Boss al carcere duro, ma decideva tutto

Antonino Caridi, attraverso la moglie, spediva “pizzini” con cui continuava a dare ordini
Non era ancora l’alba di ieri, a Reggio Calabria, quando 150 agenti della Polizia di Stato, sotto le direttive della Dda presso la Procura della Repubblica e coordinati dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dai sostituti Stefano Musolino e Walter Ignazitto, eseguivano di 17 ordinanze di custodia cautelare, 12 in carcere e 5 agli arresti domiciliari, a carico di altrettanti indagati con la pesante accusa di essere affiliati, o comunque contigui, alla potente cosca Libri. Associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, turbata libertà degli incanti, porto illegale in luogo pubblico di arma comune da sparo, con l’aggravate dell’agevolazione mafiosa, e tentata corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, sono le ipotesi investigative contestate anche a tre politici regionali di primissimo piano, tutti immediatamente sospesi dai rispettivi partiti, quali il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Sebastiano “Seby” Romeo, ristretto ai domiciliari, l’ex assessore regionale al bilancio, sempre in quota Pd, Demetrio Naccari Carlizzi, indagato ma non destinatario di misure cautelari, ed il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Alessandro Nicolò, per il quale si sono aperte direttamente le porte del carcere, con l’accusa di associazione mafiosa, quale referente politico delle storiche cosche di ‘ndrangheta Libri e De Stefano-Tegano.

Su Demetrio Naccari Carlizzi, cognato del sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatà, non coinvolto nell’inchiesta, pende l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto, in occasione delle più recenti e diverse competizioni elettorali, avrebbe chiesto e ricevuto corposi pacchetti di voti dalle cosche coinvolte, assicurando loro, in cambio, cospicui appalti. Sebi Romeo, invece, risulta accusato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio in concorso con un sottufficiale della Guardia di Finanza, il maresciallo Francesco Romeo, anch’egli arrestato, che chiedeva al potente politico reggino di far assumere una persona presso un’impresa di trasporti ed autolinee, in cambio di informazioni, coperte da segreto istruttorio, riguardanti procedimenti penali pendenti presso la Procura cittadina. Coinvolti anche gli imprenditori Francesco e Demetrio Berna, il primo anche presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili di Calabria, ritenuti “di riferimento della cosca Libri” e dediti all’investimento ed al riciclaggio, di ingenti capitali della cosca, indisturbati grazie alla protezione ricevuta in cambio. L’inchiesta ha messo in luce il ruolo di Antonino Caridi, detenuto, erede del defunto suocero Domenico Libri, detto don Mico, storico capo clan: sottoposto al carcere duro, continuava ad impartire direttive attraverso i colloqui con la moglie Rosa Libri e con l’avvocato Giuseppe Putortì, facendo giungere all’esterno le disposizioni anche attraverso missive dal contenuto criptico e con allusioni religiose.
Egidio Lorito  “Libero” / Attualità                            01/08/2019 

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