Franco-Galiano-Interpretazione-esoterica

Incontrare Franco Galiano può portare con sé almeno due esperienze apparentemente opposte: da un lato, si corre il rischio di inerpicarsi su sentieri sin troppo elevati, colti e raffinati lungo la strada che conduce alla poesia, all’interpretazione letteraria, alla fine ricerca, insomma; dall’altro, per fortuna, si riesce a ripiegare, molto più facilmente, su una quotidianità ordinaria, naturale, frutto del retroterra sociale ed umano di questo simpatico intellettuale che continua a definirsi “organico al territorio”.  
Allora, Franco Galiano, quale strada imbocchiamo?
“Rimaniamo con i piedi per terra! Mi onoro di essere figlio della società contadina ed artigiana calabrese, in cui ho trascorso l’infanzia all’interno di un piccolo centro collinare della costa tirrenica cosentina, con sguardo su un mare metafora di avventure, di miti, di libertà e di anarchia spirituale. Ricordo ancora una natura magica, bucolica prima della triste partenza per gli studi superiori a Roma e Verona e, poi, dell’atteso ritorno in Calabria.

E come potrei tradire le mie origini! Con quella società, che certo non è quella di un Sud arcaico e primitivo, idilliaco e rassicurante  ma, semmai, l’esempio di una comunità  in fieri, i rapporti sono ancor oggi più vivi che mai: si tratta di un laborioso microcosmo che soffre e gioisce, a volte conflittuale in una economia povera di sussistenza, ma che non smarrisce mai  la speranza  del riscatto, tra solidarietà ed identità. Con la cornice del paesaggio bruzio, solare ed estatico, a stregare per la sua inquietante bellezza”. 

