All’interno del percorso paesaggistico, culturale, sociale e storico che da oltre un ventennio seguo per le mie analisi sul tema, la Calabria -partendo in primo luogo dal territorio cosentino- viene continuamente sezionata nelle sue più importanti emergenze che hanno contributo a riannodare le fila di un dibattito che la vede ancora protagonista. Non esiste una sola Calabria, esistono più Calabrie, questo è un dato incontestabile, non soltanto dal punto di vista geo-morfologico: i trecento chilometri circa che separano i suoi confini più estremi, gli ottocento chilometri di coste, i sei sistemi montuosi, le parentele etnico-linguistiche, gli usi e costumi così diversi da Provincia a Provincia, contribuiscono a fare della penisola calabrese una vera regione nella Regione, anzi più regioni nella stessa Regione, dando, così, l’idea della vastità non solo dello stesso territorio, quanto -soprattutto- delle realtà culturali che vi insistono.
Non è un caso se i richiami culturali che da sempre rappresentano la base da cui muovo ogni riflessione sul tema, continuino ad abbracciare più ambiti: dalla breve ma intensa stagione che vide Gianni Agnelli -l’Avvocato- principe indiscusso dell’Isola di Dino a Praia a Mare, per proiettare quel territorio nel jet-set allora in voga durante quegli indimenticabili anni ’60, alla intensa attività editoriale delle case editrici regionali, tutte protese alla valorizzazione geo-culturale del territorio, al quarantennale impegno in difesa di legalità e diritti umani della Fondazione Gianfrancesco Serio, alle splendide monografie che Francesco Bevilacqua sta dedicando al “paesaggio” di Calabria”, o al “viaggio interiore” dell’altro guru delle cime nostrane, quel Giorgio Braschi che ci ha deliziato con le sue spettacolari riflessioni dal Pollino, sino ai testi di autorevoli intellettuali come l’internazionalista Massimo Panebianco, o l’estetologo Francesco Sisinni.
Esattamente quindici anni addietro, con uno spettacolare aero-fotogramma scattato da una delle cime che segnano il confine calabro-lucano, diedi il via ad una lunga cavalcata alla scoperta del paesaggio calabrese: in realtà si trattava non solo di percorrere sentieri lungo l’affascinante natura di questa penisola ai molti del tutto sconosciuta, quanto di inoltrarmi attraverso ben più interiori itinerari che era venuto il momento di far riaffiorare in superficie. Li chiamai “Tracce” quegli itinerari e prendevano il via proprio laddove l’antica “Lucania” lascia il terreno all’odierna Calabria: seguirono le visite ad Aieta con il suo Palazzo Marchionale, a Tortora per rivivere le suggestioni dell’antica “Blanda Julia”, a Praia a Mare con i tesori della Grotta della Madonna e della stessa Isola di Dino, sino a scivolare sul fiume Lao a bordo dei gommoni del “Centro Lao Action Raft”, o a salire in quota con Emanuele Pisarra attraverso i suoi itinerari sul Pollino. E che dire delle tracce lasciate sui “Monti del Mito”, lungo i “Mari del Mito”, sotto le “Colonne del Cielo” , travolti dalle “Acque Urlanti”, prendendo a prestito i temi che sempre Francesco Bevilacqua ci ha offerto durante le sue affascinanti peregrinazioni; per poi incontrare la natura a strapiombo sul mare di San Nicola Arcella, proseguire nella terra dei filosofi, a Scalea, per conoscere l’arte al naturale dello scultore Vittorio Fumasi.
