“Tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta del XX secolo, il sistema dei media, e con più enfasi il sottosistema televisivo, proiettò, amplificò e replicò su scala mondiale alcuni straordinari eventi riguardanti principalmente i paesi dell’Est Europa ma anche altre parti del pianeta con l’innescarsi di processi di partecipazione politica dalla portata inusitata, quando non addirittura rivoluzionaria”.
Il tema è di quelli sensibili, di quelli che maggiormente scaldano il dibattito politico a tutti i livelli, dalla ricerca accademica alla discussione anche in sedi non propriamente scientifiche e Francesco Raniolo -Ordinario di Scienza Politica all’Università della Calabria ove è direttore dal 2016 del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali- da una quindicina d’anni affronta l’argomento oggetto di questa conversazione.
Professore, partiamo proprio dagli eventi cui accennava…
“Si, ma facciamo anche una breve premessa. Il rapporto tra democrazia e partecipazione è di fatto inestricabile, i due oggetti-concetti si rispecchiano l’uno nell’altro, perchè parlando dell’uno finiamo per parlare dell’altro. Da un punto di vista teorico ed analitico, una prima distinzione è di guardare a questo rapporto da un punto di vista genetico, quello della democratizzazione, che affonda le radici nell’Europa del XVIII secolo e, successivamente, dal punto di vista del funzionamento stesso dei regimi democratici. Nel primo caso, siamo nella prospettiva della transizione democratica, nel secondo, invece, della qualità democratica o, in negativo, del suo deterioramento, tema oggi molto avvertito se solo pensiamo al successo di espressioni come post-democrazia, contro-democrazia; o più semplicemente de-democratizzazione, tema che affronto nella mia recente pubblicazione, partendo dal rapporto tra partecipazione e democratizzazione. Segnatamente, una serie di eventi epocali, per la prima volta nella storia dell’umanità, venivano seguiti in tempo reale, a partire dal già ricordato crollo del muro di Berlino nel 1989: l’irruzione di uomini e donne nella scena politica entrava nelle case di milioni di cittadini, con un forte impatto mediatico, sociale, psicologico, culturale: insomma, politico. E’ la mediazione della televisione tradizionale e di quella satellitare, poi dei telefonini e di Internet! Si pensi, ad esempio, all’esperienza drammatica, specie negli esiti, della rivolta tunisina dei gelsomini del 2011, ed al tradizionale avvio di un processo di liberalizzazione, all’emergere di uno <>, con la diffusione di un’effervescenza collettiva che alimenta l’impegno e surriscalda la partecipazione”.
Qui si innesta il secondo punto di vista, quello del funzionamento …
“É proprio così. I due motori della democrazia sono la partecipazione e la competizione: se questi si inceppano o funzionano male abbiamo una crisi <> democrazia. Ovviamente la democrazia non è fatta solo di partecipazione, e questa è una visione un po’ romantica, direi ingenua: negli anni ’70, Norberto Bobbio ricordava, comunque, che la questione della partecipazione in democrazia è sia un problema di quantità che di qualità: quanti partecipano, ma anche come e perché partecipano e, quindi, con quali esiti. Oggi, da un lato, si dice che la gente partecipa poco e sempre meno, ma l’ultimo referendum costituzionale in Italia e quello inglese noto come Brexit, ci avvertono che quando la posta in gioco diventa la sfida diretta alle classi governanti, le elezioni possono produrre sorprese. E’ il tema della qualità della partecipazione, del rischio della sua manipolazione da parte dei media o di gruppi di interesse: oggi si parla di post-democrazia! Nell’era di Internet, tutto questo si complica, con il tema della quantità che diventa <>: ad esempio, l’ultimo rapporto-Istat sul benessere equo e sostenibile (Bes) del 2016 ci dice che l’intensità di uso di Internet (per 100 residenti tra i 16 e i 74 anni) è in Italia del 63%, ben al di sotto della media europea, e in Calabria e Sicilia questo valore scende ancora al 53%. Senza dimenticare i rischi di manipolazione e distorsione delle informazioni -pensiamo al recentissimo termine <<post-verità>>. La partecipazione è oggi più che mai legata alla qualità dell’informazione”.
Sarà anche per queste ragioni che risulta difficile abbozzare una definizione e individuarne gli aspetti salienti?
