E aggiunge: «il divieto dell’uso della forza è un obbligo imperativo che incombe, anche e soprattutto, sulla Russia, tra l’altro membro delle Nazioni Unite e membro permanente del Consiglio di Sicurezza».
Silvana Arbia, lucana di Senise (Pz), veneta di adozione, in magistratura dal 1979, ha ricoperto l’ufficio di procuratore internazionale presso il Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite per il Ruanda dal 1999 al 2008: in tale veste ha rappresentato l’accusa in numerosi processi di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, tra cui il celebre caso di Pauline Nyiramasuhuko, all’epoca ministro della famiglia e della promozione femminile del Ruanda, prima donna al mondo imputata di genocidio. Nel 2008 è stata nominata Registrar della Corte Penale Internazionale dell’Aja, dopo aver partecipato, dieci anni prima, alla stesura dello Statuto di Roma, istitutivo dell’alta corte. Oltre a numerose pubblicazioni scientifiche, spicca “Mentre il mondo stava a guardare” (Mondadori, 2011), drammatico resoconto di uno dei più truculenti genocidi della storia dell'umanità, quello compiuto, in Ruanda nel 1994, in soli 100 giorni, a colpi di machete, dalla comunità Hutu a danno di circa un milione di membri del gruppo etnico Tutsi.
Panorama.it ha raggiunto Silvana Arbia per una serrata conversazione su guerra, diritto e relazioni internazionali: «occorre far funzionare il multilateralismo nelle decisioni che riguardano la sicurezza e la pace nel mondo».
Dottoressa Arbia, l’attacco russo all’Ucraina appare come una grave violazione del diritto internazionale.
«L’aggressione russa costituisce “uso della forza” nelle relazioni fra Stati, espressamente vietato dall’art.2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite che sancisce il divieto per gli stati membri di minacciare o usare la forza, nelle relazioni internazionali, contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno stato, nonché il divieto di agire in altri modi incompatibili con le finalità delle Nazioni Unite, ovvero la sicurezza, la pace, la promozione del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali».
Il divieto dell’uso della forza è applicabile anche al di fuori dell’ambito ONU? «Certo, trattandosi di norma di diritto internazionale consuetudinario, e quindi “ius cogens erga omnes”, ovvero di diritto valido nei confronti di tutti gli Stati: tale principio è costantemente affermato dalla Corte internazionale di giustizia a partire dalla sentenza del 1986 nella causa Nicaragua contro USA».
Sono contemplate eccezioni a tale divieto?
«In primis l’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, nei casi in cui uno stato membro delle Nazioni Unite subisca un’aggressione armata, fino a quando il Consiglio di sicurezza prenda le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art.51 della Carta); altra eccezione: l’autorizzazione, da parte del Consiglio di Sicurezza in base al capitolo VII della Carta (con il concorso del voto favorevole dei cinque stati membri permanenti con potere di veto, tra cui la Russia) quando si rende necessario l’uso della forza per contrastare la minaccia grave alla pace o alla sicurezza internazionali o per garantirne il mantenimento».
Le grandi potenze, in alcuni casi, hanno superato tali limiti.
«Arrogandosi il potere di interpretare l’art.51 della Carta ONU unilateralmente, eludendo, cioè, l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Ricordo, solo a titolo di esempio, l’aggressione degli USA contro l’Iraq giustificata dalla teoria della legittima difesa preventiva, nel gennaio del 1991, e l’uso della forza, qualificato come intervento umanitario, dai Paesi della NATO al fine di giustificare il bombardamento dell’ex Jugoslavia, nella primavera del 1999».
Molto opportunamente il Segretario Generale dell’ONU, Gutierrez, durante i suoi colloqui con le autorità russe il 26 aprile scorso, ha invocato il multilateralismo nelle decisioni che riguardano la sicurezza e la pace nel mondo.
«Penso che interventi decisi da uno o più stati in queste delicate materie debbano essere evitati e condannati perché in contrasto con i principi e le finalità della Carta. Relativamente alla situazione ucraina attuale, il multilateralismo ha funzionato in seno all’Assemblea generale ONU, che il 2 marzo ha condannato l’aggressione militare della Russia in danno dell’Ucraina, ma si tratta di un atto politico».
