Per Vittorio Daniele, economista dell'Università Magna Graecia di Catanzaro, è necessario «smentire luoghi comuni e pregiudizi». 

È dal 1861 che il dibattito sul divario Nord-Sud accompagna la storia del nostro Paese. Se ne discute da prospettive economiche e politiche, e talvolta anche psicologiche, a voler dar seguito a un articolo, pubblicato nel 2010 sulla rivista Intelligence, in cui lo psicologo Richard Lynn, classe 1930, già Emerito dell'Università dell'Ulster, azzardò una tesi ardita. Lynn sostenne che i divari socioeconomici e culturali tra Nord e Sud dipendessero, in un'ultima analisi, da differenze nel quoziente d'intelligenza: «In pratica, i meridionali, compresi quelli italiani, sarebbero in media meno intelligenti dei settentrionali e ciò spiegherebbe il ritardo del Sud». Nel suo ultimo libro Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d'Italia (Rubbettino 2020), Vittorio Daniele, ordinario di Politica economica all'Università Magna Graecia di Catanzaro, autore di numerose ricerche sui divari regionali, esamina le cause del ritardo meridionale, consegnandoci un'analisi ricca di dati che riserva delle sorprese e smentisce alcuni luoghi comuni, che Panorama.it ha evidenziato. 

Professore andiamo per ordine. Il divario economico tra Nord e Sud partirebbe dopo l'Unità d'Italia?
«L'Italia del 1861 era un paese scarsamente industrializzato e, complessivamente, povero. Le condizioni economiche del Nord e del Sud erano, per molti aspetti, simili. Simili erano i salari, mentre la differenza nel Pil per abitante tra le due aree era modesta: secondo le stime, del 10-15%. Indicatori sociali come la mortalità infantile non mostravano differenze».
Natalità e aspettativa di vita marciavano insieme.
«Nel periodo 1863-70, in Lombardia, 245 bambini ogni mille nati morivano entro il primo anno, in Emilia Romagna 256, mentre in Puglia la mortalità era del 212 per mille e in Campania del 203 per mille. Simile tra Nord e Sud era anche l'aspettativa di vita alla nascita che, ricordiamolo, nel 1861 in Italia era di appena trent'anni».
Il divario si riscontrava nella scolarizzazione.
«Nel Sud l'86% della popolazione era analfabeta. Analoga la situazione in Sardegna (già parte del regno dei Savoia), in Umbria e nelle Marche, con punte dell'84% della popolazione. Il tasso di analfabetismo diminuiva in Lombardia e Piemonte, dove sfiorava il 50%».
Allora il Sud sarebbe rimasto indietro proprio a causa dell'unificazione?
«Ritengo di no. Tuttavia, nel primo periodo post-unitario, alcune scelte politiche aggravarono il divario Nord-Sud. Per esempio, le commesse statali vennero rivolte quasi esclusivamente alle imprese settentrionali che, in alcuni casi, beneficiarono anche del sostegno diretto dello Stato».
Però i dazi doganali si facevano sentire…
«Introdotti nel 1887 per sostenere l'industria settentrionale, penalizzarono le esportazioni meridionali, e per decenni avrebbero gravato sullo sviluppo del Meridione».
Quando l'Italia si è divisa economicamente?
«Dalla fine dell'Ottocento, quando si avviò l'industrializzazione: si verificò una lunga fase di divergenza tra Nord e Sud. Nel 1951, il reddito pro capite al Sud era circa la metà di quello del Centro-Nord: l'Italia era un Paese economicamente diviso, perché l'industria era fortemente concentrata nel Settentrione».
L'inchiesta sulla miseria del 1951-53 fu impietosa.
«Certificò che il 28% delle famiglie meridionali vivesse in condizioni misere, con picchi del 54% in Lucania e del 63% in Calabria. Nel settentrione, le famiglie in miseria erano l'1,5%. La spesa assistenziale delle Province era di 177 lire per abitante a Matera (dove ancora molte famiglie abitavano nei celebri "Sassi") e di 585 lire a Milano».
Cassa per il Mezzogiorno: iniziativa di sviluppo o carrozzone assistenzialista?
