Raggiunto a margine della lectio magistralis tenuta al Master in intelligence in corso all’Università della Calabria, il Generale Carlo Jean ha evidenziato come i «due profili assolutamente deficitari dell’apparato bellico russo siano la scarsa manutenzione dei mezzi militari e il caos nell’apparato logistico: i Russi -sostiene lo stratega miliare- possiedono idee innovative e scienziati di prim’ordine, ma quando sono chiamati a confrontarsi con le elementari regole della sicurezza e con il funzionamento degli impianti militari, mostrano tutta la loro debolezza». Circostanze, queste -sottolinea ancora- «evidenziate proprio dall’andamento delle operazioni in Ucraina, con le forze armate russe in chiaro affanno».
Carlo Jean, piemontese di Mondovì (Cn), classe 1936, generale di Corpo d’Armata dell’Esercito italiano, laureato in scienze politiche, ha frequentato l’Accademia militare di Modena, la Scuola di Applicazione di Torino, la Scuola di guerra italiana e francese e la 34^ Sessione del Centro Alti Studi per la difesa. Dopo aver prestato servizio nelle Brigate alpine Julia, Orobica e Taurinense e comandato la Cadore, ha ricoperto prestigiosi incarichi direttivi militari dello Stato Maggiore dell’Esercito e dello Stato Maggiore della Difesa: consigliere militare del Presidente della Repubblica Cossiga, ha presieduto il Centro Alti Studi per la difesa e ha insegnato Studi strategici alla Luiss di Roma, alla Bocconi di Milano e geopolitica alla Marconi e al Link Campus di Roma. Già commissario delegato per la messa in sicurezza dei materiali nucleari, è saggista in strategia militare e geopolitica e membro dei consigli scientifici delle riviste Limes e Geopolitica.
Panorama.it ha incontrato Carlo Jean a margine della sua “lectio magistralis” tenuta al Master in Intelligence nell’Università della Calabria, diretto dal professor Mario Caligiuri, primo attivato in Italia da un ateneo pubblico e promosso nel 2007 dal Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga.
Generale, lei evidenzia le criticità delle forze militari russe.
«Lo ripeto: la logistica non funziona, la manutenzione dei mezzi non funziona, l’addestramento dei soldati è carente, il carburante e i viveri scarseggiano. Ciò spiega perché la Russia, in passato famosa per la sua fanteria, oggi debba ricorrere a militari ceceni, siriani e finanche a mercenari. Messa alle strette sul piano convenzionale, si trova costretta a minacciare l’uso delle testate nucleari, per cercare di riequilibrare l’andamento della guerra. Gli Ucraini, invece, sono bene addestrati, hanno strumenti bellici molto efficienti e difendono egregiamente il proprio territorio».
Parla, evidentemente, da esperto di intelligence…
«L’impostazione iniziale dell’intelligence russa si è rivelata errata. Stranamente, responsabile di questo settore strategico era e rimane la V divisione della FSB, l’agenzia di intelligence interno nota come “Quinto Servizio”, visto che Putin continua a considerare l’intervento in Ucraina un fatto interno -appunto- alla Russia, e non una guerra internazionale. Non dimentichiamo che l’Fsb, alla fine degli anni Novanta, era diretto proprio da Vladimir Putin, quando un nuovo ufficio stava già prendendo forma al suo interno, con il compito di condurre operazioni di intelligence sul territorio dell’ex Unione Sovietica».
Lei sostiene che la Cina costituisca una minaccia più per la Russia che per l’Occidente.
«Questo perché la Cina si sta espandendo in Asia centrale, verso il mar Caspio, e perché contesta proprio la politica russa nell’Artico. Il grande gasdotto che dal Turkmenistan, attraverso il Kazakistan, arriva in Cina è strategico per il suo futuro di superpotenza globale: ciò aiuta a comprendere proprio l’atteggiamento ambiguo della Cina che, approfittando della guerra, sta facendo man bassa delle industrie russe, a partire proprio dal gas».
