Una storia di amicizia e di confronto intellettuale onesto
Ho curato in due occasioni la presentazione pubblica di Magdi Allam. La prima a Maratea, il 22 luglio del 2006, durante il tour promozionale di “Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano?” (Mondadori 2006): la nostra nazionale di calcio aveva appena trionfato nella notte di Berlino ai Mondiali di calcio in Germania, ed il titolo di quel saggio sembrava fatto apposta per il periodo. Ma si parlava di tutt’altro amore, ovviamente: c’era in ballo la scoperta umana e sociale di un nuovo mondo, di una nuova vita, di una nuova cultura che incrociava -nel ricordo narrativo- il destino di un ventenne appena sbarcato sul suolo italico. Quelle pagine, in un certo senso, diedero vita ad un vero e proprio movimento d’opinione, una curiosità affettuosa, una lunga serie di interrogativi che avevano reso la vita personale e professionale di questo brillante giornalista e scrittore egiziano, un caso veramente unico nel panorama editoriale italiano, con la circostanza che lo vedeva vivere a stretto contatto con la morte, e non nella sua madre patria egiziana o in un altro paese musulmano, ma esattamente nella Nazione di cui noi siamo, più o meno orgogliosamente, cittadini: l’Italia. La seconda occasione, giusto dieci anni dopo, lo scorso 12 agosto, a Praia a Mare, dove Magdi Cristiano Allam è stato ospite per presentare “Islam. Siamo in guerra” (Mca Comunicazione, 2016). Dieci anni per affinare un’amicizia…
L’Italia, caro Magdi, Ti è subito apparsa come una sorta di terra promessa.
“Era la vigilia del Natale del 1972 ed il divorzio dall’Egitto, graduale ma inesorabile, avvenne dentro di me prima ancora che salissi a bordo di quell’aereo dell’Alitalia che mi avrebbe condotto a Roma: ti lascio immaginare l’emozione con cui da dietro l’oblò scrutai per la prima volta la gente e gli edifici dell’aeroporto Leonardo da Vinci: tremavo tutto per la gioia e, non appena fuori dall’aereo, tremavo ancor più per il freddo perché non avevo mai assaggiato temperature così rigide, vicino allo zero. Comunque, i miei primi passi a Roma rappresentavano l’apoteosi del sogno di una vita, perché avevo la sensazione di essere sbarcato in un mondo perfetto, dove tutto era lindo, ordinato, bello, profumato, umano, sensato, efficiente. Mi sentivo perfettamente bene, straordinariamente felice. Avevo vinto: avevo vinto la battaglia personale per conquistarmi l’emancipazione e la libertà. Ero riuscito a raggiungere la Terra promessa!”
C’è un aspetto da mettere a fuoco nella singolare parabola esistenziale di Allam: questo giovane egiziano giunge a Roma all’inizio degli anni ’70 e definisce l’Italia come una sorta di Paradiso terrestre, dove tutto gli appare roseo se non dorato: un immigrato, d’accordo, ma -come lui stesso si definisce- comunque un immigrato privilegiato, perché conosceva la nostra lingua ed aveva una borsa di studio cui appoggiarsi per tutte le necessità iniziali. E così il giovane Allam mette piedi sul suolo italico agli inizi di un plumbeo e cupo decennio, fatto di terrorismo ed inquietudine, di crisi economiche e politiche, di contestazioni e scontri di piazza: eppure, per quel ventenne dal futuro incerto, l’Italia era la “Terra Promessa”! Bella soddisfazione, non c’è che dire, se vista con gli occhi di oggi.
Veniamo al presente: Oriana Fallaci Ti ha designato suo erede spirituale…
“Presentando il mio ultimo saggio “Io e Oriana”, ho scelto di narrare la storia di un'amicizia straordinaria che mi ha unito alla giornalista fiorentina, di cui lo scorso 15 settembre abbiamo ricordato il decimo anniversario della sua morte: è la testimonianza di una eredità spirituale, per sua volontà, che io mi sento convintamente dentro nonostante la tensione dialettica che c'è stata nel nostro rapporto e dopo aver preso atto che sull'Islam aveva ragione lei. Io e Oriana, dunque: un rapporto paragonabile ad un amore che è esploso all'improvviso, che ha subito coinvolto intensamente la totalità del nostro essere persone sul piano intellettuale ed affettivo, che è sembrato così veritiero da concepirci un tutt’uno sul piano spirituale al punto che meritare questo lascito spirituale”.
Si tratta di una responsabilità non comune, detto sinceramente!
