Il costituzionalista di Roma Tre sostiene che «vaccinarsi è un dovere civico». Però ammette che l’obbligo comporterebbe una serie di ostacoli difficilmente superabili.

Dopo settimane di polemiche sull’obbligo del green pass, ora è la volta del vaccino obbligatorio che, secondo Celotto «la legge può disporre ai sensi dell’art. 32 Cost.»: il costituzionalista rileva come «in questi 22 mesi abbiamo assistito ad una politica incrementale sul Covid, partita da misure sempre più mirate per diventare parimenti efficaci: dal lockdown generale alle autocertificazioni e autodichiarazioni, dalle zone a colori al green pass obbligatorio per svolgere qualunque attività».

Originario di Castellammare di Stabia, classe 1966, Alfonso Celotto è professore ordinario di diritto costituzionale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre: visiting professor in numerose università europee ed americane, ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali e ha collaborato, per consulenza e per contenziosi, dinanzi alla Corte costituzionale. È stato capo di Gabinetto e capo dell’Ufficio legislativo dei ministri Emma Bonino, Giuseppe Calderoli, Giulio Tremonti, Fabrizio Barca, Carlo Trigilia, Federica Guidi e Giulia Grillo, e commissario straordinario dell’ospedale Israelitico di Roma: autore di oltre 400 monografie, articoli, note e voci enciclopediche sulle principali riviste scientifiche, è commendatore della Repubblica italiana. La sua ultima pubblicazione, L’enigma della successione. Ascesa e declino del capo da Diocleziano a Enrico De Nicola (Feltrinelli, 2021) affronta uno dei temi cardini nella storia millenaria della successione al potere costituito.

Panorama.it gli ha chiesto di commentare l’ampio dibattito in tema di green pass e obbligo vaccinale, tra principi di stretta legalità costituzionale e casi concreti.

Professore, partiamo dal green pass: può essere obbligatorio?

«Occorre fare riferimento ai principi costituzionali: le voci contrarie fanno leva sulla nostra libertà, sacra e inviolabile. Alcuni sostengono di non essere una cavia, che lo Stato non può decidere per noi, che non possiamo essere obbligati a vaccinarci o usare il green pass».

Ma è giusto pensare che sia un tema di libertà individuale?

«Ricordiamo che per secoli diritti e libertà sono stati soltanto appannaggio di alcuni, nel senso che la società è stata divista per classi e soltanto all’interno della propria classe si potevano avere diritti. Così è stato per tutta l’antichità, per i Greci, per i Romani e fino a tutto il Medioevo: i diritti erano sempre collegati alla facoltà o al potere di un singolo individuo, in ragione della sua appartenenza ad un gruppo».

Nell’antichità la legge non era eguale per tutti e i diritti erano di pochi!

«Tutto ciò è stato capovolto con il giusnaturalismo e la fine delle monarchie assolute. La libertà dei moderni è del tutto diversa da quella degli antichi, come ci ha insegnato Benjamin Constant: la libertà degli antichi si sostanziava nel coinvolgimento con la vita della polis, come espressione della appartenenza alla comunità, mentre la libertà dei moderni consiste nella inviolabilità degli spazi individuali, su base egalitaria. Così sono nati i nostri diritti individuali, riconosciuti e garantiti dallo Stato».

I diritti di ciascuno di noi sono assoluti e illimitati?

«Certo che no. Lo stabilì la Corte costituzionale con la sentenza n. 168 che lo scorso 5 luglio ha compito cinquant’anni esatti: “i diritti primari e fondamentali dell’uomo diverrebbero illusori per tutti, se ciascuno potesse esercitarli fuori dell’ambito della legge, della civile regolamentazione, del costume corrente, per cui tali diritti devono venir contemperati con le esigenze di una tollerabile convivenza”».

Il primo limite ai miei diritti è la tutela dei diritti degli altri.

«Posso mettere la musica a tutto volume in spiaggia infischiandomene di tutti i vicini? Posso andare in moto senza casco o senza rispettare il semaforo rosso? Basta riflettere sul limite della convivenza sociale per capire quanto sia importante vaccinarsi e utilizzare il più possibile il green pass. Chi sceglie di non vaccinarsi non può avere gli stessi diritti di chi si vaccina, perché in questa fase soltanto con i vaccini e con l’uso del green pass possiamo limitare i contagi. Io posso anche essere libero di non vaccinarmi, ma non posso essere causa del contagio altrui».

 

Non possiamo dimenticare l’art. 32 della Costituzione…

«Che ci ricorda che la salute non è soltanto diritto fondamentale dell’individuo, ma anche interesse dalla collettività. Perciò è limitativo parlare di vaccini e di green pass come se fosse solo un problema di libertà individuale. Nella nostra società il mio “io” deve convivere con “gli altri”. Questo vale anche per l’obbligo dei vaccini, che la legge può disporre ai sensi dell’art. 32 Cost. ».

Quindi prima ancora che un diritto o un obbligo, i vaccini sono un dovere civico.