«Dal 1950, attraverso la Cassa, si realizzarono infrastrutture fondamentali e si incentivò la localizzazione industriale al Sud. Negli anni Sessanta, anche grazie all'Intervento straordinario, il Sud recuperò parte del suo ritardo. Nel tempo, perse efficacia, piegandosi a logiche politiche anche clientelari».
Ci aiuti a capire le ragioni del ritardo meridionale.
«È spesso imputato a scelte politiche delle sue classi dirigenti o, alternativamente, di quelle settentrionali. Secondo alcuni studiosi, il ritardo è riconducibile a fattori sociali e culturali: la carenza di civismo e l'eccessivo familismo caratterizzerebbe i meridionali».
Le cause politiche hanno allargato la forbice…
«Ma hanno pesato, soprattutto, fattori economici e geografici. Lo sviluppo economico del Settentrione è stato, inizialmente, favorito dalla presenza di un reticolo di città ben collegate e, soprattutto, dalla prossimità ai grandi mercati europei».
Il Sud appariva marginale…
«Direi periferico. Montuoso, con un mercato interno piccolo e distante più di mille chilometri dai mercati europei, era aggravato dalla carenza di infrastrutture».
Scomodiamo la geografia economica?
«Lo sviluppo è un processo cumulativo. Quando un'area si industrializza, l'aumento dei redditi attrae lavoratori e capitali in un processo che si autosostiene. È ciò che è accaduto al Nord, cui il Sud ha fornito manodopera ed è stato il principale mercato di sbocco dell'industria settentrionale».
Il Settentrione si è integrato con il centro Europa…
«Il Meridione fa parte della periferia europea, che comprende le regioni più povere. Oggi, nell'epoca della globalizzazione, la geografia sembra scarsamente rilevante. È nel passato, con costi dei trasporti elevati ed infrastrutture poco sviluppate, che il ritardo del Sud si è stratificato».
Italiani del Nord e italiani del Sud: divisioni antropologiche.
«Alla fine dell'Ottocento si affermò l'idea che ci fossero due popolazioni etnicamente e culturalmente diverse, l'una accanto all'altra, senza costituire, però, un'unica nazione. Un'idea che ha resistito a lungo, se è vero che nel 1951 l'economista Friedrich Vöchting individuava nel carattere della "razza mediterranea" una delle cause del ritardo del Mezzogiorno».
Cesare Lombroso e Giuseppe Sergi sostennero che l'Italia fosse popolata da «due stirpi»...
«Nervosi, dall'io eccitabile e irrequieto e, perciò, deboli di volontà e propensi all'individualismo, ma anche al delitto e all'omicidio, gli italiani del Sud; di tenace e pazientissima attenzione e, di conseguenza, disciplinati e adatti all'opera collettiva, economica e politica, quelli del Nord».
L'antropologo Alfredo Niceforo andò oltre.
«Concluse che la psicologia dell'uomo del Nord era più adatta, che non il carattere del Sud, al progresso sociale e civile».
Addirittura c'è chi si è spinto sul profilo psicologico.
«Alcune idee non scompaiono mai del tutto e, come un fiume carsico, prima o poi riaffiorano. Nel 2010, Richard Lynn, docente all'Ulster University, in Irlanda del Nord, sostenne che i divari economici, sociali e culturali tra Nord e Sud, anche in Italia, dipendessero da differenze nel quoziente d'intelligenza (Q.I.)».
Meridionali meno intelligenti?
«Per Lynn i meridionali sarebbero, in media, meno intelligenti dei settentrionali e ciò spiegherebbe il ritardo del Sud. Il suo articolo, pubblicato sulla rivista Intelligence, ha avuto ampia risonanza mediatica e ha stimolato un acceso dibattito accademico».
Questa è una notizia!
«Secondo lo psicologo irlandese, le differenze Nord-Sud nel Q.I. medio sarebbero, in parte, genetiche. La minore intelligenza dei meridionali sarebbe il retaggio dei Fenici e degli Arabi che, in epoche diverse, si insediarono in alcune zone del Meridione».
Notizia culturale…
«Oltre ad aver lasciato un'eredità culturale, che nel caso degli Arabi è evidente nell'architettura e nei dialetti, in particolare in Sicilia, queste popolazioni hanno lasciato anche un'eredità genetica. Proprio la componente genetica Nord Africana e Medio Orientale eserciterebbe un'influenza negativa sul Q.I. dei meridionali».