“Te la ricordo la sua investitura: <<Più ti leggo, più ci penso, più concludo che sei l'unico su cui dall'alto dei cieli o meglio dai gironi dell'inferno potrò contare. Bada che t'infliggo una grossa responsabilità>>. Un rapporto che è stato a un passo dall'esprimere il meglio di noi stessi traducendosi in un'opera comune, il libro “Magdi Allam intervista Oriana Fallaci”, effettivamente scritto e mai pubblicato, che avrebbe potuto essere il capolavoro della nostra vita. A dieci anni dalla morte di Oriana sento il dovere di raccontare un'esperienza estremamente significativa della mia vita che, da un lato, mi ha donato una straordinaria soddisfazione intellettuale e interiore, dall'altro è stata un fattore vitale per la rivisitazione delle mie scelte di fondo, culminando nell'adesione alle sue idee. Sei mesi prima della sua morte, presi atto che Oriana aveva ragione nel considerare i terroristi islamici la vera rappresentazione dell'Islam e nel condannare anche i sedicenti “musulmani moderati” che ci impongono la legittimazione dell'Islam come religione e la costruzione delle moschee. Quando nella notte della Veglia Pasquale, il 22 marzo 2008, decisi di abiurare l'Islam e di convertirmi al Cristianesimo, compresi che Oriana aveva ragione nell'indicare specificatamente l'islam come la radice del male: noi tutti oggi, volenti o nolenti, siamo debitori di Oriana, lei è stata indubbiamente la voce che più di altre ha saputo scuotere le nostre coscienze, ha saputo costringerci a guardare in faccia alla realtà della guerra scatenata dal terrorismo islamico nel nome dell'islam. Noi tutti dovremmo gridare con forza grazie Oriana!”.
Torniamo alle origini. Cosa ha ispirato il Tuo percorso spirituale e umano?
“Sin da piccolo sentivo forte il fascino della verità e la passione per la libertà. Il fatto che sia nato musulmano, da genitori musulmani, in un Paese arabo a maggioranza islamica, ma che al tempo stesso abbia studiato e vissuto in un microcosmo italiano e cattolico, mi ha sollecitato -sin da subito- a ricercare la verità, ad interrogarmi su quale delle due religioni, delle due culture e delle due civiltà corrispondesse alla verità. E’ fondamentale sottolineare che la domanda e la risposta sulla verità nascono e poggiano nell’incontro con delle persone speciali, degli autentici testimoni di fede che mi hanno affascinato: nel caso dell’Islam è stata mia madre Safeya, una donna straordinaria che scelse di donare tutta se stessa per consentirmi di avere una migliore qualità d’istruzione e un più elevato tenore di vita, a coltivare in me il fascino dell’Islam dal momento che lei s’ispirava a quella religione e in essa trovava il conforto per dare un senso a un’esistenza fatta di sacrifici e talvolta di umiliazioni. Così come furono degli autentici testimoni cristiani, suore comboniane e sacerdoti salesiani, a nutrire in me il fascino di Gesù Cristo nel loro tendere quotidiano a rivivificarlo attraverso la predicazione della sua verità, affermando con l’esempio dei valori non negoziabili, perseguendo tramite le opere buone il traguardo del bene comune”.
Torniamo ad Oriana: possedeva una personalissima tecnica narrativa.
“Si trattava di uno stile letterario coinvolgente ed affascinante, una scrittura piacevole e scorrevole che era, praticamente, la subordinazione e l’assoggettamento dei fatti alla sua valutazione dei fatti! Oriana non partiva dai fatti oggettivi, ma dalla personalissima valutazione di essi: non descriveva la realtà in modo distaccato, oggettivo, imparziale, per consentire al lettore di poterla recepire correttamente ed eventualmente per maturare una propria valutazione anche difforma alla sua. Niente di tutto questo: ciò che Oriana offriva al lettore era esclusivamente la sua interpretazione dei fatti, farcita in modo soggettivo, con il sottinteso che quella valutazione personale corrispondesse alla verità! Detto sinceramente, nei suoi scritti il protagonista assoluta si chiamava Oriana, non la realtà descritta, non i soggetti di cui si occupava. Il fine della sua scrittura era esclusivamente di comunicare <<come la pensa Oriana>>, non di trasmetterci una corretta, obiettiva, integrale rappresentazione della realtà. Tutto ciò ha rappresentato il suo successo, la nascita di un marchio di fabbrica e, parallelamente, l’insorgere di schiere di detrattori, di avversari, di nemici. Di haters, diremmo con linguaggio attuale!”
Da molti anni difendi l’Italia, il nostro comune Paese!
Già! Un italiano che per il coraggio mostrato nel difendere il suo Paese, da qualche anno vive praticamente blindato: il 14 aprile del 2003, mentre mi accingevo da Kuwait City a partecipare ad una puntata di “Porta a Porta”, con Bruno Vespa che si trovava nell’Emirato, ricevetti una telefonata da un alto dirigente del Sisde che mi informava che fonti arabe altamente attendibili gli avevano comunicato il forte risentimento di Hamas per le mie posizioni di condanna del terrorismo suicida palestinese e l’intenzione di uccidermi se avessi continuato nella critica; mi fu consigliato di rientrare immediatamente in Italia dove sarei stato protetto più facilmente. Iniziò, così, la mia vita sotto-scorta, quasi condividendo la comune missione di Oriana: il dovere di raccontare la verità!”
Cronache delle Calabrie, p. 21 Egidio Lorito, 03 /04/2017