L’espansione cinese sta scompaginando anche i progetti occidentali…
«Il sogno di Macron, condiviso dall’ex presidente Trump, di avere un “Triangolo di Kissinger” rovesciato (non più Stati Uniti e Cina contro URSS, ma Stati Uniti e Russia contro Cina) è pertanto ancora possibile, anche se deve necessariamente passare attraverso un’europeizzazione e un’occidentalizzazione della Russia, cosa che ad oggi è fuori discussione».
A proposito di paesi occidentali: lei sostiene che l’Unione europea non abbia alcuna autonomia strategica e nessuna capacità di deterrenza.
«Fallito il tentativo di un’integrazione Russia, Ue, NATO, checché ne pensi l’ex presidente del consiglio Romano Prodi che vorrebbe subordinare il riarmo dell’Italia alla creazione di una politica estera di difesa comune dell’Unione europea, senza testate nucleari europee e senza il deterrente atomico americano, credo proprio che l’Unione europea difetti, come sostenuto, in autonomia strategica e capacità di deterrenza».
E il nostro Paese?
«Sul ruolo dell’Italia, sono convinto che la soluzione prospettata dal Presidente del Consiglio Mario Draghi «no NATO, si Ue per l’Ucraina» non sarà accettata dalla Russia a cui interessa avere un’Ucraina de-occidentalizzata, per evitarne il contagio della società russa».
La caduta del Muro di Berlino rimane un data non solo simbolica…
«Occorre precisare che i rapporti di forza tra Occidente e Mosca, dopo la caduta del Muro, si sono completamente rovesciati: prima era l’Occidente a trovarsi in una condizione di debolezza convenzionale rispetto alle forze corazzate sovietiche ammassate nell’Europa centro-orientale e, di conseguenza, le armi nucleari americane giocavano un ruolo essenziale anche per la difesa avanzata della NATO. Oggi i rapporti di forza si sono invertiti e il caso ucraino lo dimostra ampiamente, con la Russia costretta a fare affidamento soprattutto sulla sua potenza nucleare».
A proposito di potenza bellica, Lei è stato chiaro sul tema del riarmo.
«Il riarmo dell’Europa è necessario, perché le forze convenzionali degli Stati Uniti si stanno spostando nel teatro indo-pacifico. Oggi il bipolarismo non è tra la Russia e il blocco occidentale, peraltro estremamente più potente, economicamente, demograficamente, militarmente e tecnologicamente della Russia, bensì tra gli Stati Uniti e la Cina, con l’India sempre più inglobata all’interno del cosiddetto Q.S.D.».
Ci perdoni, di cosa si tratta?
«E’ il Quadrilateral Security Dialogue (Il Dialogo quadrilaterale di sicurezza, nda), l’alleanza strategia informale tra costituita nel 2017 tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti, con lo scopo di contenere l’espansionismo cinese nell’immensa area marina formata dall’Oceano Indiano e da quello Pacifico. È questo il nuovo confronto che si imponendo nella versione aggiornata dell’ordine mondiale. Una nuova guerra fredda, le cui caratteristiche sono molto differenti da quelle precedenti».
Un nuovo teatro strategico al passo con i tempi…
«Prima il problema era contenere militarmente l’Unione Sovietica, in attesa che la maggiore efficacia del capitalismo occidentale la erodesse economicamente dall’interno, cosa che è di fatto avvenuta. Oggi, come anticipato, con la Cina economicamente fortissima, occorre invece puntare sulla guerra economica, tecnologica e, solo marginalmente, militare».
Lasciando, evidentemente, la deterrenza nucleare come opzione finale.
«Non dimentichiamo che questo Stato-continente ha in programma un potenziamento nucleare che lo porterà, nel 2030, a contare su 1000 testate nucleari, rispetto alle 350 attuali, molte delle quali “strategiche”, e cioè in grado di raggiungere il suolo americano».
È per questo motivo che gli Stati Uniti hanno rilanciato un consistente programma di riarmo nucleare?