E cosa aggiungere ai servizi che “Panorama” ed “Arrivederci” -la rivista di bordo dell’Alitalia- dedicavano alla Calabria, prontamente ripresi; e poi Orsomarso, il caratteristico borgo pedemontano divenuto il simbolo del versante nord-occidentale del Parco Nazionale del Pollino, con la sua magica valle del fiume Argentino; Papasidero, nella cui Grotta del Romito è conservato quel massiccio blocco con impressa la più importante raffigurazione di arte paleolitica scoperta in Italia; per poi tuffarci nei fondali dell’Isola di Dino guidati dai sub di “Deep Inside” alla scoperta delle praterie di gorgonie e delle celebri grotte che circondano l’enorme scoglio praiese. E come dimenticare quel commovente messaggio d’amore per la Calabria di Capo Vaticano che un intellettuale veneto come Giuseppe Berto ci ha lasciato in eredità: “ (…) c’è una piccola speranza: che i calabresi comincino a guardare con rispetto al loro passato e operino per conservare quanto della loro antica civiltà non è ancora stato distrutto”. (1 Chissà se la nostra rimarrà, per sempre, una “Civiltà scomparsa”? O, ancora, l’ammirazione che un altro intellettuale veneto, Guido Piovene, nutriva per la terra calabra, quando affermava sicuro che “la fiducia nell’avvenire della Calabria mi viene soprattutto, però, dall’avervi sentito una grande riserva di intelligenza potenziale, oggi in parte frustrata, costretta a ripiegarsi su sé stessa: è probabile che in tutto il Mezzogiorno italiano, le cui tradizioni sono in prevalenza speculative e giuridiche, filosofico più del Nord, si trovino proprio in Calabria le vene del pensiero filosofico più potente (…)”.(2
E poi la passione viscerale che un calabro-lucano come Francesco Sisinni, uno dei massimi estetologi contemporanei, ci ha regalato attraverso saggi quali “Ritratto di Calabria” o “La bellezza venuta dal mare”, nei quali l’autore ripercorre l’indimenticabile itinerario tra Paestum, Velia, Reggio, Locri, Crotone e Metaponto; sino al celebre “volo” che Folco Quilici compì nel 1992, viaggiando dal Pollino all’Aspromonte a bordo di un moderno uccello a motore! Già, proprio Quilici, recentemente scomparso, che avrebbe regalato una magica serata a quanti lo ammirarono a Praia a Mare, nel luglio del 2011, presentando uno dei suoi ultimi romanzi, nel quale non fu difficile scorgere l’assoluto connubio tra conoscenza geografica e passione per il paesaggio italiano.
E poi la sosta a Diamante, la perla del Tirreno, con il suo peperoncino simbolo dell’Accademia internazionale; le degustazioni dei sapori della mitica Enotria, i sapori ed i profumi del cedro, il frutto caro agli dei; per ringraziare poi il compianto Vanni Scheiwiller, il fine editore milanese che agli inizi degli anni ’90 ideò una celebre collana di opere dedicata alla Calabria. Ed ancora un viaggio sulle tracce del lupo, un itinerario nella Calabria profonda guidati dal Centro regionale di speleologia; il ricordo di Augusto Placanica -l’artigiano della Storia- l’insigne storico catanzarese, caposcuola a Salerno di uno dei più autorevoli cenacoli storiografici internazionali; la visita nelle città calabresi tra metamorfosi urbane e legami classici, il ricordo di Oreste Dito, un massone del Sud, nella rivisitazione di Franco Galiano, sino alla “Geopolitica mediterranea” dell’autorevole vaticanista Giancarlo Zizola -un altro veneto!- che proprio nella sua Cittadella del Capo, sulla costa tirrenica calabrese, riposa per sempre, dopo la prematura scomparsa nel 2011. Ed ancora, il commosso ricordo di Antonio Guarasci, primo presidente della giunta regionale, anzi il Presidente per antonomasia, a quarantaquattro anni dalla sua prematura scomparsa; le tradizioni dei presepi di Calabria, ed “Il brigante” dell’immancabile Berto. E poi…
Inizio a turare le somme, dopo quindici anni, di questo viaggio interiore alla ri-scoperta di una terra che pochi, forse, conoscono come meriterebbe: all’epoca -era il 2003- collaboravo alle pagine culturali di un giovane quotidiano, La Provincia Cosentina che, al di là della sua breve vita, ha avuto l’indubbio merito di aver rappresentato una palestra di formazione per una generazione di giornalisti che avrebbero dimostrato, nel tempo, il proprio valore e le proprie capacità professionali. Quel contenitore culturale divenne, per me, l’orizzonte giornalistico da utilizzare, anche e soprattutto, per portare la Calabria fuori dai propri confini regionali: come dire, uno strumento comunicativo per una media education al passo con i tempi ed i richiami culturali da globalizzazione imperante. Reputai quell’esperienza imperdibile e proprio per evitare che l’oblìo colpisse anche quelle pagine, molte delle quali, oggi, inevitabilmente ingiallite, concepii l’idea di raccogliere tutti quei 134 articoli per adattarli ad una versione editoriale: nacque, così, “Tracce di Calabria. Lo sguardo indietro, il cuore avanti (Il Coscile, Castrovillari, 2005), un saggio giornalistico che riassumeva quel viaggio interiore, affidato a tre autorevoli personalità della cultura calabrese come Francesco Bevilacqua, storico paesaggista, Genevieve Makaping, che di quel quotidiano era stato il direttore nel periodo più florido, e Francesco Sisinni, autorevole estetologo lucano, con ascendenze calabresi mai taciute o dimenticate.
