Mons. Domenico Battaglia, vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti in Campania, lo scorso 12 dicembre è stato nominato Arcivescovo Metropolita di Napoli e, in attesa che venga nominato il nuovo vescovo, anche Amministratore Apostolico della sua precedente diocesi, tra le provincie di Benevento e Caserta. A Napoli succede al Cardinale Crescenzio Sepe, 77 anni, che dopo una proroga di due anni concessagli dal Papa, ha lasciato per raggiunti limiti di età, dopo aver guidato, dalla cattedra di Sant’Aspreno, la diocesi partenopea per 14 anni. Annunciato dalla Santa Sede con un comunicato, confermando indiscrezioni che circolavano da tempo, Don Mimmo, come lo chiamano affettuosamente i suoi fedeli, prenderà possesso dell’Arcidiocesi partenopea il prossimo 2 febbraio. 
Panorama.it ne ha delineato il profilo, conversando con personalità concordi nel rinvenirne l’ispirazione di Papa Francesco dal quale ha ricevuto direttamente l’imprinting.

Senza trascurare la circostanza che Jorge Mario Bergoglio, come in tante altre Chiese prestigiose, per Napoli non ha mantenuto la tradizione di nominare un cardinale.

  • L’Arcivescovo Antonio Cantisani: «E’ sempre stato dalla parte degli ultimi: a Napoli la sua missione troverà terreno fertile »
  • Il canonista Colella: «Una scelta che porta avanti il rinnovamento proposto da papa Bergoglio»
  • l giornalista Eugenio Donadoni: «Dovrà occuparsi anche del miracolo di San Gennaro»
  • La biografia del “Bergoglio del Sud”

L'arcivescovo Antonio Cantisani: «È sempre stato dalla parte degli ultimi: a Napoli la sua missione troverà terreno fertile»

Monsignor Antonio Cantisani è una figura centrale nell'episcopato italiano: dall'85 al '95 presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Conferenza episcopale italiana, è stato presidente della Conferenza episcopale calabra. Arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace dal 2001 al 2003, è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali il saggio di approfondimento teologico in sei volumi Un tempo nel mistero della Chiesa.
Sorpresa o scelta che il Papa meditava da tempo?
«Certamente non posso parlare di una elezione a sorpresa, perché il nome di Don Mimmo Battaglia circolava già da giugno: noi della curia calabrese che ben lo conosciamo, non nascondevamo le difficoltà per la sua elezione, ma poi, confidando nella forza di Papa Bergoglio, abbiamo visto realizzate le nostre preghiere».
Monsignor Battaglia «segno» del Papa?
«Della sua missione, precisamente. Il Santo Padre ha bisogno di figure esemplari, di segni forti che siano di esempio della missione di Cristo sulla terra, e la nostra speranza di vederlo incarnato, ora a Napoli, e per tanti anni, prima nel Sannio e prima ancora in Calabria, si è avverata».
Per la quarta volta, in una grande città...
«Dopo Bologna, Siena e Palermo, Papa Bergoglio ha scelto nuovamente un prete popolare, vicinissimo alla gente, la cui immagine sociale è direttamente proporzionale all'impegno profuso nella propria missione ecclesiastica».
A Napoli, un vescovo succede a un cardinale?
«Non è corretto, perché nella vita ecclesiale un vescovo può succedere soltanto ad un altro vescovo. I cardinali sono di nomina esclusiva del Papa, e Bergoglio - per come stiamo osservando - sta mutando l'organizzazione delle sedi. In pratica il Sommo Pontefice non vuole negare il cardinalato alle sedi per impedire che si faccia carriera. E questo non significa che il Papa, un domani, non lo nominerà, a sua volta, cardinale».