Non sono mancati altri interventi…
«Il Consiglio dell’ONU per i diritti umani, il 7 aprile scorso, ha deciso la sospensione della Federazione russa e l’istituzione di una Commissione di inchiesta indipendente per l’accertamento di violazioni dei diritti umani in Ucraina. Gli aiuti militari all’Ucraina e le sanzioni economiche contro la Russia sono provvedimenti decisi da un gruppo di stati».
Dopo oltre due mesi di operazioni militari in Ucraina, la Federazione russa è politicamente condannata per la sua aggressione contro l’Ucraina.
«E’ sottoposta ad accertamenti sulla presunta illegalità internazionale delle sue azioni con riferimento alla Carta ONU, alle convenzioni internazionali di cui è parte e che riguardano il diritto internazionale umanitario e i diritti umani. A livello giurisdizionale, è destinataria di prescrizioni impartitegli dalla Corte internazionale di giustizia che, su richiesta dell’Ucraina, appena lo scorso 25 febbraio, ha disposto misure urgenti e provvisorie con ordinanza del 23 marzo scorso».
Inoltre è assoggettata a sanzioni economiche di entità senza precedenti…
«Emanate da paesi occidentali e loro partner sotto la leadership degli USA ( in luogo dell’ONU) in virtù di leggi statunitensi con efficacia extraterritoriale: si tratta del “Global Magnitsky Human Rights Accountability Act” del 18/4/2016 (si discute sulla necessità di approvare un Magnitsky proprio all’UE che per ora applica, per volontaria adesione, quello statunitense) e del “Countering America’s Adevrsary Through Sanctions Act” applicato contro Iran, Corea del Nord e Russia con pressioni sull’India perché lo applichi contro la Russia».
L’extraterritorialità di tali leggi pone gli stati di fronte alla scelta tra applicare le sanzioni contro la Russia o vedersi negato l’accesso al mercato americano.
«Le conseguenze per le popolazioni meno ricche e meno sviluppate sono eccessivamente penalizzanti, problema, questo, sollevato dal segretario generale Gutierrez lo scorso 26 aprile a Mosca. Ma la guerra continua, e deve essere fermata con azioni diplomatiche e non con l’invio di armi potenti da parte di stati tra cui l’Italia».
Lei ha esperienza in tema di accuse di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra…
«Trattandosi di crimini, dobbiamo riferirci alla responsabilità di individui e non di stati e ad azioni che costituiscono crimini tipicamente definiti nei loro elementi materiale e intenzionale. E’ un grave errore parlare di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, secondo valutazioni politiche. Il 21 aprile scorso i parlamentari della Lettonia e dell’Estonia, all’unanimità, hanno dichiarato che la Russia ha commesso genocidio in Ucraina. Valutazione politica, ben distinta dal giudizio emesso a conclusione di un processo e che spetta ad un organo giurisdizionale».
I crimini di questo genere vantano un’ampia giurisprudenza internazionale.
«A partire dai due Tribunali “ad hoc” che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha istituito rispettivamente per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda (UNICTY e UNICTR) per proseguire con i Tribunali “misti”, come quello per la Sierra Leone, la Cambogia ed il Libano. Il primo luglio del 2002 una Corte penale internazionale (CPI), permanente, indipendente e complementare alle giurisdizioni nazionali, ha cominciato a operare: essa esercita la sua giurisdizione in paesi parte, in paesi che pur non essendo parti hanno accettato la sua giurisdizione e in paesi, come il Sudan e la Libia, le cui situazioni sono state devolute alla sua giurisdizione direttamente dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU».
L’Ucraina non è parte della Corte penale internazionale…
«Esatto, ma ha accettato la giurisdizione della CPI con due successive dichiarazioni nel 2014 e nel 2015, consentendo al procuratore di svolgere indagini, formulare accuse e chiedere mandati di arresto o altre misure opportune ai fini di giustizia, per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, commessi da chiunque nel territorio dell’Ucraina dal 21 novembre in poi».