Di quelle mille copie che stampai nel luglio del 2005, oggi solo una è rimasta nella mia biblioteca personale: non che mi sia arricchito economicamente, sia chiaro: alla fine, al di là delle copie “vendute” nel corso di una decina di presentazioni, rimangono i tanti esemplari donati a decine e decine di protagonisti della cultura nazionale cui il libro è stato inviato nel corso dei successivi anni, come biglietto di presentazione personale e, forse, anche come biglietto da visita di una terra che, non mi stancherò mai di dirlo, risulta ancor oggi poco conosciuta.
“Nel licenziare alla stampa il mio “Ritratto di Calabria. Uomini, evi ed eventi” (Soveria Mannelli, 2001), ritenni di dedicare il mio lavoro, in particolare, ai giovani di Calabria, nell’auspicio che la memoria del passato e la lezione del presente suscitassero nei loro spiriti una nuova inquietudine, per una salutare provocazione o, meglio ancora, una responsabile sfida. Leggere ora i 134 articoli di un giovane studioso calabrese, quale Egidio Lorito, è per me come ricevere un gradito quanto entusiasmante riscontro a distanza, ma in ogni accenno ed accento, intelligente e puntuale, a quella mia istanza, colma di consapevole fiducia (…)” (3, scrisse il professore Sisinni, rendendo merito ad un lavoro che avevo inteso dedicare proprio ai giovani calabresi di ogni epoca, quasi a voler creare un ponte tra le mille Calabrie in cui mi ero imbattuto durante la ricerca.
“(…) Non si scoraggia Egidio, non si arrende. Continua a propagandare la bellezza e
l’orgoglio di una terra che non ha altro che sè stessa, le sue valli, i suoi monti, le sue
cascate, le sue foreste, quel poco che resta delle sue tradizioni e delle sue opere d’arte.
Una terra assediata e quotidianamente vilipesa, ma anche, da pochi, tanto amata. Tra
quei pochi c’è Egidio” (4,aveva chiosato Francesco Bevilacqua, sicuramente il più
autorevole conoscitore della penisola calabrese, con migliaia di chilometri percorsi,
a piedi, tra monti, colline e spiagge assolate.
(…) A voi lettori de “La Provincia Cosentina” e di “Tracce di Calabria: lo sguardo indietro, il cuore avanti”, di lasciarvi guidare dalla sapiente mano di questo scrittore con sorprendente capacità di inter-lettura di una realtà che ci appartiene e che non sempre conosciamo. Lascio a voi, di scoprire o ri-scoprire - e parafraso Piovene - una intelligenza calabrese che non dovrà essere in alcun modo frustrata e costretta a ripiegarsi su sé stessa, come spesso e volentieri il Mezzogiorno italiano ha fatto con le sue eccellenze. A voi di leggere dunque, nell’ottimo italiano di Egidio (nome rigorosamente ellenico, come piace all’autore ricordare) dei contenuti di alto spessore culturale, nella speranza che in Voi possa risuscitare il desiderio di riscatto” (5, evidenziò, auguralmente, la direttrice Makaping, che di calabrese e di italiano, aveva ben poco, viste le sue chiare origini camerunensi!
Oggi, di quell’esaltante stagione giornalistica, resta l’orgoglio di aver contribuito a diffondere una visione “culturale” della Calabria che non fosse relegata nei tradizionali circoli regionali o nelle biblioteche di illustri intellettuali: e resta, purtroppo, il rimpianto per aver dovuto abbandonare quella posizione di osservatore privilegiato troppo presto, considerato che quel quotidiano rimase in vita per meno di dieci anni, comunque un vero record se consideriamo che altre esperienze giornalistiche non hanno raggiunto che pochi mesi di pubblicazione. Il giornalismo, gioia e dolore di questa già dolorosa terra!
A proposito di dolore: Giuseppe Galasso, prestigioso storico di scuola napoletana, è scomparso qualche mese addietro ed una sua recente pubblicazione -Calabria, paese e gente difficile. Prospettive storiche, geografiche e sociali, Rubbettino, 2015- aveva di recente approfondito tratti già noti alla pubblicistica sino a farne emergere altri del tutto inediti; analisi finalizzata ad una sistematizzazione di una gran mole di lavoro, per come ricorda lo stesso Autore nel sottolineare come fossero “raccolti in questo volume una serie di lavori ai quali nel corso di un ormai lungo tempo mi è occorso di attendere: la varietà delle occasioni si è molto tempestivamente innestata, peraltro sull’interesse che per la Calabria -per la sua realtà storica, per la sua amplissima problematica umana e civile, per il suo straordinario e suggestivo ambiente naturale, di cui il paesaggio dà tanto spesso una così affascinante visione, e per altri, molti e non meno rilevanti motivi- ebbi modo di concepire precocemente nella mia esperienza personale ed intellettuale” (6.