«In genere pensiamo alla nostra vita da cittadini in termini di diritti, per essere protetti e riconosciuti dallo Stato nelle nostre libertà individuali e collettivi, ma spesso dimentichiamo che essere cittadini implica anche doveri».

L’art. 2 della Carta costituzionale è molto chiaro nell’abbinare doveri e diritti:

«E’ fondamentale ricordarlo soprattutto in questo periodo: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Noi pensiamo che i doveri siano soltanto pagare le (non amate) tasse, prestare il servizio militare (fino a che c’era) e forse votare (che è definito un dovere civico dall’art. 48 Cost.)».

 Ora sta emergendo che anche vaccinarsi è un dovere civico.

«Specie se si appartiene alle categorie che il piano vaccinale ha ritenuto dovessero essere le prime a vaccinarsi, perché legate alla prestazione di servizi essenziali. Come disposto dall’art. 4 del decreto legge n. 44 del 1 aprile 2021 (“Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da Covid-19, in materia di vaccinazioni anti Sars-Cov-2”), “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali, sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da Sars-Cov-2”».

Aggiungendo anche altro, in termini di esercizio della professione sanitaria.

«Certo: che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”. E quindi prevendendo sanzioni per chi non si vaccina fino alla “sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni”».

Sull’argomento a maggio scorso si era espresso il Tribunale di Belluno. 

«Interessante precedente: sul ricorso dei dipendenti delle Rsa che liberamente non si erano voluti vaccinare, il giudice aveva dato ragione ai datori di lavoro che li avevano collocati in ferie obbligate, osservando che “la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 del codice civile, il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti”» 

Sentenza per le professioni sanitarie, comunque…

«Il Tribunale faceva notare che “è ormai notorio che il vaccino per cui è causa è  notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione - costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia”».

Emergenza e disposizioni normative tirano in ballo l’essenza del nostro vivere associato.

«Prima ancora che un diritto in nome della salute individuale o di un obbligo in nome di un interesse della collettività, il vaccino per il Covid, in questa situazione, è un dovere deontologico per le categorie indicate come prioritarie dal legislatore. Perché la nostra vita associata comporta di adempiere ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. E’ bene non dimenticarlo».

Perché il governo ha scelto l’obbligo di green pass e non l’obbligo di vaccinazione?

«Credo almeno per quattro motivi: in primo luogo perché il green pass non è discriminatorio, visto che lo si può ottenere non solo con la vaccinazione o con la guarigione, ma anche con il tampone. E poi perché è accessibile facilmente anche a chi non si vuole vaccinare, risultando difficile stabilire un’adeguata sanzione per chi non si vaccina».

La sanzione pecuniaria sarebbe la più adatta.   

«In effetti una multa diventerebbe una tariffa con cui pagare il mancato vaccino. Il carcere, infatti, sarebbe assolutamente sproporzionato e incoerente, e una sospensione dal Servizio sanitario nazionale o dai diritti civili difficilmente praticabile. Invece la sanzione per chi non ha il green pass è facile e immediata: non entra. In piscina, al lavoro, sul treno, al cinema, allo stadio».

Mancano ancora due motivi…

«Ecco il terzo: sui controlli, la verifica del green pass è agevole, mentre quella sul vaccino è oggettivamente più difficile anche perché comporta la consultazione di registri sanitari, con evidenti problemi di privacy. Infine va considerato che l’obbligo generale di vaccinazione non è stato posto da nessuno Stato occidentale, dato che in molti si sono limitati a un obbligo per determinate categorie: come in Francia, dove è stato posto l’obbligo vaccinale per i lavoratori sanitari, militari, caregivers e pompieri entro lo scorso 15 settembre».

Da alcuni mesi conviviamo con i limiti e le perplessità del green pass.

«Perché è vero che non è certo che chi ha il green pass non contagia e non si può ammalare, ma risulta anche che comunque i vaccinati, se si ammalano, si ammalano meno gravemente e del resto è impensabile fare il tampone a tutti quasi tutti i giorni. Come provano a fare Paesi con molti meno abitanti, come la Danimarca, che è grande come una nostra regione».

Cosa ci sta insegnando questa pandemia?

«Soprattutto quanto possano essere fragili persino i diritti di libertà più classici, limitabili e condizionabili dall’interesse generale alla salute. Il problema è tutto nel bilanciamento dei diritti da verificare sulla base della ragionevolezza e della proporzionalità della scelta applicativa del legislatore o dell’amministrazione. La stessa giurisprudenza di legittimità rileva come il bilanciamento “non possa costituire una valutazione in astratto” ma un “accertamento in concreto” degli interessi coinvolti».

Bilanciamento proporzionale e ragionevole.

«Lascio rispondere ancora la Corte costituzionale con quella storica sentenza di oltre mezzo secolo fa: perché “Costituzione italiana, come le altre costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza”».

Tutta colpa del Covid-19

«Che ci sta insegnando che il bilanciamento diventa molto delicato e non può che essere effettuato caso per caso, in maniera concreta e rispetto alle singole situazioni, senza precomprensioni o valutazioni aprioristiche».

 

Panorama.it                                                    Egidio Lorito, 05/01/2022

 

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