«Esattamente, circostanza già emersa con il presidente premio Nobel per la Pace Barack Obama. Un programma di riarmo che prevede una spesa di circa 1,5 trilioni di dollari in trenta anni. Dal punto di vista economico e tecnologico, poi, si sta ritornando alla politica degli embarghi commerciali e tecnologici, per evitare che la Cina entri in possesso delle più avanzate tecnologie americane, sia di uso civile che militare, di uso promiscuo o duale».
In questa direzione va il Consiglio bilaterale per il commercio e la tecnologia di Pittsburgh dello scorso autunno?
«Si tratta dell’Agenzia sul commercio e la tecnologia, composta dagli USA e dai loro principali alleati europei e asiatici, che svolge nei riguardi della Cina le stesse funzioni che svolgeva l’ufficio CoCom di Parigi, durante la guerra fredda nei confronti del blocco sovietico».
Torniamo alla Guerra Fredda, appunto…
«Fondato il 22 novembre 1949 su input degli Stati Uniti, il Comitato di Coordinamento per i Controlli Multilaterali sulle esportazioni era un ente non ufficiale, privo di status giuridico (un “accordo tra gentiluomini”, in pratica), nato con lo scopo di impedire l’esportazione di materiali strategici ad alta tecnologia verso i paesi del blocco socialista. Oggi viene riproposta quest’iniziativa transatlantica diretta ad affrontare le sfide comuni del settore facendo fronte comune contro la superpotenza cinese».
Siamo sul terreno di analisi di intelligence molto raffinate…
«Effettuate su fonti aperte, su informazioni industriali, sullo spionaggio delle capacità tecnologiche della Cina, per verificare il campo in cui questo gigante è arretrato, dove ha bisogno di tecnologie occidentali (e ne ha ancora parecchio bisogno), dove presenta buchi e quando sottoporre ad embargo le tecnologie non disponibili a Pechino. Proprio in questo senso le analisi di intelligence tecnologica sono essenziali nel confronto USA-Cina che determinerà il nuovo ordine mondiale: analisi funzionali anche nella definizione delle sanzioni economico-finanziarie».
A proposito, Generale, parliamo di sanzioni e della loro efficacia.
«Occorre distinguere: gli embarghi hanno lo scopo di impedire i trasferimenti tecnologi, le sanzioni sono praticamente delle limitazioni di carattere economico-finanziario, con rilevanti effetti di natura sociale e politica. Sono primarie, se dirette contro lo stato nemico o contro imprese e personalità politiche che si vogliono colpire, oppure secondarie (o extraterritoriali), quando colpiscono stati o imprese che violino il proprio regime sanzionatorio (in pratica quello degli USA). Entrambe possono essere generiche o mirate, dette anche selettive».
Sanzioni ed embarghi hanno efficacia temporanea.
«Intanto manifestano la loro efficacia solo dopo un certo periodo e hanno sempre un costo per chi le decide, dato che violano le regole del libero commercio. La loro efficacia va valutata nel contesto globale degli altri strumenti adottati dagli Stati, che vanno dagli aiuti militari (di intelligence, di info-war, di cyber-war) agli aiuti politici, nei confronti dello stato che si trovi in guerra con lo stato bersaglio delle sanzioni».
Uno strumento molto particolare…
«Innanzitutto non sono flessibili, nel senso che non è possibile programmare una successione di fasi eliminando progressivamente porzioni di sanzioni, anche perché esse comportano costi diversi per i differenti paesi alleati e fra le varie industrie e settori economici coinvolti. Inoltre risulta difficile effettuare compensazioni per gli Stati più colpiti, per cui mentre è facile assumere la decisione di applicarle, è poi difficile modularle in maniera strategica».
…a rilascio prolungato.
«Bisogna attendere che producano tutti i loro effetti, indebolendo lo Stato bersaglio o influendo sulle decisioni dei suoi responsabili politici. È quindi improprio affermare che “le sanzioni contro la Russia di Putin non abbiano prodotto alcun effetto”. Gli effetti saranno a lungo termine».
Panorama.it Egidio Lorito, 29/04/2022