Il politologo commenta a caldo l’elezione-riconferma di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, tra attese collettive, evidente crisi del sistema partitico, saturazione mediatica e possibili fughe in avanti dettate dalla riapertura del tema della modifica della legge elettorale, a un anno esatto dalle elezioni politiche. Salvo sorprese…
«L’esito dell’elezione di Mattarella, per certi versi scontato già dopo le prime votazioni dato il quadro politico, ha confermato le voci, le indiscrezioni e le aspettative ben chiare sin dall’inizio» -sottolinea Francesco Raniolo- «sul nome di Mattarella si sono incrociati il consenso dei parlamentari e le aspettative dell’opinione pubblica». Senza risparmiare critiche al sistema mediatico, «il cui tasso di saturazione ha raggiunto livelli asfissianti».
Francesco Raniolo, siciliano di Ragusa, classe 1965, allievo di Leonardo Morlino presso la Cesare Alfieri di Firenze, è ordinario di Scienza politica e Politica comparata nel Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università della Calabria, di cui è stato anche direttore sino allo scorso ottobre. Vanta un’ampia competenza in materia di partiti politici e partecipazione politica che lo ha portato a sondare la lunga parabola della partitocrazia italiana.
Alle domande di Panorama.it, il politologo - tra l’altro docente di Politica e Comunicazione nel Corso di laurea in Media e Società Digitale presso l’ateneo calabrese, sostiene come «la settimana appena trascorsa abbia rappresentato un interessante esempio di “saturazione mediatica” che ha amplificato la polarizzazione tra forze politiche trasformando un appuntamento politico-istituzionale in un evento mediatico».
Professore, l’elezione del Presidente della Repubblica è consegnata alla storia.
«C’è un primo aspetto che da politologo mi sento di evidenziare: il nome di Sergio Mattarella ha incrociato un doppio consenso, anzitutto, quello dei parlamentari e dei delegati regionali, ovvero quello del collegio dei grandi elettori riunti nell’aula di Monte Citorio. Con i suoi 759 voti, ha conseguito poco più del 75% dei consensi del collegio quirinalizio».
In percentuale è tra i presidenti più votati.
«Dopo Pertini 82% e Gronchi 78%. In valori assoluti e con un certo scarto è dopo solo Pertini che nel 1978 ottenne 832 voti dei 1011 grandi elettori, nel caso di Gronchi nel 1955 erano 843 (questa volta i grandi lettori, come è noto, erano 1008). D’altra parte, stava l’ampio consenso proveniente a gran voce dall’esterno, considerato il particolare appeal acquisito dal Presidente Mattarella nell’opinione pubblica. Una convergenza, questa, è bene sottolinearlo, che ha letteralmente travolto le segreterie di partito e i loro leader».
Questa coincidenza ci intriga e certifica una crisi palese dei partiti nel nostro Paese…
«Non certo da oggi. Ci conviviamo da almeno trent’anni, da quando le forze politiche nei primi anni ’90 entrarono in uno stato di centrifugazione, una sorta di “maionese impazzita” che dura fino ad ora. Gli eventi elettorali più vicini ne sono un indicatore efficace, e mi riferisco alle elezioni del 2013 e del 2018. Non a caso in entrambe, tra le altre cose, si è manifestata la difficolta di produrre governi elettorali (cioè prodotti direttamente dai risultati delle urne) e la difficoltà della maggioranza parlamentari, più o meno allargate, di eleggere il Presidente della Repubblica».
Da qui la scappatoia della “rielezione”...
«Che pur non essendo formalmente contraria alla Costituzione, certo ne rappresenta una forzatura che altera la fisiologia del sistema parlamentare e che ha suscitato preoccupazioni in molti osservatori. In generale, i partiti non solo hanno perso sempre di più la capacità di rappresentare le domande della società civile e dell’elettorato, ma hanno perso - cosa ancor più grave - il ruolo di coordinamento, gestione e garanzia del funzionamento delle istituzioni. Ovvero, la regolazione delle dinamiche interne al Parlamento, al Governo e i vari rapporti interistituzionali, esattamente come nell’elezione del Capo dello Stato».
Professore, ci siamo abituati, e non è stata la maratona elettorale presidenziale più estenuante…
«I colpi di scena, i clamori, le bizzarrie accompagnano la storia di questa elezione che ci ha consegnato tornate ben più lunghe, come quella di Giuseppe Saragat, eletto nel dicembre del 1964 al 21° scrutinio, o addirittura quella di Giovanni Leone, nel dicembre del 1971 eletto alla 23° votazione. Ma anche Sandro Pertini e Oscar Luigi Scalfaro vennero eletti, nel 1978 e nel 1992, alla 16° tornata. Anche nell’era dei partiti di massa l’elezione del Capo dello Stato era un passaggio al cardiopalma».