Ma Sepe era cardinale?
«Successivamente, quando fu nominato! Chiariamo ancora: prima avevamo Monsignor Sepe, arcivescovo di Napoli, ed ora, a succedergli, Monsignor Domenico Battaglia vescovo di Cerreto Sannita, Telese e Sant'Agata de' Goti. Che, a sua volta, potrà diventare cardinale…»
Lo definiscono il «Bergoglio del Sud»…
«E lo è davvero. Perché da parroco, come da rettore del Seminario Arcivescovile di Catanzaro, ha dimostrato un'assoluta sensibilità verso i marginali: io stesso, un giorno, gli dissi che forse la sua vera vocazione fosse proprio la vicinanza ai più poveri, agli esclusi, agli ultimi, ai bisognosi della società calabrese con i quali quotidianamente veniva in contatto».
Infatti ha guidato il Centro calabrese di solidarietà.
«Esperienza umanamente fortissima: era il factotum, lo ha praticamente fondato, ne era il cappellano, l'anima profonda di una comunità nella quale hanno trovato ascolto e cura le persone affette da tossicodipendenze».
Promosso sul campo.
«Così forte il suo impegno in Calabria da meritarsi la presidenza nazionale, al 2006 al 2015, della Federazione italiana delle comunità terapeutiche, quelle fondate - per ricordarlo come merita - da Don Mario Picchi, pioniere della Chiesa anti-droga, animatore di una rete mondiale di comunità di recupero per tossicodipendenti».
Una missione innovativa...
«La filosofia della sua missione ecclesiale è semplice: non solo aiutare materialmente i marginali, ma farli diventare protagonisti del loro domani, della propria resurrezione come uomini. Non un assistenzialismo fine a sé stesso, ma soggetti della costruzione della loro vita nuova».
Inserimento nella comunità come redenzione, allora.
«Uno dei capisaldi del progetto comunitario di don Mimmo è stato proprio quello di "lanciarli" nella loro nuova vita, di inserirli nuovamente nella comunità di vita».
E a Napoli?
«L'humus su cui verrà a posarsi la sua opera missionaria è più che fertile, perché l'antica capitale partenopea, accanto ad allarmanti emergenze, reca in sé una vastità di risorse spirituali tali da valorizzare, con la grazia di Dio, la sua missione ecclesiale».
Problematiche ataviche che attendono risposta.
«Decine di parrocchie, centinaia di sacerdoti, una rete assistenziale che la chiesa locale ha tessuto da anni, saranno il suo viatico. Lascerà, ne sono convinto anche a Napoli il suo segno: lo vedo come un predestinato».
È un suo figlio spirituale…
«E non soltanto perché lo ordinai sacerdote nel 1988, con la tradizionale imposizione delle mani, in qualità di arcivescovo: ma perché negli anni il nostro rapporto si è cristallizzato attorno alla comune missione pastorale. Appena qualche giorno fa l'ho incontrato: è passato a salutarmi, era di ritorno dalla Campania con la madre».
Sensazioni?
«La sua serenità mi ha emozionato, come la sua bontà al pari della capacità relazionale, quella disponibilità ad amare nel senso cristiano del termine, vivendo una vita "povera" lontano dal carrierismo che, purtroppo esiste anche nel mondo ecclesiastico. Abbiamo ricordato insieme che per ritemprarsi dalle fatiche, si rifugiava nella certosa di Serra San Bruno, tra le abetaie ed il silenzio dei monti calabresi».

