Il dibattito sul divario Nord-Sud accompagna la storia d’Italia sin dal 1861 ed anche in questo periodo in cui si discute delle prospettive economiche del Paese, il tema è oggetto di accesa discussione, non solo politica. Vittorio Daniele, ordinario di Politica economica all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, autore di numerose ricerche sui divari regionali, nella sua ultima ricerca “Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia” (Rubbettino), esamina le cause del ritardo meridionale, consegnandoci un’analisi ricca di dati che riserva delle sorprese e smentisce alcuni luoghi comuni.
Professore, oggi il divario economico tra Nord e Sud è molto ampio. Ma è sempre stato così? Ed era così anche nel 1861, all’epoca dell’unificazione?
“Oggi la differenza nel Pil per abitante tra Centro-Nord e Mezzogiorno è di circa 45 punti percentuali, mentre nel primo trentennio dopo l’Unità, secondo le stime, il divario era di circa il 10 per cento o poco più. Nel 1861, i salari medi al Sud erano di poco inferiori a quelli del Centro-Nord, ma poiché al Sud anche i prezzi erano più bassi, il tenore di vita era sostanzialmente lo stesso in tutto il Paese. E simili erano anche gli indicatori sociali: per esempio, l’aspettativa di vita alla nascita -che nel 1861 in Italia era di appena di 30 anni- in Puglia e Sicilia era più elevata di alcune regioni settentrionali, tra cui la Lombardia. Diversi dati, come le percentuali dei giovani dichiarati inabili al servizio militare per malattie o gracilità, mostrano come le condizioni nutrizionali e di salute nelle due aree fossero sostanzialmente analoghe. Differenze si riscontravano, invece, nei livelli d’istruzione: nel 1861, al Sud il tasso di analfabetismo era dell’85 per cento, e valori simili si registravano anche in Umbria e nelle Marche; soltanto in Piemonte e Lombardia, quel valore scendeva al 50 per cento”.
Allora il ritardo economico del Sud è, come alcuni sostengono, l’effetto dell’unificazione italiana e delle modalità con cui si svolse?
“Non propriamente, anche se le politiche attuate nel primo trentennio dopo l’Unità aggravarono il divario tra Nord e Sud. In quel periodo, infatti, i posti di governo e le amministrazioni erano occupati prevalentemente da settentrionali; le commesse statali per appalti e opere pubbliche furono destinate quasi esclusivamente alle imprese del Nord. La vendita dei terreni demaniali ed ecclesiastici, le cui maggiori estensioni si trovavano, invece, nelle regioni meridionali, determinò, un drenaggio di risorse dal Sud verso il Nord, e il protezionismo, attuato nel 1887, avvantaggiò l’industria settentrionale. Infine, va ricordata la repressione del “brigantaggio” nel primo quinquennio postunitario che, secondo alcune stime, causò circa ventimila morti ed ebbe inevitabili ripercussioni economiche”.
E allora quando aumenta il divario? Quando l’Italia è diventata un Paese economicamente diviso?
“Il divario economico Nord-Sud, già evidente alla fine dell’Ottocento, crebbe con l’avvio dell’industrializzazione moderna del Nord e si accentuò con la Prima guerra mondiale. Grazie alle ingenti commesse belliche, la capacità produttiva delle principali industrie, già concentrate nel Nord-Ovest, aumentò considerevolmente, al punto che possiamo facilmente evidenziare come proprio nella prima metà del Novecento si fosse verificata la grande divergenza tra le nostre due realtà geografiche. Vi contribuirono le politiche del Fascismo, ma la divergenza fu anche il risultato di forze economiche. Le regioni industrializzate attraevano investimenti e forza lavoro in un processo cumulativo che ampliava il mercato interno, mentre il Sud rimaneva largamente rurale. Se nel 1911 il divario nel reddito pro capite tra Centro-Nord e Mezzogiorno era del 20-25 per cento, nei primi anni Cinquanta aveva raggiunto il 50 per cento”.
E veniamo alla Cassa per il Mezzogiorno: iniziativa di sviluppo o carrozzone assistenzialista?
“L’intervento straordinario rappresentò la più incisiva politica per lo sviluppo del Sud! Negli anni Cinquanta, grazie alla Cassa per il Mezzogiorno, nelle regioni meridionali vennero realizzate infrastrutture di base come strade, acquedotti, opere idrauliche: grazie agli incentivi della Cassa, nacquero grandi complessi industriali sia di gruppi privati, sia di imprese a partecipazione statale. Si pensi che fino ai primi anni Settanta, l’intervento straordinario contribuì certamente allo sviluppo meridionale: successivamente, anche per pressioni politiche e localistiche, perse efficacia, fino a cessare nel 1992. Un declino che va letto, però, alla luce delle trasformazioni che hanno interessato il Paese. Negli anni Ottanta, la spinta che l’industrializzazione aveva impresso alla crescita nazionale si era ormai affievolita e anche la convergenza economica tra Nord e Sud si era interrotta”.
Lei stesso si chiede perché il Sud non è sviluppato come il Nord? Ci aiuti a capire…
“Secondo una delle tesi più diffuse, il ritardo economico del Sud è da imputare a scelte politiche più o meno consapevoli delle sue classi dirigenti o, secondo i punti vista, di quelle settentrionali. Per altri, dipenderebbe, invece, dalla carenza di civismo o dal <<familismo amorale>> che caratterizzerebbero i meridionali. Ci sono poi le tesi antropologiche, ormai superate, o, addirittura, quelle che fanno riferimento alla genetica delle popolazioni. Per esempio, lo psicologo Richard Lynn ha recentemente sostenuto che i meridionali sarebbero geneticamente meno intelligenti dei settentrionali: inutile sottolineare che si tratta, evidentemente, di una tesi senza fondamento! Ma torniamo alla politica. Indubbiamente, le scelte, in questa campo, hanno contribuito ad aggravare il divario Nord-Sud che è stato fortemente influenzato dalla geografia economica. Le regioni del Nord sono vicine ai grandi mercati del Centro-Europa, mentre il Sud, distante più di mille chilometri da quei mercati, è stato storicamente penalizzato dalla carenza d’infrastrutture. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, la geografia sembra scarsamente rilevante: non era così in passato, quando i costi dei trasporti erano elevati e le infrastrutture poco sviluppate. Il vantaggio geografico fu decisivo per la localizzazione industriale nelle regioni settentrionali: infatti, mentre il Nord, industrializzandosi, s’integrava con le regioni più avanzate d’Europa, il Sud, geograficamente periferico, lo diveniva anche dal punto di vista economico”. Il resto è storia dei nostri giorni…
l’ALTRAVOCE dell’Italia. Il Quotidiano del Sud
“Mimì” inserto culturale domenicale Egidio Lorito, 31-05-2020