Dottoressa, crediamo sia opportuno fare chiarezza su genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
«Il genocidio è costituito da uno o più atti materiali tipicamente previsti (uccidere membri del gruppo; cagionare gravi lesioni all'integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo; sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso; imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo; trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso), commessi con l’intento (dolus specialis) di distruggere in tutto o in parte uno dei quattro gruppi protetti nella Convenzione internazionale sulla prevenzione e repressione del genocidio (gruppo etnico, gruppo razziale, gruppo religioso, gruppo nazionale)».
Sono richiesti anche diversi contesti specifici.
«Per i crimini contro l’umanità occorre il contesto di un attacco generalizzato o sistematico contro una popolazione civile, di cui l’autore dei crimini fosse consapevole. Per i crimini di guerra si richiede il contesto di un conflitto armato internazionale e/o di un conflitto armato a carattere non internazionale. Per entrambe le tipologie, oltre all’azione materiale, deve sussistere la consapevolezza e la volontà (dolo generico)».
Si tratta di ipotesi cumulabili?
«Certo, nel senso che con una sola azione si possono commettere genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come è stato già accertato nei processi avanti il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, con riferimento allo stupro per esempio»
A proposito: proprio il Prosecutor del Tribunale dell’Aja, Karim Ahmad Khan, ha annunciato l’intervento della Corte Penale Internazionale. Putin sarà alla sbarra?
«Se le prove raccolte saranno sufficienti per formulare accuse di crimini internazionali di competenza della Corte penale internazionale, i primi ad essere perseguiti saranno coloro che hanno rivestito posizioni di autorità (quelli che decidono, pianificano, ordinano), essendo la loro responsabilità particolarmente grave ed il rischio elevato di giudizi parziali e non indipendenti nei loro confronti. Il presidente in carica Vladimir Putin è certamente uno di questi…».
Le immagini e i report dallo scenario bellico pare abbiano già evidenziato numerosi episodi di crimini di guerra…
«Le immagini rappresentano gli eventi, dobbiamo individuare chi li ha causati e con quali modalità. Per la maggior parte i crimini di guerra in danno di civili (bombardamenti di siti non militari) sono punibili se commessi “deliberatamente”, e questo elemento volitivo sarà oggetto di interpretazione da parte dei giudici che lo dedurranno dalle circostanze nel caso concreto, considerando il tipo di armi usate, la reiterazione dei bombardamenti, la destinazione dei luoghi (abitazioni, scuole, ospedali e luoghi destinati al culto per esempio)».
Il sistema giurisdizionale della Corte penale è particolare…
«Nel senso che si considerano vittime non solo gli individui, ma anche le persone giuridiche tra cui proprio ospedali, luoghi di culto e luoghi adibiti a servizi culturali».
Il potere di deferimento alla Corte penale internazionale dovrebbe essere esercitato secondo criteri prestabiliti per evitare imparzialità inaccettabili per un meccanismo di giustizia.
«La mobilitazione di stati parte con riguardo alla situazione ucraina (42 stati tra cui l’Italia, hanno denunciato la situazione Ucraina al procuratore della Corte penale) e la collaborazione di alcuni stati nelle indagini) indicano un buon inizio di responsabilizzazione degli stati parte la cui collaborazione è essenziale per la lotta contro l’impunità di crimini gravissimi che minacciano la sicurezza e la pace internazionale. L’Italia deve cogliere a pieno questa congiuntura per dare compiuta attuazione agli obblighi derivanti dalla ratifica dello Statuto di Roma, sia sul piano del diritto penale sostanziale che su quello investigativo e processuale. Finora si è limitata a dotarsi di una legge che assicura la cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale.
Si attende una svolta per il diritto internazionale e per le stesse Nazioni Unite in materia di pace e di sicurezza internazionale?
«Spetta alle Nazioni Unite e non agli stati singoli garantire la sicurezza e la pace nel mondo, assicurare il rispetto degli obblighi degli stati membri di agire in conformità della Carta, promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, favorire l’unione dei popoli ed evitare le divisioni tra Occidente e Oriente. Per restituire all’ONU le sue prerogative e renderne efficace l’azione occorrono maggiori equilibri tra le potenze e gli altri paesi nel Consiglio di Sicurezza, organo competente a decidere interventi idonei a scongiurare la minaccia e o a mantenere la sicurezza e la pace».
Panorama.it Egidio Lorito, 03/05/2022