Infondo siamo nel terreno della lotta per il potere…
«Il controllo dei massimi organi istituzionali implica dinamiche piuttosto complesse, non dobbiamo sorprenderci, né certo scandalizzarci, e la lezione di Machiavelli è sempre attuale. Tuttavia, l’aspetto ulteriore che un politologo non può non appuntare è ben altro ed è allarmante al tempo stesso, ovvero che la rielezione di Sergio Mattarella ha certificato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la totale scollatura delle forze politiche nel nostro Paese, mettendo il sigillo sulla crisi sistemica dei partiti. Una frattura tra costituzione formale e materiale».
Ha anticipato il senso della prossima riflessione, lo spettacolo poco edificante offerto dagli apparati partitici…
«Se si riferisce al tema della comunicazione politica, occorre distinguere due aspetti. Da alcuni decenni, l’opinione pubblica è diventata sempre più critica, ipersensibile e irritabile rispetto ai comportamenti della classe politica. Riti e comportamenti, che un tempo venivano tollerati, oggi vengono considerati privi di legittimità e producono un’immediata reazione negativa da parte dei cittadini, tanto più in fasi di crisi economica e sociale -come quella causata dal Covid e prima dalla grande recessione economica del 2008- tra l’altro favoriti in questa “emersione del disappunto e del risentimento” dalle nuove tecnologie del digitale».
E il secondo aspetto?
«Si tratta di un fenomeno già da tempo sotto i riflettori degli studiosi che vede la classe politica al tempo stesso vittima della stessa logica dei media! La presenza ossessiva dei mass media -le dirette fiume, i social media letteralmente impazziti, il continuo rimbalzo tra dirette televisive, giornali, talk show- finisce naturalmente per amplificare a dismisura le interazioni istituzionali (che hanno le loro logiche, tempi e riti) e dei partiti che non agiscono più nell’anonimato o al chiuso dei palazzi del potere, rendendole patologiche, uno spettacolo indigesto al pubblico. La politica ai tempi del touch screen rende partiti e leader particolarmente vulnerabili».
Professore, volevamo portarla a questa analisi…
«L’evento mediatico è servito! I partiti che si studiano cercando di trovare punti di contatto, le sedute fiume, gli incontri sino all’alba non più nelle segreterie ma anche in luoghi meno istituzionali, fanno parte ormai, del rito elettorale anche nel caso della carica più importante della nostra Repubblica. Una liturgia che è uscita dalle canoniche sedi istituzionali per essere letteralmente “sparata” in presa diretta, resa visibile ad ogni singolo cittadino del nostro Paese. L’eccesso di visibilità non sempre aiuta la democrazia».
E ci siamo fermati all’ottavo scrutinio…
«Immaginiamo se fossimo arrivati al numero degli scrutini che hanno accompagnato, come detto, le elezioni di Pertini, Scalfaro, Saragat o Leone!».
Sintetizziamo: sfiducia irritante e mediatizzazione senza limiti.
«Questa doppia convergenza ha decisamente provocato il corto circuito cui abbiamo assistito appena pochi giorni addietro, portando al parossismo sia l’ormai cristallizzata crisi del sistema partitico, il protagonismo autoreferenziale di singoli leader, che la lampante invasività dei media vecchi e nuovi, dalle dirette Tv e dal rimbalzo sui social, ma anche sui giornali».
Si tratta della saturazione mediatica, giusto?
«Attenzione, una saturazione di doppio livello, visto che ha come effetto perverso quello di produrre un’ulteriore irritabilità, provocando comportamenti reattivi da parte dell’opinione pubblica che non soltanto è ben consapevole della crisi politica in atto, ma anche in grado di captarla con estrema facilità, aiutata da un sistema mediatico assolutamente asfissiante. Crisi politica, irritabilità civica, saturazione mediatica e ulteriore irritabilità popolare: questo è il percorso perverso».
Tra un anno saremo in piena campagna elettorale per le politiche. Il fantasma della legge elettorale aleggia costante.
«Dai primi anni ‘90, il nostro sistema istituzionale ha avuto modo di confrontarsi con ben cinque diversi meccanismi elettorali: dal proporzionale uscito dal dopoguerra, al sistema misto detto Mattarellum a prevalenza maggioritaria dal 1993 al 2005, proseguendo per la legge Calderoli, nota come Porcellum, un sistema con il super premio di maggioranza dal 2005 al 2013, poi il sistema noto come Italicum del 2015 -di fatto mai entrato in vigore poiché dichiarato incostituzionale- e, infine, la legge elettorale Rosato -il Rosatellum 2017- anche questo misto, ma con prevalenza della parte proporzionale.