“In effetti, è proprio così. Ma questa difficoltà è nella natura di gran parte del lessico politico, poiché questo riflette registri linguistici diversi. Dal linguaggio-azione dei politici, a quello comune dei cittadini per arrivare al linguaggio riflettuto di intellettuali ed accademici, con tutte le distinzioni tra punti di vista empirici (quello dello storico o dello scienziato sociale) e normativi (quello del giurista o del filosofo). In generale, il cittadino ha ben chiaro in mente cosa vuol dire partecipare alla vita politica, anche quando si astiene, tanto più quando il ritiro nel privatismo avviene per protesta piuttosto che per mera apatia o disaffezione. Inoltre, sempre di più -e i sondaggi ce lo dicono chiaramente- la partecipazione sociale o civica viene preferita a quella politica: magari non voto, ma comunque sono iscritto ad una associazione di volontariato; non leggo di politica, ma faccio vita di parrocchia, e così via. Quanto agli aspetti salienti mi limito a ricordare, innanzitutto, che la parola partecipazione ha un doppio significato: <> che implica un fare qualcosa per produrre certi esiti, e <> di un gruppo, di una comunità. C’è, poi, come accennavo, la situazione ben diversa di chi è incluso -ha i diritti- ma per varie ragioni non partecipa, e il punto qui è forse un altro: quando io prendo parte perché sono parte e sento di essere parte, la mia partecipazione è più intensa, più convinta, più efficace. Anche se non raggiungo l’obiettivo, ho contribuito a rafforzare il gruppo: ci sentiamo più coesi, abbiamo consolidato la nostra solidarietà e il singolo cittadino si sente più forte perché non è più solo. In questo senso, con Ignazio Silone si potrebbe dire che la partecipazione politica implica una <>: partecipiamo guardando ai problemi collettivi (partecipiamo per), agendo con altri (partecipiamo con).
Spero che il cittadino-lettore non si disorienti!
“La scienza politica nasce e si muove dalla vita quotidiana. Basti pensare all’uso che facciamo, nel linguaggio comune, di espressione quali partecipare ad una festa, o ad un matrimonio, o ancora ad un lutto, o al dolore di una persona cara. In tutti questi casi noi usciamo dalla nostra individualità (siamo una parte che guarda oltre) per essere e sentirsi vicini a qualcuno. E quando partecipiamo, nel senso più pregnante del termine, i costi diventano benefici”.
Scendiamo ancora nel livello dell’analisi: chi partecipa e perché?
“Rispondere a questa domanda mi dà la possibilità di introdurre una terza precisazione. Dal punto di vista politico la partecipazione prende di petto il <>, nel senso che lo vuole edulcorare, rendere più mansueto e controllabile. Ciò attraverso due modi complementari, influenzando e decidendo: il primo indica la partecipazione tipica delle democrazie rappresentative, dove le donne e gli uomini cercano di influenzare/condizionare la selezione dei rappresentanti e governanti e le loro scelte e azioni (future e passate nel caso in cui si vogliono modificarle) attraverso azioni convenzionali (quali il voto) e non convenzionali (come la protesta); il secondo, è più esigente e richiede che sia lo stesso cittadino a decidere: non scelgo chi deciderà per me, ma cosa ritengo più giusto per me. La qualità delle democrazie del futuro si gioca tutta in questo ambito: quanta e quale partecipazione riconoscere; quanti e quali punti di vista e interessi includere; quanto le decisioni devono essere selettive o inclusive”.
Non possiamo dimenticare gruppi, movimenti e partiti!
“La partecipazione è essenzialmente un fenomeno collettivo: movimenti, partiti politici, sindacati, gruppi di interesse, associazioni di vario tipo sono i protagonisti del fenomeno di cui parliamo. In fondo, secondo la teoria del cosiddetto <>, le persone partecipano perché sono chiamate da altri come loro, coinvolte in reti associative e di relazioni, e partecipando impariamo a partecipare. Del resto, quando si indeboliscono le organizzazioni politiche e prevalgono i gruppi di interesse è forse peggio!”
A proposito: siamo nell’era della comunicazione mediatizzata!
“La partecipazione democratica è andata a braccetto con lo sviluppo dell’opinione pubblica e della comunicazione. Se per buona parte del Novecento la comunicazione -in particolare- è stata figlia dei grandi partiti di massa, oggi il quadro è radicalmente cambiato: quei partiti si sono dissolti e la politica tende ad essere sempre più personalizzata, il che richiede un ingente investimento sull’immagine dei leader. Con l’avvento della Tv satellitare, della telefonia mobile e soprattutto di Internet, siamo entrati in una nuova stagione di rivoluzione nella tecnologia dell’informazione: oggi la politica -ammesso che lo sia stato in passato e l’insegnamento di MacLuhan pone al riguardo più di un fondato dubbio- è alla rincorsa della comunicazione: sfera pubblica illusoria, mediatizzazione della politica, <>, cyber politics. Costruire l’agenda pubblica, informare (nel senso etimologico) l’opinione pubblica, mobilitare con un clic simpatizzanti, sono potenti strumenti di consenso. Peccato che realizzano una democrazia dell’audience piuttosto che dei cittadini. Comunque, partecipare significa <> e questo conviene sempre!”
Cronache delle Calabrie, pag. 23 Egidio Lorito, 30/01/2017