Einaudi, Torino 2009, pagg. 308, € 19.00
Quando le uccisero il padre, Benedetta aveva tre anni. Troppo pochi per ricordarlo. Quando le strapparono uno degli affetti più profondi di un’esistenza, quella bambina sapeva appena parlare ma non sapeva ancora scrivere: l’immaginario di una vita a quell’età è sintonizzato su frequenze sin troppo lontane da complotti reazionari, disegni eversivi, gruppi terroristici, azioni di brigatisti, sangue, corpi inanimati.
Sono passati trent’anni esatti e quella bambina di tre anni oggi ha una laurea in Filosofia, ha lavorato nella produzione audiovisiva, collabora con giornali e case editrici e si dedica a studi storici: non solo ha imparato a “parlare” ed ha assunto un ruolo pubblico come consigliere alla Provincia di Milano, ma sembra che abbia imparato anche a “scrivere” e pure bene! Il frutto di questa trentennale ricerca, che è anche un lungo viaggio introspettivo, è diventato “Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” (Einaudi, 2009), un concentrato di storia dell’Italia contemporanea, di affetti e drammi personali, di interrogativi e dubbi, di misteri come tanti che ancora rimangono tali in questo nostro strano Paese che si chiama Italia.
Ne è passato di tempo da quel 28 maggio 1980: Walter Tobagi era un giovane giornalista di origini umbre, inviato speciale ed articolista del “Corriere della Sera”, dal 1978 presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti e consigliere della Federazione Nazionale della Stampa: il rigore scientifico del suo approccio professionale e l’attaccamento alla professione non avevano tardato a farsi notare. Stava recandosi nel garage a pochi metri dalla sua abitazione, quando un commando di terroristi della Brigata XXVIII Marzo, affiliato alle Brigate Rosse -che cercava di accedere al livello più alto della lotta terroristica- lo attendeva in Via Salaino. Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano erano i componenti del gruppo di fuoco, giovanissimi e per di più figli della Milano bene. Avevano poco più di venti anni e la freddezza di un commando esperto e senza scrupoli che non diede scampo a quel giornalista trentatreenne che ad otto anni aveva seguito con la famiglia il padre Ulderico, ferroviere, a Bresso, periferia della grande metropoli lombarda. Quel che accadde è scolpito a caratteri cubitali nella storia violenta e sanguinaria della nostra Patria: da quell’episodio, un lampo nella vita di una bimba di pochi mesi, con una mamma ancora ragazza ed un fratello poco più grande, dunque, è nato un libro tenero e terribile al tempo stesso, nel quale trovano spazio tanti personaggi, buoni e cattivi, potenti ed innocenti. Tutti a muoversi spesso in quella sottilissima linea di demarcazione tra zone di luce e zone d’ombra;tutti alla ricerca di una verità che, trent’anni dopo, sembra ancora rimanere inafferrabile.
“No ho ricordi di mio padre da vivo: è morto troppo presto. In compenso sono cresciuta assediata dall’immagine pubblica di Walter Tobagi (…) Il mare d’inverno è il mio rifugio. Ci vado da sola. Quando sono stanca, confusa, l’acqua e la luce mi calmano sempre. Guardando l’orizzonte, prima o dopo, penso sempre a papà. Mi sembra che sia più vicino. Chissà come mai: dall’Umbria a Milano, mare niente. (…). Gli parlo. A volte parlo sul serio, seppure a bassa voce, per paura di essere presa per pazza E’ un rito dolce e liberatorio. Quando vado a trovare papà al cimitero, mi piace portargli una rosa, una sola, ma molto bella, in una delle infinite tonalità del rosa. La lascio lì accanto, come una carezza. Caro papà, scrivo una lettera da lasciarti insieme alla rosa, dato che ho scoperto che ti piaceva tanto riceverne (…)”. Davanti a queste pagine non c’è che da rimanere incantati…
Il Tetto, nn. 276-277 Anno LXVII – Marzo-Giugno 2010 Egidio Lorito