Alla cara memoria di Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013), scrittore, giornalista, “papà” del Trofeo Topolino, “cuore trentino”, la cui “Buona Neve” continua a posarsi sulle mie montagne…
Mare o montagna? Bella domanda, soprattutto per uno come me che è nato e vive in riva al Tirreno lucano-calabrese e frequenta le altezze da quasi mezzo secolo. Ne sono convinto: tutti coloro che amano la montagna o il mare nutrono il sogno nascosto di imbattersi, prima o poi, nei magici abitatori che popolerebbero i luoghi più reconditi di boschi e foreste o quelli più profondi degli abissi marini. E’ una certezza che si è rafforzata in me leggendo le storie, i racconti o le semplici impressioni di chi, di “montagna” o di “mare”, ha scritto per passione o per professione, andando alla continua ricerca del sentiero più sconosciuto come della rotta più esaltante, per conoscere un altro tipo di via, quella interiore, spirituale, intima, privata, coglibile -come ricorda Francesco Bevilacqua- grazie a “quel viaggio di scoperta eternamente in fieri, quella lunga avventura per valli, crinali, gole, foreste, pareti di roccia, grotte, (che) non hanno soltanto una dimensione geografica, ma anche un orizzonte interiore” .
La dimensione dell’esplorare acquista così il significato di una continua ricerca non solo geo-fisica: un continuo concentrarsi nello scoprire spazi dove far scorrere lo sguardo unitamente alla fantasia ed all’immaginazione, gustando panorami affascinanti nei quali rispecchiarsi, ricercando sé stessi oltre che il fascino della natura, riscoprendo il vero significato della vita oltre che ammirare un tramonto, un’alba, una cima candidamente innevata, un tratto di mare dall’azzurro incontaminato. Grazie a questo “modus explorandi”, intere generazioni di viaggiatori si sono avvicinati ad ogni sorta di elevazione, come a plaghe assolate, in un continuo rincorrersi di natura, tradizioni, storia: ed è proprio in questi angoli di paesaggio che ognuno di noi dovrebbe ricercare “elfi e sirene” e considerarli non soltanto personaggi fantastici, ma guide reali nel nostro “viaggio di ricerca”. A far scattare la scintilla per questo tipo di ragionamenti è stata la lettura, anni orsono, di un elzeviro di Dino Buzzati, pubblicato il 14 ottobre del 1948 sulle pagine del Corriere della Sera, in cui lo scrittore e giornalista bellunese dava il proprio personale suggerimento a tutti coloro che si avvicinavano alla conquista di una vetta: “Hanno obbedito alla montagna” -ricorda Luigi Borgo- vede l’autore impegnato a sostenere “innanzitutto la necessità di uscire da una visione ottocentesca, da anima bella, per cercare una soluzione efficace e alta della passione per la montagna (...). Per Buzzati la molla psicologica che porta l’uomo a salire le vette o scendere i pendii è la forte, naturale attrazione per l’immobilità e la ripidezza”.
Concetti, questi ultimi, ben cari a tutti gli escursionisti, ai “trekker” ed ai paesaggisti in genere, alla continua ricerca del punto più alto e ripido da cui osservare la vastità circostante in attesa della discesa a valle, discesa che non è solo movimento fisico di distacco dalla sommità appena raggiunta, ma momento di transizione in attesa dell’ascesa verso la prossima vetta: e proprio da questa condizione, il camminatore tra i monti riesce meglio a cogliere un sentimento di fascino, proprio perché amplifica la lontananza e quel “senso di mistero” che rapì Buzzati, per il quale “nei canaloni, non sulle pareti o sulle creste, vivono gli elfi, gli gnomi, gli antichi spiriti della montagna”. Guido Gozzano, Thomas Mann, Ernest Hemingway, Hermann Hesse, Massimo Mila, Vladimir Nabokov, Mario Soldati, Goffredo Parise, Mario Rigoni Stern, Scipio Slapater, Guido Piovene, Giorgio Bocca, Rolly Marchi -il mio indimenticabile amico Rolly!- hanno contribuito ad immortalare le stupende elevazioni alpine, tra poesia ed escursionismo: ma anche i mediterranei Appennini, soprattutto quelli della parte più meridionale d’Italia -che mi vedono loro testimone- pur nell’assoluta diversità strutturale, riescono a regalare sensazioni e stati d’animo di eguale spessore emotivo. Il torinese Carlo Levi, nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, era affascinato dai “monachicchi, esseri piccolissimi, allegri, aerei (che) corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetto; (…) ma sono innocenti (…), il loro carattere è una saltellante e gioiosa bizzarria, e sono quasi inafferrabili. Portano in capo un cappuccio rosso, più grande di loro; e guai se lo perdono: tutta la loro allegria sparisce”. In questa letteratura novecentesca si colloca il processo di formazione del mio personale iter culturale “in fatto di montagne”, tra cime, vette, declivi, pascoli d’alta quota, sentieri, boschi dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Sila, quel “Gran bosco d’Italia” che pare essere un concentrato di spiritelli e personaggi fiabeschi, pronti a far capolino nelle immense distese innevate, ai piedi di foreste di pino laricio, superbo esempio di vegetazione calabrese. Insomma, c’è la sforzo di andare alla scoperta di una sorta di presenza mistica di un luogo, di un suo guardiano, di un suo testimone muto -oggi diremmo di un testimonial…- che nella tradizione classica si è trasformato nella definizione dell’identità del luogo stesso. In un messaggio ecumenico, ci si trovi all’ombra dei celeberrimi picchi dolomitici, come in cima ai mediterranei Appennini che impreziosiscono la cultura di regioni come la Calabria e la Basilicata -ahimè ancora poco note al grande pubblico…- risulta quanto mai evidente che ciò che conta non sia la collocazione geografica, ma il particolare “sentire” e “ricercare” (Sehnsucht) in natura.
Difendiamoli i nostri monti! Proteggiamoli i nostri mari, perchè in essi sono racchiusi passato, presente e futuro, in un rincorrersi continuo di ricordi ed aspirazioni, nella consapevolezza che ognuno di noi, lungo quei sentieri e quelle rotte, sarà in grado di cogliere l’obiettivo più importante: sé stesso!
Libero, “Per le ferie, Mare o Monti” Egidio Lorito, 23/08/2019