Un ricordo personale…
«Uno per me rimane forte: scrivendo le prediche del Beato Domenico Lentini lo avevo al mio fianco ad aiutarmi, come se, in un certo senso, gli stessi passando il testimone della missione nel clero e nella comunità ecclesiale. Per me rimane una profezia, con l'uomo al servizio dei più poveri».

- Il canonista Pasquale Colella: «Una scelta che porta avanti il rinnovamento proposto da papa Bergoglio»
Già ordinario di diritto canonico presso l'Università degli studi di Salerno, libero docente di Diritto ecclesiastico ed incaricato di Istituzioni di diritto pubblico e consigliere di Cassazione fuori ruolo, Pasquale Colella è uno dei maggiori canonisti italiani. Autore di centinaia di pubblicazioni e collaboratore di riviste quali Diritto ecclesiastico, Foro italiano, Giurisprudenza italiana, Diritto e giurisprudenza, ha fondato nel 1963 con altri la rivista Il Tetto. È stato dirigente della Gioventù di Azione cattolica e dell'Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, ha partecipato al movimento dei cattolici del dissenso e a Cristiani per il socialismo. Ma soprattutto è un profondo conoscitore della vita ecclesiastica, politica e civile di Napoli.
Un commento sull'elezione di Monsignor Domenico Battaglia.
«Non lo conosco personalmente, ma la sua nomina ad Arcivescovo di Napoli mi fa pensare a una scelta che, anche da noi napoletani, porti avanti il rinnovamento della Chiesa proposto dal pontificato di Papa Bergoglio».
E la circostanza che un vescovo succeda a un cardinale?
«Il presule nominato da Papa Francesco è espressione della volontà di tenere distinta la nomina ad arcivescovo da quella di cardinale: come per altre precedenti significative nomine fatte precedentemente a Torino, Milano, Venezia, Bologna e
Palermo».
Quindi Papa Francesco distingue le due nomine?
«Pare convinto della possibilità di tenere distinte la nomina cardinalizia da quella episcopale proprio per caratterizzare, senza contrapporre, la distinzione delle due cariche».
In che senso?
«La nomina a Napoli avviene dopo che il Cardinale Sepe, dimessosi circa tre anni fa per limiti di età, venne prorogato per un ulteriore biennio nel suo duplice ruolo di arcivescovo e cardinale: ciò mi fa pensare che l'attuale decisione voglia confermare la distinzione tra i due compiti che si aggiunge a quelle precedentemente indicate».
Un indubbio segno di rinnovamento.
«Mi sembra che la distinzione non sia occasionale ma voglia essere un modo per dare vita e sviluppo a quella trasformazione radicale che Papa Francesco persegue».
A proposito: lo danno vicinissimo al Sommo pontefice…
«E lo appellano già come il "Bergoglio del Sud". Pur essendo ancora presto per ogni sottolineatura definitiva, appare evidente che la sua scelta collimi con il pensiero e il progetto del Papa».
Lei è un protagonista attivo delle vicende ecclesiastiche partenopee.
«La spinta me la fornì il pontificato di Papa Giovanni XXIII con l'apertura del Concilio Vaticano II. Mi sembra significativo, in proposito, ricordare che la rivista Il Tetto nasceva dal superamento di forme di emarginazione e condanne che
avevano colpito molti di noi sul finire del pontificato Pio XII».
A proposito de Il Tetto
«Vide la luce a Napoli nel 1963 (il primo numero è uscito nel gennaio del 1964) per iniziativa di un gruppo di giovani, universitari e laureati, credenti e non credenti, cattolici e non, uniti tutti dall'intento di dar vita a uno strumento di confronto e di dialogo».
Fondatore, attuale direttore editoriale e presidente dell'omonima associazione.
«Abbiamo cercato sempre di esercitare nella Chiesa e nella società una presenza viva e critica, alla ricerca di forme di vita civile e religiosa più giuste ed autentiche, nel rispetto di ogni diversità e rifiutando arroccamenti fondamentalistici».
Patrimonio sempre attuale.
«Una rivista come la nostra, che guarda ai 60 anni di vita, potrebbe essere esposta alla tentazione di coltivare il proprio patrimonio, la propria tradizione culturale e politica, amministrando un'eredità certa e tutto sommato prestigiosa.
Noi, invece, vogliamo essere il nostro presente e, perché no, il futuro».
La società ecclesiastica è in costante evoluzione.
«Senza scartare il passato, senza rinnegarlo, pensiamo che la nostra struttura redazionale debba necessariamente rimanere aperta alla diversità delle esperienze culturali e religiose e delle posizioni politiche, per come siamo nati e per i temi che abbiamo sempre affrontato».
Un ruolo critico, dunque?
«Che occorre continuare a svolgere nella riflessione dialettica tra istituzioni e movimenti, tra Chiesa-istituzione e Chiesa-popolo di Dio, di stimolo e di riflessione non allineata e non limitata da interessi contingenti».
Con padri nobili alle spalle…
«Non a caso la rivista nacque nelle stanze della Facoltà teologica dell'Italia meridionale retta dai Padri Gesuiti con l'approvazione e il sostegno dei gesuiti che vi insegnavano, come Paolo Tufari, Diez Allegria, Domenico Pizzuti».
Una rivista progressista…
«Non venne emarginata e ci permise di porre fine a precedenti condanne ed emarginazioni, di portare a Napoli il Concilio, di incontrare e di discutere tra credenti e non credenti e anche tra cattolici e non: come il padre dominicano Chenu, il servita Davide Maria Turoldo, la scrittrice Adriana Zarri, il professor Arturo Carlo Jemolo, il professor Lucio Lombardo Radice e il professor Michele Pellegrino, allora sacerdote, poi divenuto cardinale e arcivescovo di quella città».
…dallo sguardo aperto.
«Fummo tra i primi a valorizzare le esperienze pastorali sul finire degli anni Sessanta: il volume del Cardinale Pellegrino su S. Agostino, per intenderci, fu presentato dall'editore Gaetano Macchiaroli, che era esponente del "Gruppo Gramsci"».