Sarebbe, forse, impossibile riassumere l’intera letteratura che ha avuto come centro di studio ed analisi la nostra Calabria sin dall’antichità classica: si tratterebbe di affrontare uno sforzo sovrumano che queste poche pagine non possono né vogliono compiere: e così tra intellettuali d’ogni provenienza, girovaghi dell’Europa-bene, italiani che si lasciavano sedurre da un misterioso viaggio a Sud, la Calabria, da oltre due secoli, è terra di viaggi, di mete, di obiettivi spesso rimasti irrisolti e, forse, drammaticamente irrisolvibili. Quei nomi si rincorrono tra gli scaffali di ogni biblioteca erudita: Auguste De Rivarol, Giuseppe Maria Galanti, Alberto Savinio, Charles Didier, Astolphe De Custine, Bernard e Mary Berenson, Jean Cluude Richard De Saint-Non, Luigi Petagna, Giovanni Terrone, Edward Lear, Justus Tommasini, Gerhard Von Strutt, Giorgio Bocca, Hanry Swinburne, Giuseppe Isnardi, George Gissing. Intellettuali di diverse epoche segnate da un diverso approccio culturale, come un certo Norman Douglas: “Acquistai Old Calabria verso la fine degli anni Settanta a Firenze. Mi attrassero, soprattutto, il titolo e la collocazione in bell’evidenza su uno scaffale del reparto libri di viaggio. Mi domandavo: possibile che ci fosse qualcuno che aveva tramandato una cronaca di viaggio in Calabria ancora appetibile commercialmente? (…)” (7.
Come non citare, in queste riflessioni libere, quel gran viaggiatore di Norman Douglas dalle cui peregrinazioni lungo la Calabria non è difficile scoprire il senso complessivo della stessa idea da “viaggio interiore” che queste pagine si pongono come obiettivo.
La storiografia contemporanea si ritrova tutt’attorno ad Augusto Placanica che quella
Calabria aveva studiato in mille e più occasioni: come nel 1994 quando, introducendo
lo splendido volume “Calabria e Lucania, la memoria dei tempi lunghi”, nelle sue undici
pagine ci ha lasciato un vero testamento d’amore per questa Regione, non disgiunto
-però- da un forte senso critico: “nei pretenziosi uffici delle agenzie turistiche,
tra un patinato inno alle Maldive e un pieghevole sui safari in Kenia, sempre più
spesso occhieggiano le locandine che invitano al mare di Calabria: e così,
grandi e piccole località marittime di questa regione, vanno acquistando fama
turistica, soprattutto all’interno del grande popolo della borghesia meridionale:
ma l’Italia delle nuove generazioni non pensa, o addirittura non sa, che esiste una
specificità e -diciamolo pure- una civiltà calabrese, che è cosa ben diversa dal
provvisorio posticcio serbatoio dei terribili condominii a mare e dell’effimera estate
balneare (…). Il turismo è stato punta di diamante di questo sviluppo senza progetto,
che mirerebbe a trasformare la Calabria in un immane gerontocomio d’Europa, o
-nel migliore dei casi- in una terra destinata, per due mesi all’anno, a villeggianti
che ne dilapidino le bellezze senza per altro conoscerle (…). Ma questo meccanismo
può essere spezzato se solo la vicenda politica d’Italia saprà premiare la buona
Calabria dei buoni calabresi, moderni e svegli nel pensare e progettare, ma custodi
dell’antico coraggio nelle idee e nei fatti. Si deve: per il destino dei calabresi che oggi
sono ancora bambini nelle culle, o che popolano le prime classi di scuole che li
spingono alla speranza. Si deve: perché non si potrebbe fare?” (8.
Già, perché non provarci! Il mio viaggio, allora, non può che proseguire per offrire uno spaccato autorevole, colto e -soprattutto- sentito della nostra terra, soffrendo per i suoi atavici ritardi, ma sperando -sempre e comunque- nel suo irrinunciabile rilancio. Auguri, Calabria!
Bibliografia
Calabria letteraria Egidio Lorito, 12-03-2018