Da simbolo della marineria italiana della prima metà del Novecento a santabarbara della ‘ndrangheta e crocevia di oscure trame. 
Per l’allora procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, oggi a capo dell’antimafia, era il «supermarket della ‘ndrangheta».
Per il saggista reggino Claudio Cordova «il carico del relitto è stato utilizzato dalle cosche per troppo tempo».

E’ storia di cento anni addietro. Varato come Laura nel cantiere navale triestino di Monfalcone il 3 gennaio 1923 e completato per la Cosulich, storica società triestina di navigazione il successivo 20 marzo insieme ai gemelli Ida, Alberta, Clara, Teresa e Lucia impiegati sulle linee dell’America Settentrionale, il piroscafo da carico Laura C. ha avuto una storia degna della miglior letteratura d’avventura. Lungo 121,95 metri e largo 16,47, capace di raggiungere una velocità 10,5 nodi, venne ribattezzato Laura C. nel 1925 e, contrariamente a quanto spesso affermato, non sembra che abbia mai assunto il nome completo di Laura Cosulich, in omaggio ad una delle discendenti della celebre dinastia marittima triestina. Dopo le rotte verso le coste americane, è con l’ingresso del nostro Paese nel secondo conflitto bellico, il 10 giugno del 1940, che il piroscafo inizia una nuova fase della propria vita per mare: requisita dalla Regia Marina inizierà a solcare il Mediterraneo, scortata da unità militari, adibita al trasferimento delle merci. E durante una di queste navigazioni vedrà segnata la sua breve storia.

Il siluramento e l’affondamento
Si legge nei giornali di navigazione che «il 28 giugno 1941 il Laura C. (comandante civile capitano Giuseppe Pirino, comandante militare Rodolfo Muntjan), salpò da Venezia diretto a Taranto, da dove poi sarebbe proseguito verso Messina ed infine verso Tripoli con rifornimenti per le forze dell’Asse operanti in Nordafrica: il carico, imbarcato a Venezia, assommava a 5773 tonnellate di materiali, tra cui provviste (farina, zucchero, vino Chianti, birra, conserve, anche Campari soda in bottigliette), stoffe, macchine da cucire, biciclette (per i bersaglieri), profumi, inchiostro di china, coltelli, parti di ricambio per automezzi, medicinali, cavi per linee telefoniche, armi, munizioni, vestiario e 1400-1500 (per altre fonti 700) tonnellate di tritolo, queste ultime sistemate nella terza stiva poppiera». Ma quel carico mai sarebbe giunto a destinazione, perché sulla rotta di quel gigante del mare si sarebbe frapposto il sommergibile inglese “Upholder”, impegnato a pattuglia l’imbocco meridionale dello Stretto di Messina. Qui, al largo di Saline Ioniche e presso Capo dell’Armi, in Calabria, nella mattinata del 3 luglio del 1941 si consumò il suo destino: «alle 11.45, il piroscafo venne colpito da due siluri sul lato sinistro, a pochi secondi l’uno dall’altro. Il primo siluro andò a segno a prua, all’altezza della stiva numero 2, aprendo una falla attraverso cui la nave imbarcò acqua ma senza causare, apparentemente, danni di eccessiva gravità (…). Dopo pochi secondi, però, il secondo siluro colpì la sala macchine, fermando le macchine, bloccando il timone ed aprendo un enorme squarcio che causò il rapido allagamento delle stive». Non impiegò molto, il piroscafo, ad inabissarsi adagiandosi sul fondale sabbioso antistante il litorale di Saline Joniche, trascinando a fondo il prezioso carico. Comprese le tonnellate di tritolo…
La seconda vita del piroscafo dei misteri.
