I mafiosi nigeriani usavano una chiesa come covo per la refurtiva

Può una mafia spadroneggiare nel territorio storicamente occupato da un’altra organizzazione mafiosa? Sembrerebbe impossibile, ma pare che le cose stessero proprio così, e non da oggi, a Palermo, dove da alcuni anni la mafia nigeriana, detta “mafia di Langtan” -dal nome dell’omonima città della Nigeria- si era elevata al rango di potenza criminale. Nata una quarantina di anni addietro a seguito della crisi petrolifera che destabilizzò il Paese del centro-Africa, era riuscita a mimetizzarsi all’interno dei devastanti scontri etnico-politici nigeriani, riuscendo ad imporsi grazie a metodi medievali che l’avevano consacrata come una delle più pericolose organizzazioni criminali del mondo. E a Palermo i nigeriani avevano messo radici salde, se è vero che negli ultimi tre anni quella di ieri è la terza maxi-operazione che vede coinvolti i gruppi di origine africana che, all’ombra del Monte Pellegrino, avevano assunto il teutonico nome di “Viking”. “Oggi è stata colpita la cellula di una organizzazione che opera a livello nazionale e transnazionale, che è quella dei Viking.

Le nostre attività hanno riguardato particolarmente il territorio dove questa cellula opera, Ballarò, e sono state arrestate altre persone dedite allo sfruttamento della prostituzione”. Rodolfo Ruperti, capo della Squadra Mobile di Palermo, ha lo sguardo pacato e rassicurante, ma nel curriculum di questo cinquantaquattrenne poliziotto calabrese di Crotone, che per anni ha lottato la mafia di casa sua -la ‘ndrangheta- c’è tutta la determinazione e la soddisfazione composta di chi sa di aver messo a segno un colpo epocale. L’operazione “Disconnection zone”, eseguita dalla Polizia di Stato e coordinate dal procuratore aggiunto della Dda della Procura palermitana, Salvatore De Luca, e dai sostituti Gaspare Spedale, Chiara Capoluongo e Giulia Beux, si è avvalsa della collaborazione di uno dei capi del sodalizio e del suo braccio destro, pronti a collaborare ed a rivelare i consolidati equilibri fra le confraternite che spadroneggiavano addirittura in uno dei luoghi simbolo della Palermo criminale, ovvero lo storico quartiere di Ballarò, al cui interno, tra vicoli inaccessibili, i sodali utilizzavano addirittura una chiesa come nascondiglio per i proventi criminali. Ieri si è dato seguito alle due precedenti inchieste denominate, rispettivamente, “Black Axe” e “No fly zone”, che avevano già permesso di radiografare la mappa della mafia nigeriana arrivata ad insediarsi nel tessuto economico e criminale di Palermo, tra spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione nelle “connection houses” e violenti raid intimidatori.    
  
Egidio Lorito  “Libero” / Attualità                                12/07/2019 

 

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