E l'eredità genetica dei Greci?
«Come si può osservare, al Sud è ben presente…».
Su cosa si basa la ricerca del prof. Lynn?
«Per dimostrare la sua tesi, Lynn ha utilizzato i risultati nei test scolastici (Ocse-Pisa), che nelle regioni meridionali sono significativamente inferiori a quelli del Nord. A livello internazionale, i punteggi nei test scolastici sono fortemente correlati con quelli nei test d'intelligenza, e ciò spiega perché Lynn e altri autori li usino per misurare il Q.I. medio».
Ma esistono anche altri indicatori?
«In Italia, i punteggi nei test scolastici sono correlati con il reddito per abitante, la mortalità infantile, la scolarità e la statura media e ciò, secondo Lynn, proverebbe il legame tra intelligenza e divari regionali».
La tesi di Lynn si fonda su dati dell'istruzione scolastica.
«I punteggi nei test scolastici hanno un forte legame con gli indicatori socioeconomici e con quelli che misurano la qualità delle istituzioni. Nazioni con Q.I. medio più alto hanno maggiori livelli di sviluppo, istituzioni più efficienti e minore corruzione».
La causa remota sarebbe, dunque, genetica?
«La causa delle ineguaglianze risiederebbe nell'intelligenza delle popolazioni o, come dice Lynn, delle "razze umane". Nella graduatoria mondiale dell'intelligenza, ai primi posti, con il Q.I. più alto, ci sarebbero gli asiatici dell'est (giapponesi, cinesi e coreani), seguiti dagli europei e dalle popolazioni di origine europea, mentre in fondo, con il Q.I. più basso, ci sarebbero le popolazioni dell'Africa subsahariana e gli aborigeni australiani, poveri perché geneticamente meno intelligenti degli altri».
Qual è, dunque, la conseguenza di questa tesi?
«Una logica ma spiacevole conseguenza: per quanti sforzi si facciano, i divari tra le nazioni e tra le regioni non potranno mai essere eliminati del tutto, perché determinati dalla natura umana, cioè dalla nostra biologia».
Oltre a essere etichettata come razzista, la tesi di Lynn ha trovato molti dissensi.
«I genetisti, oltre a mostrare l'incoerenza delle classificazioni razziali, osservano come, al momento, non vi sia alcuna prova dell'esistenza di differenze genetiche nel Q.I. tra le popolazioni. L'idea di poter misurare e comparare internazionalmente l'intelligenza attraverso i test Q.I. è opinabile, e lo è ancor di più quando si usano i risultati nei test scolastici».
Nel caso dell'Italia, non è supportata neanche dalla storia.
«È la storia del Mediterraneo a dimostrarlo. Per secoli, il «mare tra le terre» ospitò le civiltà più avanzate al mondo. Basti pensare ai greci. Popolazioni mediorientali e nordafricane che, ad avviso di Lynn avrebbero un Q.I. minore di quelle del nord Europa, crearono raffinate e complesse civiltà».
Fino al basso medioevo, la storia era un'altra…
«Le regioni del Mediterraneo, non quelle nordeuropee, erano tra le aree culturalmente più avanzate e prospere al mondo. Il nord Europa si sviluppa di recente, grazie al ribaltamento della geografia economica che comincia nel Cinquecento e si compie del tutto con la Rivoluzione industriale, alla fine del Settecento».
Un economista meridionale come vede la tesi di Lynn?
«L'idea che le ineguaglianze socioeconomiche non siano dovute a fattori storici, politici o geografici, ma alla genetica, è più diffusa di quanto si potrebbe credere. Si tratta di un'idea inconsistente».
Ma che attrae…
«Certo, coloro che ritengono di aver trovato la causa ultima e fondamentale delle ineguaglianze tra le persone e tra le nazioni. Un'idea antica, che appare oggi sotto un superficiale paludamento scientifico che aspetta ancora di essere dimostrata».
Tranne che per il prof. Lynn, a quanto pare.
«Intanto, nel 2018, il titolo di Emeritus gli è stato ritirato dalla sua università per ingombranti ragioni di opportunità, viste le tesi razziste ed eugenetiche sostenute…».

Panorama.it             Egidio Lorito, 10 maggio 2021

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