Quando il 21 luglio del 1979, dopo aver sorseggiato un caffè nella caffetteria Lux di via Di Blasi, a Palermo, Boris Giuliano cadde sotto i colpi esplosi con una Beretta 7,65, a poca distanza ed alle spalle, da un sicario del calibro di Leoluca Bagarella, si intuì che la mafia aveva eliminato non solo un poliziotto abile ed intelligente, all’epoca capo della Squadra Mobile del capoluogo siciliano, ma -soprattutto- un servitore dello Stato destinato, immediatamente, ad entrare nell’Olimpo delle indimenticabili vittime dell’arroganza e dello strapotere criminale mafioso. Uno di quelli, forse mai del tutto ricordato pubblicamente per come avrebbe meritato, che invece ha trovato nel cuore della gente comune il suo luogo della memoria. Gente comune e familiari che avrebbero dovuto attendere addirittura sino al 1995 per assistere alla condanna all’ergastolo, all’esito del processo, dei boss mandanti di quell’omicidio, quali Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nenè Geraci e Francesco Spadaro, oltre che dello stesso esecutore materiale del delitto.
Per fortuna, la parabola della memoria compie il suo corso inarrestabile, e dopo quattro decenni esatti, il prossimo primo giugno, suo figlio Alessandro, attuale direttore del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, si insedierà quale nuovo Questore di Napoli, nella storica sede di Via Medina. Come dire: si compirà un ennesimo miracolo a quarant’anni esatti dalla tragica fine di un ragazzo che quando cadde sotto i colpi della mafia, nella sua Palermo, di anni ne aveva appena quarantanove. Classe ’67, entrato in Polizia nel 1990, con prima destinazione Milano, per poi diventare capo della Mobile di Padova, Alessandro Giuliano vanta un curriculum costellato da successi che lo hanno continuamente portato alla ribalta delle cronache giudiziarie, come la cattura, nel 2001, del c.d. mostro di Padova, al secolo Michele Profeta, sino alle vicende della “Mala del Brenta”, l’organizzazione criminale di stampo mafioso sorta in Veneto negli anni settanta, ed estesasi nel resto dell’Italia nord-orientale, che ha insanguinato quella parte del Paese sino all’arresto ed al pentimento del capo Felice Maniero, alias “faccia d’angelo”: le indagini dimostrarono come in agenda quel gruppo criminale aveva anche l’eliminazione fisica di Giuliano, a dar seguito alle dichiarazione del collaboratore di giustizia Raffaele Vassallo. Dopo vent’anni esatti, Alessandro Giuliano torna nella città partenopea, dove tra il 1997 ed 1999 era stato funzionario della locale sezione “Catturandi” della Mobile: nel 2009 arriva a dirigere la Mobile di Milano, poi la promozione a Questore, avvenuta appena tre anni addietro, quando si era insediato a Lucca. Sino ai vertici della questura di Reggio Calabria ed all’ultimo importante e significativo traguardo, la direzione, dal marzo di due anni fa, del Servizio Centrale Operativo, la punta investigativa della Polizia di Stato, che lo ha visto coordinare la lotta contro quella che è ormai diventata la “mafia borghese”, passata saldamente nelle mani di Matteo Messina Denaro, l’attuale capo mafia che, con una condanna all’ergastolo per le stragi di inizio anni ’90 e la sua latitanza, è divenuto il nemico numero uno dello Stato, capace di trasformare Cosa nostra in una sorta di holding criminale, tra traffici di droga ed appalti. “Napoli non la si conosce mai fino in fondo”, ama raccontare della città di cui sarà il vertice massimo della Polizia: una realtà praticamente a sé stante nello scenario italiano, stretta com’è tra la sua lunga storia di capitale e di stratificazioni culturali millenarie e l’attuale complessità sociale che passa, inevitabilmente, per quartieri-fortino della nuova criminalità, nuovi padrini dal grilletto facile, ferocia quotidiana, scorribande e “stese” tra i vicoli, come solo l’ultima vicenda della piccola Noemi ha drammaticamente dimostrato. Una nuova storia nel segno di suo padre Boris, il leggendario capo della Mobile di Palermo.
Egidio Lorito “Libero” / Attualità 01/06/2019