Inizierà quel giorno la seconda vita del Laura C.: del relitto rimase visibile, per molti anni, la prua che emergeva per alcuni metri, fino all’inabissamento definitivo, favorito da un’alluvione impetuosa scesa dalle propaggini dell’Aspromonte, lungo il corso della Fiumara Molaro. Oggi solo l’apice dell’albero prodiero affiora dal fondale, a 18 metri di profondità e a 150 metri dalla riva, richiamo troppo ghiotto per subacquei di ogni dove. E non solo. «Negli anni, infatti, si procederà a una bonifica del relitto, arrivando a cementificare gli accessi alle stive: un’operazione, però, che si rivelerà un flop. Il carico del relitto, infatti, continuerà a tornare utile alle cosche, fino a metà degli anni 2000 (il famigerato attentato a Palazzo San Giorgio è dell'ottobre 2004), quando gli inquirenti possono censire episodi in cui sarebbe stato utilizzato il tritolo della “Laura C.». Ma a cosa si riferisce Claudio Cordova, giornalista reggino, fondatore del quotidiano on line “Il Dispaccio”, e autore di “Gotha. Il legame indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi deviati”? Esattamente al destino del piroscafo Laura C., trasformato in “santabarbara” delle cosche reggine, o meglio, per come affermerà l’allora procuratore della repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho -oggi a capo della Procura nazionale antimafia ed antiterrorismo- nel «supermarket della ‘ndrangheta». Nel tempo, infatti, la criminalità organizzata non si sarebbe lasciata sfuggire l’opportunità di attingere, a piene mani, dalle grandi quantità di tritolo presenti nelle stive del piroscafo, occasione sin troppo ghiotta soprattutto per la potente cosca degli Iamonte di Melito di Porto Salvo, nel reggino, come testimoniano gli oltre 300 chili di tritolo provenienti dalla nave sequestrati alla cosca nel solo periodo agosto-ottobre 2004. Cosca, è bene ricordarlo, che opera storicamente nell’area un tempo destinata a diventare il V Centro siderurgico italiano del pacchetto Colombo, varato nel 1970, all’epoca della rivolta del “Boia chi molla” di Reggio Calabria.
Le operazioni di bonifica e recupero.
Ricorda ancora Claudio Cordova che «nell’ambito di attività di ispezione sul relitto della “Laura C.”, disposte dalla Prefettura di Reggio Calabria, con il coordinamento del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, si procedette nel settembre del 2014, al recupero dell’esplosivo ancora custodito nella stiva del relitto: su input della Procura della Repubblica, retta da Federico Cafiero de Raho, si volle mettere una pietra tombale sulla storia dello storico piroscafo». Vennero recuperati 121 panetti di tritolo e ciascuno -del peso di 200 grammi circa- recava il caratteristico foro centrale circolare di predisposizione per l’eventuale innesco. Seguì una seconda operazione di bonifica, appena un anno dopo, questa volta per sigillare direttamente le stive: i palombari del gruppo operativo subacquei del Comsubin della Marina militare provvidero, infatti, a saldare i varchi aperti dai sommozzatori al soldo delle cosche, ingaggiati per recuperare l’esplosivo.
Il presunto attentato al Comune di Reggio Calabria nell’ottobre del 2004
In passato si era spesso favoleggiato sull’utilizzo del tritolo proveniente dalla Laura C., nell’attentato di Capaci del 23 maggio 1992 o, addirittura, in quello nella stazione ferroviaria di Atocha, a Madrid, l’11 marzo del 2004, che causò 192 vittime e 2057 feriti: ipotesi mai confermate del tutto, che però hanno contribuito ad alimentare l’alone di potenza criminale internazionale della ‘ndrangheta. Qualcosa di più concreto, invece, si sarebbe verificato in una calda notte ottobrina del 2004, tra il 6 ed il 7, in un bagno di Palazzo San Giorgio, il Comune di Reggio Calabria: «Lo stesso tipo di tritolo a bordo del relitto», affermò un’informativa dei servizi segreti militari, che svelava scenari inquietanti che coinvolgevano direttamente l’allora sindaco Giuseppe Scopelliti. Saltarono fuori ben tre informative del Sismi a firma dell’allora dirigente Marco Mancini, uomo di fiducia del generale Nicolò Pollari con cui, rispettivamente, furono scoperti i panetti di tritolo nel bagno del Municipio di Reggio, fu svelato che la bomba l’avrebbe collocata la ‘ndrangheta e fu individuato l’obiettivo dell’attentato nella persona del sindaco Scopelliti, messo prontamente sotto scorta. Anzi, emerse che la Prefettura il giorno prima della scoperta del tritolo avesse convocato urgentemente il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Preveggenza? Fuga di notizie? Coincidenze?
