Helzel spiega il successo editoriale di “Dike kai Nomos”
Quando videro la luce, tra il 2011 ed il 2012, i quaderni di Dike kai Nomos rappresentavano una scommessa scientifica ed editoriale all’interno di un settore che in Italia risulta quasi saturo, colmo com’è di decine di riviste di indiscusso pregio, alcune delle quali si collocano su un piano di assoluto prestigio scientifico, soprattutto nel settore disciplinare delle scienze giuridiche e politologiche. Cinque anni dopo è già tempo dei primi bilanci: nati per rivolgersi a studenti, studiosi ed esperti di problematiche giuridico-istituzionali e politico-sociologiche, intanto hanno raggiunto l’obiettivo di rappresentare anche un’Università ed un Dipartimento: un biglietto da visita -quest’ultimo- che già da solo ne attesta un primo risultato. E così, grazie all’ampio ventaglio delle problematiche affrontate con la necessaria competenza tecnica, i “Quaderni” hanno trovato naturale collocazione anche all’interno della biblioteca ideale di chiunque vorrà confrontarsi con le più stringenti problematiche della società contemporanea, evidentemente complessa, a voler soppesare le ricerche di giuristi e politologi, come le riflessioni del cittadino qualunque.
Professoressa Helzel, in poco tempo la rivista Dike kai Nomos si è ritagliata uno spazio nel campus di Arcavacata e nel panorama accademico nazionale.
“Era l’obiettivo minimo che ci eravamo prefissi sin dall’uscita del primo numero, ovvero dare vita ad un piccolo laboratorio cartaceo capace di coniugare le esigenze di studio e ricerca non soltanto degli addetti ai lavori -docenti, ricercatori, tesisti, studenti- quanto anche di appassionati delle discipline politico-giuridiche, tutti in grado di trovare tra le pagine quante più sollecitazioni e stimoli possibili in settori praticamente sterminati come quello giuridico e politologico, caratterizzato da un numero impressionante di strumenti di ricerca a tutti i livelli. E diciamo, pure, che la nostra Università e la Facoltà di Economia in cui nacque nel 2011 hanno potuto beneficiare dell’iniziativa editoriale. Con molto orgoglio siamo riusciti a dotare il nuovo Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche -che intanto ne ha preso il posto- di un quaderno accademico di ricerca e pubblicazione: in un certo senso, la rivista si pone come l’house organ della ricerca scientifica di questa parte dell’Università, dei cubi giuridico-economici”.
Ne risultano potenziati gli strumenti di ricerca?
“Credo proprio di sì. Utilizzando ancora la terminologia anglosassone, crediamo di aver raggiunto la nostra mission! Ovvero di esserci incamminati -almeno- sulla buona strada: la cultura politico-giuridica fa da carburante all’iniziativa al fine di promuovere una rivista scientifica destinata ad impersonare, nel tempo, il valore e la qualità della ricerca nell’Ateneo. Con una grande quantità di variabili presenti: dal dialogo internazionale ai nuovi spazi politico-giuridici, dal confronto con diverse scuole di pensiero sino all’analisi dei più innovativi strumenti di settore; tutti obiettivi ambiziosi che “Dike kai Nomos” intendeva raggiungere sin dai primi numeri, e che, ora, a cinque anni di vita, sicuramente è riuscita a fare suoi, anche coinvolgendo le autorità accademiche dell’Ateneo che hanno accolto l’invito teso a stimolare la ricerca scientifica di settore”.
Paola Barbara Helzel è Professore Associato di Filosofia di Diritto nell’ateneo di Arcavacata: nota per i suoi studi su Hannah Arendt, da vicedirettore della rivista -insieme al collega Renato Rolli, Associato di Diritto Amministrativo- coordina un corposo Comitato Scientifico chiamato ad attribuire, sin dall’inizio, alla nuova iniziativa editoriale quel valore accademico indispensabile per farle compiere il necessario salto di qualità. Solo così è stato possibile avvistare sulle pagine della rivista, accanto a ben noti docenti dell’Ateneo calabrese come Gian Pietro Calabrò, Enrico Caterini e Raffaele Perrelli, prestigiosi nomi della “Sapienza” di Roma quali Augusto Cerri e Filippo Satta, della Luiss di Roma come Antonio Baldassare, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, dell’Università del Salento come Saverio Sticchi Damiani, dell’Università dell’Aquila come Loredana Giani o della celebre “Complutense” di Madrid come Martìnez Sicluna y Sepulveda, oltre ad un corposo gruppo di colleghi di varia nazionalità europea, proprio a sottolineare il carattere “sovranazionale” della stessa iniziativa editoriale, diretta da Artur J. Katolo dell’Università Atheneum di Danzica.