- Il giornalista Eugenio Donadoni: «Dovrà occuparsi anche del miracolo di San Gennaro»

Da un trentennio collaboratore della storica testata partenopea, Eugenio Donadoni è un giornalista cultore di storia napoletana - in particolare del periodo borbonico - nonché direttore responsabile delle Cronache Costantiniane.
Che cosa pensa di monsignor Battaglia?
«È ancora presto, ovviamente, per esprimere giudizi di merito sul nuovo arcivescovo, che si insedierà soltanto il prossimo 2 febbraio: la stampa, com'è giusto che sia, si è subito messa sulle sue tracce, evidenziandone caratteri personali e di
magistero perfettamente in linea con la missione di Papa Bergoglio, soprattutto per quanto riguarda le opere caritatevoli».
Strano non avere un cardinale alla guida della Curia partenopea.
«La circostanza ha già sorpreso l'opinione pubblica, in quanto la nostra diocesi è sempre stata guidata da un cardinale, come l'ultimo, il cardinale Crescenzio Sepe, che - ricordiamolo - fu nominato da Benedetto XVI. E sono sicuro che Papa Francesco non farà passare molto tempo per elevare anche Don Domenico Battaglia (come ama farsi chiamare) alla dignità cardinalizia».
Monsignor Battaglia non sarà un presule come tanti…
«È probabile, in quanto già sappiamo che è dedito principalmente all'assistenza dei più deboli, non solo materialmente, ma anche spiritualmente, e ciò perfettamente in linea con i dettami del nostro Sommo Pontefice».
Napoli ha mille sfaccettature…
«Sarà la sua "prova del nove", visto che dovrà affrontare una realtà multiforme, dalle periferie più disagiate ai quartieri alti».
Lo attende anche un'antica problematica tutta partenopea…
«Il miracolo di San Gennaro, con la liquefazione del sangue nell'ampolla, è noto in tutto il mondo, ma non tutti sanno che l'organizzazione di questo evento deve essere gestita congiuntamente dalla Curia e da un'istituzione laica».
In che senso?
«La proprietà della Cappella del tesoro è della Città di Napoli e la relativa custodia è affidata alla Deputazione del tesoro di San Gennaro, di cui è presidente pro tempore il sindaco della città».
Retaggi storici.
«La Deputazione è composta da 12 membri scelti in rappresentanza degli antichi sei sedili napoletani, due per ogni sedile, in passato nominati dal Re di Napoli prima e dal Re d'Italia poi, e oggi dal Ministro degli Interni; storicamente, cinque seggi
erano appannaggio della nobiltà e uno del popolo».
Ieri e oggi…
«Anticamente i rappresentanti di questi sedili amministrativi governavano la città, mentre ora si dedicano esclusivamente alla gestione della Cappella e del tesoro che di recente viene esposto in alcuni locali sottostanti, visitabili dal pubblico».
Due diverse istituzioni…
«La Cappella del tesoro di San Gennaro, cui si accede anche dal Duomo, non rientra nella sua proprietà: è stata costruita nel diciassettesimo secolo a cura e spese dei napoletani per custodire le ampolle con il sangue e, successivamente, anche l'inestimabile tesoro di San Gennaro accumulatosi nel corso dei secoli grazie a cospicue donazioni ed ex-voto di sovrani, nobili e popolazione tutta».
Che devono agire in sintonia…
«Giusto per fare un esempio della gestione congiunta, per aprire la cassaforte in cui è custodita la teca con il sangue di San Gennaro sono necessarie due chiavi, di cui una è custodita dalla Deputazione e l'altra dalla Curia; in pratica, senza l'accordo delle due istituzioni è impossibile aprire la cassaforte».

- La biografia del «Bergoglio del Sud»
Nato il 20 gennaio 1963 a Satriano, in provincia di Catanzaro, dopo gli studi in filosofia e teologia presso il Pontificio seminario regionale «San Pio X» di Catanzaro, Domenico Battaglia viene ordinato sacerdote il 6 febbraio del 1988. Rettore del Seminario liceale e membro della Commissione diocesana «Giustizia e Pace», è stato parroco e direttore dell'Ufficio diocesano per la «Cooperazione Missionaria tra le Chiese». Canonico del Capitolo cattedrale del capoluogo calabrese, da sempre attento alla condizione degli emarginati, tanto da guadagnarsi l'appellativo di «prete di strada», ha guidato il Centro calabrese di solidarietà e, da presidente nazionale, la Federazione italiana delle comunità terapeutiche di don Mario Picchi. Eletto da Papa Francesco nel 2016 alla guida della sede vescovile di Cerreto Sannita -Telese - Sant'Agata de' Goti, scelse come motto episcopale «Coraggio, alzati, ti chiama!» ("Confide, surge, vocat te!"), le parole di Gesù a Bartimeo, il figlio cieco di Timeo, che sostava lungo le strade a chiedere l'elemosina. Attivo nella pubblicistica, oltre ad articoli per riviste religiose ha di recente pubblicato Seduto accanto alla mia povertà. Avvolto nel silenzio della Sua presenza (Edizioni Insieme 2020).

Panorama.it                                                    Egidio Lorito, 11 gennaio 2021

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