Rassicuriamo i lettori: Franco Galiano, ha mantenuto un legame ancestrale con quel passato!
 “E come avrei potuto tradirlo! E’ accaduto di recente anche con la mia quindicesima fatica letteraria, “La Terra del Mazzuco” (Edizioni Accademia del Peperoncino, Diamante), silloge di raccolte poetiche in vernacolo, variante del dialetto calabrese della Riviera dei Cedri, con influenze lucane e basso-campane. In noi risiedono le radici di una antica concezione del lavoro, dei rumori e della musica della festa a rappresentare una forza espressiva da non cancellare se non si vuole smarrire  la propria identità, i riferimenti simbolici, i valori rurali lungamente interiorizzati. Era necessario ricorrere all’uso del dialetto, cercando soprattutto,  sulla scia della tradizione letteraria (da Padula a Pasolini), di sottrarre la parlata vernacolare  al ruolo di espressione ingenua e folclorica del mondo popolare, per farne un linguaggio autentico senza tempo. Una barriera contro l’italiano anonimo e banalizzato, vittima della modernità, del consumismo e della omologazione selvaggia. Il dialetto come lingua contestativa e memoriale. Tranquillizzo i miei estimatori: sono sempre quello di sempre: un intellettuale calabrese impegnato, organico al territorio e disorganico alla politica”.
D’accordo! Poi però arrivano le pagine su Gioacchino Da Fiore e la prospettiva culturale cambia!
“Ci troviamo innanzi ad una tra le più complesse e feconde personalità dello spiritualismo medioevale, il cui messaggio è per molti aspetti attuale, ben lungi dall’essere stato completamente interpretato e studiato, con la sua dottrina storico-mistica che abbraccia idee grandi ed universali, soprattutto sul versante dell’esoterismo, del simbolismo numerico e del misticismo”.
Ecco: Perché tanto interesse per Gioacchino da Fiore?
“La terza ristampa di “Interpretazione esoterica della storia in Gioacchino da Fiore, frate calabrese” (Brenner, Cosenza) mi ha dato l‘opportunità di aggiungere  nuove tematiche alle precedenti, quali l’esercizio messianico dell’Abate, la sua scrittura profetica, la Regola dei Cenobio Florense, i rapporti della simbologia gioachimita con l’esoterismo della Massoneria e soprattutto il dialogo con i valori spirituali del  mondo ebraico .
Gli Ebrei sono una costante: Gioacchino e Galiano…
“Gioacchino conosceva la diaspora del popolo ebraico fin nei più prossimi avvenimenti drammatici e ben conosceva il primo mostruoso “pogrom” che la storia europea ricordi, accadimento terribile nel quale, orde di pellegrini, convinti che la fine dei tempi fosse arrivata e prossimo fosse il giorno del giudizio, si gettarono sulle prospere e pacifiche comunità ebraiche del Reno, massacrando donne e bambini, a Colonia, durante una fiera, infiammati dalla parola apocalittica di predicatori randagi e guidati da sinistre figure di cavalieri predoni. Molte donne in quel sabato santo del 1096, uccisero i loro piccoli per non vederli massacrare da quei cavalieri divenuti briganti. L’abate calabrese, respingendo i motivi tradizionali contro gli Ebrei, rivolge a questi l’invito -exortatorium- al dialogo ed alla riconciliazione, in quel suo intenso libello, Adversus Iudeos, nel quale non la volontà di convertire ma lo scambio del confronto anima lo scritto, per cogliere il tratto universale nelle pur diverse fedi e per dimostrare come la storia religiosa del popolo ebraico non sia se non la preparazione dell’avvento del Cristianesimo con l’imminente giorno del solenne convito della riappacificazione (Audite haec, o viri Iudei, et accipite hilares verbum pacis...)
L’Abate come teorico del dialogo interreligioso…
“Gioacchino sapeva benissimo che solo il dialogo può favorire la pace, mentre la chiusura ed il rifiuto non possono se non divenire il seme mortale dei conflitti e del disastro mostruoso. Appello che risuona altissimo ed attuale in un momento epocale in cui la Chiesa, con Papa Francesco, si proclama coinvolta nel cammino di ricerca della verità e sembra più disposta al riconoscimento, pellegrina per le strade del mondo, delle sue responsabilità storiche con l’exortatio all’umiltà ed al reciproco dialogo”.
La spiritualità auspicata da Gioacchino con tecnologia e scienza traboccanti?
“Dopo una serie di discorsi sulla eclisse del sacro, dell’esoterico, sui trionfi della secolarizzazione e del materialismo edonistico, pare che, in questa nostra società dai tratti, per molti versi, inquietanti e confusionari, si riaffaccino, con decisa rivincita, il misticismo e la ricerca spirituale quali elementi centrali di una esperienza intima e diretta, che chiama in causa la persona umana nella sua complessità. Davanti a noi, la presunzione della cultura tecnologica e la volontà di dominio possono preparare la catastrofe e la fine, ma noi uomini, che professiamo la tolleranza ed il dialogo, riteniamo che la percorribilità di tale strada possa essere evitata, purché l’uomo contemporaneo si impegni a individuare sentieri alternativi culturali che possano salvarlo”.
Che fare allora?
“C’è bisogno, infatti, in un mondo globalizzato, di un nuovo umanismo che vada alla scoperta di valori spirituali lontani da ogni forma di fanatismo e di integralismo, un umanesimo dove la forza della coscienza combatta la passività morale e il compromesso omertoso, e ritrovi la propria dignità: un umanesimo che punti dritto alla  difesa dei diritti umani e valorizzi tutti quei fermenti che ogni creatura umana si porta dentro con dignità; un umanesimo, insomma, che apra spazi sempre più vasti all’uguaglianza e alla tolleranza, perché senza di questa non è possibile stabilire quel rapporto capace ed intelligente di rendere l’umanità libera, uguale, fraterna e lungimirante. Ora, questa esigenza la troviamo nelle prediche appassionate ed in molte pagine alte e ispirate di Gioacchino da Fiore, stese in una prosa densa che emana, a volte, suggestivi bagliori, assieme ad un dispiegamento di metafore, di simboli e di figure allegoriche, che risultano efficace ed illuminante chiave di lettura, di comprensione, di classificazione e di svelamento della realtà storica”.
Gioacchino/Galiano individua una linea mistica e religiosa calabrese?
“Gli impeti lirici, le suggestioni, misteriosofiche, le visioni apocalittiche di universale palingenesi vengono, come influsso, a Gioacchino da lontano: dalla grecità stessa della Calabria, da Pitagora e dalla scuola orfica di Locri e dal monachesimo basiliano, che si travaseranno poi in Francesco da Paola, in Campanella, in Padula e, fuori della nostra regione, nelle più avvertite e sensibili personalità cristiane dell‘Occidente, compreso l’attuale Papa Bergoglio. C’è, dunque, nella nostra Calabria un’anima latente di misticismo e spiritualismo messianico che aspetta con studi e ricerche, ma soprattutto con urgenza morale, di essere portata  alla luce”.
Ce lo confessi! Franco Galiano è più poeta o saggista?
“Entrambe le cose. Non sempre c’è distinzione: si può essere anche poeti in prosa. Ciò che unifica e fa la differenza è sempre lo stile, la forza espressiva, la disposizione fantastica e sentimentale con cui si scrive. Sono organico anche in questo…”.
Cronache delle Calabrie                                 Egidio Lorito, 19/01/2017

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