Tra i primi contributi, spiccava quello di Antonio Baldassarre, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, sulla c.d. “Costituzione dei valori”
“Un giurista del calibro di Baldassarre ci inorgoglì! Ricordava il cinquantenario di uno storico incontro di studio tenutosi nell’autunno del 1959 ad Ebrach, in Baviera, in cui un mostro sacro della scienza giuridica e politica come Carl Schmitt -grazie al suo allievo Ernst Forsthoff- sottopose a critica serrata la presunta neutralità dei valori, sviluppando un discorso nel quale si combinano, mirabilmente, elementi storiografici e considerazioni teoriche di grande rilievo. Il pensatore tedesco si concentra, infatti, sull’origine della filosofia dei valori, individuandola, come aveva fatto Heidegger, nella reazione alla crisi nichilistica della seconda metà del XIX secolo. Insomma: Baldassare diede prova, proprio sulla nostra rivista, della sua possente cultura giuridico-filosofica, ciò che serviva, evidentemente, per il lancio della rivista”.
Nel testo c’era un singolare tributo sul perdono...
“Sì, ad opera di Anna Jellamo, Ordinario di Filosofia Politica nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali che ripercorse la storia di un concetto che oggi più che mai, a livello multiculturale, segna la nostra stessa vita quotidiana. Sottolineò, la docente, come <<i filosofi della politica lo ritengono, a ragione, un gesto unilaterale, gratuito. E’ un atto perfetto in sé: non necessita di accettazione, può essere ignorato, addirittura respinto: l’indifferenza dell’altro non ne altera la natura, il rifiuto non ne corrode l’essenza. Il perdono è un atteggiamento dell’animo. Dimora nell’interiorità di chi lo dona: il perdono è un atto invisibile. E’ termine di una dimensione personale, momento di una vicenda esistenziale unica e dunque non riproducibile. Non è imponibile, non è universalizzabile; non è neppure giudicabile>>. Quanta attualità in quelle pagine!”
La rivista mostra un ampio respiro culturale: moda o fine scientifico?
“Dobbiamo certamente rimanere al passo dei tempi e poi, considerando la vastità degli argomenti affrontabili nell’incrocio tra il diritto, la politica, l’economia, la comunicazione, le scienze sociali, non potevamo permetterci di rinchiuderci a guscio puntando ad analizzare argomenti o aree tematiche che spesso si situano in contesti angusti, distanti dalla vita quotidiana dei cittadini, rappresentati, invece, dai nostri studenti e dai nostri docenti. Ecco, volevamo una rivista viva, aperta, moderna in cui più temi dell’ampia categoria delle scienze umane trovassero collocazione e cittadinanza: una sorta di laboratorio in costruzione, seguendo le stesse direttive dell’Editore Falco che ha condiviso con noi, sin dall’inizio, la strategia scientifica dei quaderni”.
Prendo in prestito il titolo di un Suo saggio, “Il diritto ad avere diritti”. La rivista punta alla realizzazione di quest’obiettivo?
“Direi proprio di sì. In un mondo che muta profondamente sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche, il destino dei diritti e dei doveri sembra naufragare nella mutevole insicurezza della virtualità dei rapporti. In quel mio volume intendevo indicare alcune coordinate che, pur nel fluire instancabile del nostro vivere quotidiano, possono costituire gli <<astri amici>> utili a orientarci verso una visione del diritto, che non si limiti al ruolo servile nei confronti del dispotismo del mercato, ma che si ponga invece al servizio della persona umana, quale soggetto di diritti e doveri. Di fronte alla complessità della vita, la scienza giuridica -unitamente alle altre chiamate a raccolta tra le pagine della rivista- è, oggi più che mai, tenuta a dare delle risposte ragionevoli, mediante un processo di semplificazione che evidenzia non solo la sua veste scientifica, ma anche la sua funzione di tutela dei valori della nostra società. In quel mio saggio analizzavo, ad esempio, il concetto di “cittadinanza” nel lessico filosofico, sociologico, politico e giuridico ovviamente, soprattutto per la circostanza che in questo concetto confluiscono sia l’identità politico-giuridica dell’individuo quanto l’idea della sua partecipazione alla vita politica con tutto quel corredo di diritti e doveri che noi cittadini ben conosciamo nell’ambito della nostra vita quotidiana. Ecco, “Dike kai Nomos”, in un certo senso, segue quel filone”.
Rigore scientifico, linguaggio chiaro, autori noti nello scenario accademico, argomenti attuali e, perciò stesso, di largo consumo universitario stanno contribuendo, numero dopo numero, a segnalare “Dike kai Nomos” quale semestrale ambizioso che non manca di offrirsi a supporto di quanti vorranno confrontarsi con il binomio “la politica-diritto”, cercando di ridurre le distanze tra la cultura scientifica di settore e la ricerca-studio di più facile utilizzo tra le aule universitarie. Anche tra i cubi di Arcavacata.
Cronache delle Calabrie, pag. 30 Egidio Lorito, 09/02/2017