delle professioni. Partiamo dalla sanità e dalle professioni mediche: la sanità, pubblica e privata, è finanziata dal denaro pubblico e la spesa sanitaria costituisce la voce più cospicua ed onerosa dei bilanci regionali. Ne discende che le diverse professioni mediche e sanitarie risultano, a vario titolo, promosse o controllate dalla politica. Lo stesso reclutamento nei ruoli sanitari pubblici e la carriera sono solitamente lottizzati, come numerose inchieste giudiziarie hanno evidenziato in maniera incontestabile. Proseguiamo vero la burocrazia pubblica: la pubblica amministrazione, nell’assenza o nella carenza dell’apparato produttivo industriale, appare la fonte occupazionale preferita, favorendo la saldatura del potere politico con quello amministrativo, a tutti i livelli degli enti locali. Per non parlare di edilizia ed ingegneria: sarà un caso, ma l’edilizia pubblica e quella privata rappresentano il settore industriale più sviluppato nelle regioni meridionali, particolarmente soggetto al controllo politico con finanziamenti, licenze, progetti urbanistici, incarichi, contributi. Per non parlare, ancora, dell’avvocatura e delle professioni legali: anche perché questo è il campo più tradizionale di reclutamento del personale politico, tra enorme contezioso giudiziario e altrettanto vasto campo delle consulenze ed intermediazioni: da oltre trent’anni si discute a proposito del predominio degli avvocati nelle file del personale politico del Mezzogiorno e della Calabria, soprattutto”.
Lei  utilizza il termine “manipolazione”: è allarmante!                
“Lo è! Se in senso figurato indica un imbroglio, un raggiro, un sotterfugio, il termine ha avuto ampia eco negli studi politico-sociali, favorendo la nascita di una stessa categoria interpretativa che allude ad una forma subdola e prevaricatrice di dominio che può diventare controllo opprimente, non decisione, impedimento alla formazione di libere scelte da parte dei soggetti attivi, dei cittadini in sostanza. E dall’insieme delle varie letture  -quella giuridica, quella socio-politica e quella antropologia-  emerge come la manipolazione permetta di dirottare norme e relazioni dotate di contenuti universalistici verso scopi al contrario particolaristici, generando un vero e proprio potere manipolativo capace di agire sulle strutture sociali esistenti, modificandone scopi, obiettivi e funzioni. Proprio agendo in questa direzione si sarebbero sviluppati il clientelismo notabilare, quello politico, e, soprattutto, nella versione patologica estrema, il rapporto mafia-clientela  che è alla base di qualunque ragionamento sulla genesi dei fenomeni criminali che segnano la cronaca quotidiana in Calabria”.
Lei entra nella carne viva del sistema politico calabrese!
“Non so quanto possano essere utili la lettura gramsciana del lucido pessimismo e del coraggio civile, come quella crociana secondo cui <<bisogna delle difficoltà fare sgabello>>. Certo, la mia è una lettura del Mezzogiorno e della Calabria contemporanea alla luce dei fenomeni e dei processi analizzati unicamente attraverso le lenti dell’oggettività scientifica. Un tempo avremmo disquisito di aggressione criminale al potere politico: oggi, drammaticamente -e la recentissima cronaca giudiziaria ce lo ricorda…- siamo costretti a registrare come la criminalità sia quasi un corpo solido con il potere politico stesso! Rimane la speranza della nostra storia secolare che ci ricorda come le crisi e i drammi di questa nostra terra siano, alla fine, risorse potenziali di comprensione, di solidarietà e di responsabilità per tentare di salvare quanto ancora non sia del tutto compromesso. E’ la sfida politica del presente!” Bella sfida!

Cronache delle Calabrie, pag. 30                             Egidio Lorito,  22/03/2017

Torna su