Un’imponente operazione anti-‘ndrangheta eseguita dai carabinieri del Comando provinciale di Torino, con l’ausilio di oltre 400 militari, ha assestato un durissimo colpo a uomini e beni riconducibili ai clan calabresi stabilitisi da decenni nella cintura torinese, con base nei comuni di Settimo Torinese, Volpiano e San Giusto Canavese. Le settantuno richieste cautelari, firmate dal gip distrettuale Luca Fidelio su richiesta dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Torino, vanno dall’associazione di tipo mafioso al traffico internazionale di stupefacenti. L’inchiesta “Cerbero”, oggi condotta a termine grazie ad un’intensa operazione multi-forze, ha visto impegnati anche sessanta militari del Gruppo Torino della Guardia di Finanza che hanno notificato lo stesso provvedimento restrittivo ad altri 6 indagati, ritenuti responsabili, in seno al sodalizio criminale, anche di riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
Al centro dell’inchiesta le famiglie Assisi ed Agresta, riconosciute al vertice delle locali di ‘ndrangheta di San Giusto Canavese e Volpiano, oltre ad aver assunto la leadership nel narcotraffico tra l’Italia nordoccidentale ed il Sud America. Nicola Assisi, per anni latitante in Sud America, dove era stato arrestato lo scorso luglio nello Stato di San Paolo in Brasile insieme al figlio Patrick, aveva vissuto una latitanza da sogno tra ville con piscina ed una stanza segreta utilizzata per occultare ingenti quantitativi di denaro che, pare, ammontassero a ben 20 chili: si era specializzato nel traffico della cocaina di cui inondava l’Italia grazie ai suoi intermediari in Calabria, Piemonte e Lombardia. Domenico Agresta, detto Micu Mac Donald, nell’ottobre del 2016 aveva iniziato a collaborare con la giustizia mentre si trovava recluso nel carcere di Saluzzo dove stava scontando 30 anni per omicidio: emigrata a Volpiano negli anni Settanta, da Platì, nel reggino, al seguito del capostipite Domenico Agresta senior, la ‘ndrina si era posta al vertice del traffico internazionale della cocaina. L’inchiesta “Cerbero”, che si configura come la naturale conclusione di celebri operazioni del recente passato quali Minotauro, Albachiara, Colpo di Coda e San Michele, ha visto riuniti, due diversi filoni investigativi: da un lato, le indagini avviate nel 2016 dal Nucleo Investigativo dei carabinieri del Comando provinciale di Torino che, insieme ai colleghi della Compagnia di Chivasso, avevano iniziato a ricostruire la struttura delle locali di ‘ndrangheta, riconducibili, appunto, alle note famiglie Agresta e Assisi; dall’altro, le investigazioni della Guardia di Finanza di Torino che si erano indirizzate lungo il filone economico dell’inchiesta nei confronti di altri sei soggetti: due della “locale” di Volpiano, tre con ruolo di “prestanome” ed un commercialista di Settimo Torinese, divenuto l’esperto nel settore societario, per il quale è stata disposto il divieto temporaneo di sei mesi dell’esercizio della professione. Ancora nei comuni di Settimo e Volpiano i sodali dell’organizzazione riutilizzavano i proventi delle attività illecite reinvestiti nel noleggio delle slot machine, nella commercializzazione del caffè, nella raccolta delle scommesse ed in una palestra. Nell’inchiesta è coinvolto anche un noto penalista del foro torinese, Pierfranco Bertolino, su cui già pendeva una precedente inchiesta sulla fuga di notizie dalla Procura di Torino, coperte dal segreto istruttorio: ora è accusato di favoreggiamento personale e per lui il gip ha disposto il divieto temporaneo di sei mesi dell’esercizio della professione forense. Il Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, commentando l’operazione, ha sottolineato come “il concetto di una ‘ndrangheta frammentata è superato. L’associazione tende sempre più ad aggregarsi, muovendosi, con padrini e capi-società, sul territorio globale”.
Egidio Lorito “Libero” / Attualità 05/11/2019