Un vero rompicapo…
«Nessuna grande democrazia si è dovuta confrontare con tanti cambiamenti radicali in così poco tempo. Già queste evidenze la dicono lunga sulla gravità della crisi dei partiti e sui limiti di maggioranza contingenti alla ricerca del sistema elettorale più vantaggioso».
Alla fine, con che risultati?
«Siamo al classico effetto “gioco dell’oca”, cioè siamo ritornati al punto di partenza: infatti, nel 1993 partivamo da un proporzionale secco ed oggi, trent’anni dopo, forti sono le spinte per un ritorno a quel sistema. In più registriamo l’anomalia della destrutturazione del sistema dei partiti che ha parallelamente accompagnato la nostra vita repubblicana -il vuoto del ‘92/‘94 non è mai stato colmato anzi con le elezioni del 2013 e del 2018 sembra essersi aggravato- con i leader impegnati a cercare nelle leggi elettorali delle soluzioni che mai potranno trovare».
Occorre altro, evidentemente.
«Il rendimento efficace delle eleggi elettorali, così come del funzionamento delle istituzioni, dipende da condizioni politiche che, essendo oggi critiche, amplificano l’effetto della “maionese impazzita”. Aggiungo che la polarizzazione indotta dalla competizione gladiatoria tra partiti non aiuta certo, e lo abbiamo visto anche in occasione delle elezioni di Mattarella bis: la delegittimazione reciproca di leader ed esponenti dei diversi schieramenti e il gioco dei franchi tiratori avevano condotto ad un cul de sac»
Professore, il nodo è il ritorno al proporzionale secco…
«Ad alcune forze politiche sembra la panacea di tutti i nostri mali istituzionali, oggi richiesto a gran voce, soprattutto dalle forze centriste e moderate, Forza Italia in primis. Ma non è un caso che sia oggi l’obiettivo strategico dei partiti o partitini elettoralmente più deboli. Compreso il M5S. Del resto, a sentire le dichiarazioni, la Lega e Fratelli d’Italia non sarebbero interessati a modificare il sistema elettorale in questo senso, lo stesso Pd tradizionalmente legato al cavallo di battaglia del sistema maggioritario è prudente anche se Letta ha posto con forza la questione della riforma del Rosatellum».
Un ritorno possibile?
«In questa fase storica, il ritorno al proporzionale puro produrrebbe danni sistemici notevoli, di funzionalità delle maggioranze di governo, sarebbe solo una soluzione per assicurare la sopravvivenza ai partiti-bonsai, ai partiti personali, ai partiti-aggregazioni che stanno germogliando. Ciò ovviamente non vuol dire che non si ponga un problema di realizzare una coerenza tra legge elettorale e sistema parlamentare, dopo la riduzione a 600 del numero di deputati e senatori nella prossima legislatura».
Un ritorno pieno di insidie, in ogni caso…
«Si dovrà affrontare anche il problema di adeguare il collegio dei grandi elettori che nella prossima occasione sarà ben più esiguo. E la cui contesa in un clima maggioritario potrebbe esasperare la polarizzazione politica, sociale e la tenuta istituzionale».
Sembrano scontrarsi esigenze degli attori ed esigenze sistemiche...
«E’ il tema di fondo. Una legge elettorale dovrebbe rispondere non solo agli interessi di parte, anche se ciò è inevitabile, ma dovrebbe riflette esigenze istituzionali. Assicurate da solide maggioranze e dal patto tacito che le regole del gioco vanno rispettate e non si cambiano a convenienza. Se guardiamo al quadro politico in corso e alla rielezione del Presidente Mattarella, sembrerebbero prefigurarsi degli scenari del tutto inaspettati anche dal punto di vista elettorale».
Qualcosa si muove?
«Forse. Per la seconda volta, infatti, un Presidente della Repubblica viene rieletto perché le maggioranze di governo -quelle parlamentari- non sono state in grado di individuare candidati difendibili, mi verrebbe da dire anzitutto da esse stesse. Non è un caso che alcuni candidati, appunto, siano stati letteralmente “cannibalizzati” dalla loro stessa parte politica, oggi nel caso della Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, nel 2013 nel caso di Romano Prodi. Le istituzioni regolano la politica, ma hanno anche bisogno di buona politica per funzionare».
Lo scenario elettorale dipende dalle condizioni politiche…
«Fino a quando leader e i rispettivi partiti, o quel che ne resta, continueranno a mostrare tutta la loro debolezza, come l’elezione del Presidente della Repubblica di qualche giorno fa ha mostrato, sarà francamente difficile ricondurre il sistema al suo normale funzionamento. Non c’è legge elettorale che tenga…».
Panorama.it Egidio Lorito, 01/02/2022