I risvolti politici del presunto attentato.
In realtà quella bomba rudimentale -600 grammi di tritolo avvolti da un nastro adesivo nero, con annessa mascherina di un telefono cellulare- non era dotata di innesco esplosivo: non avrebbe potuto esplodere, insomma, ed infatti vi fu chi avanzò il sospetto che quel finto attentato fosse stato ordito per rafforzare Scopelliti e la sua giunta, anche perché, la ‘ndrangheta reggina avrebbe avuto tutto l’interesse a che il gruppo al governo della città si rafforzasse il più possibile in vista dell’arrivo dei fondi per il “decreto Reggio,” una pioggia di milioni che facevano gola, ovviamente, alle cosche. Il partito di Scopelliti, Alleanza nazionale, inoltre, si presentava lacerato al suo interno, diviso tra la componente di Gianni Alemanno e quella di Maurizio Gasparri, cui lo stesso Sindaco si rifaceva. Proprio Gasparri, allora Ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, al telefono con l’assessore regionale Domenico Antonio Basile, sempre di An, gli confidava che «questo tritolo viene da una partita sequestrata dal Sismi in Calabria», rassicurandolo sulla conferma giunta proprio dall’ex numero uno del Sismi, circostanza, però, «categoricamente negata» da Pollari stesso.
La versione emersa nel processo Gotha
Il Processo Gotha è l’imponente azione giudiziaria che vedrà l’epilogo a luglio nella sua fase ordinaria, a carico dei vertici della ‘ndrangheta reggina, la cosiddetta “cupola”, individuata in una “componente riservata”, cioè di “soggetti cerniera” che interagiscono tra l’ambito “visibile” e quello “occulto”: riunisce le inchieste Mamma Santissima, Reghion, Fata Morgana e Sistema Reggio, e vede imputati figure di spicco quali il senatore Antonio Caridi, l’avvocato e politico Paolo Romeo, l'avvocato Giorgio De Stefano, l'avvocato Antonio Marra, il parroco di San Luca Giuseppe Strangio, l’ex magistrato di Cassazione Giuseppe Tuccio -defunto- già Procuratore della Repubblica di Palmi. Tra i testimoni anche l’ex assessore della giunta Scopelliti Sebastiano Vecchio, suo testimone di nozze: oggi collaboratore di giustizia, un tempo anche poliziotto, riferendosi all’episodio del tritolo nel bagno del Municipio, lo addebita ad una regia del Sismi: «I servizi erano interessati a blindare la persona di Peppe Scopelliti affinché, sia dal lato politico che dal lato personale, ne uscisse un’immagine di successo (…) Più che di fortificarlo c’era bisogno di inventarlo».
La risposta di Scopelliti.
Le agenzie hanno appena rilanciato la risposta dell’ex sindaco ed ex presidente della regione Calabria: «l’attentato era finalizzato a interferire sulla gara pubblica del Palazzo di giustizia», ben 81 milioni di euro che la sua amministrazione si sarebbe trovata a gestire. Scopelliti ha rimarcato di aver condotto, «durante la carriera politica, un’incisiva lotta contro la criminalità organizzata». Intanto, anche questa volta, la verità non è ancora venuta a galla, la Laura C. rimane un monumento subacqueo ai misteri italiani, a pochi metri dalla costa reggina, e le operazioni di bonifica graveranno sulle tasche dei contribuenti italiani per la modica cifra di 300 mila euro…

Panorama.it      Egidio Lorito, 17/06/2021


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