Di coraggio, Maria Antonietta Ventura ne aveva avuto fin troppo. Ad accettare la candidatura, appena due settimane addietro. E a rinunciare alla corsa alla presidenza della regione Calabria, soltanto qualche ora fa. Con questo nuovo colpo di scena, il fronte del centro sinistra regionale (Pd 5Stelle e Leu) appare nuovamente disorientato, orfano di una candidatura di peso da opporre, soprattutto, al centro-destra unito e compatto attorno all'onorevole Roberto Occhiuto, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. Gli altri candidati continuano, intanto, a macinare chilometri: Luigi de Magistris, alla guida di un ampio fronte civico trasversale, da tempo sta girando la Calabria in lungo e in largo, come il suo ex alleato Carlo Tansi, già direttore della Protezione civile regionale, mentre il senatore renziano Ernesto Magorno, sindaco del comune di Diamante, nel cosentino, candidato per Italia Viva, lancia messaggi di riconciliazione a tutto il centro-sinistra.
E così, nella serata di ieri l'imprenditrice Maria Antonietta Ventura, tramite il proprio profilo Facebook, ha gettato la spugna: «Avevo deciso di raccogliere l'invito a candidarmi a presidente della Regione Calabria e condurre una battaglia fiera e leale, a viso aperto, con parole chiare e proposte concrete per ridare dignità alla Calabria e orgoglio ai calabresi. Preferisco però, con dolore, fare un passo di lato per evitare che vicende, che - lo sottolineo con forza - non mi riguardano personalmente, possano dare adito a strumentalizzazioni che nulla avrebbero a che fare con il merito della campagna elettorale. Ho la responsabilità di tutelare le oltre 1.000 famiglie dei lavoratori diretti e indiretti relativi alle aziende del mio gruppo. L'impegno sociale e civico a tutela dei calabresi proseguirà, con ancora maggiore determinazione, nelle forme che da sempre porto avanti».
Un orizzonte complicatissimo quello che si profila nel fronte del centrosinistra calabrese che dopo la rinuncia di Nicola Irto, il giovane e votatissimo consigliere regionale Dem, in un primo tempo acclamato candidato alla presidenza e successivamente rifiutato da 5Stelle, deve incassare, ora, anche l'uscita di scena dell'imprenditrice Ventura. In realtà anche la sua candidatura aveva creato malumori e perplessità per il metodo utilizzato nel proporla, visto che ad averla praticamente calata dall'alto era stato il responsabile nazionale degli Enti locali del Pd in persona, l'ex ministro nel secondo governo Conte Francesco Boccia.
Sarebbe maturata a seguito dell'invio di una seconda interdittiva antimafia da Napoli a un consorzio di imprese che comprendono anche l'azienda familiare, uno dei più importanti gruppi italiani nel settore delle costruzioni ferroviarie, la decisione di Ventura di abbandonare la corsa alla presidenza della Regione Calabria. Già lo scorso 9 aprile il consorzio Federsalento srl era stato destinatario di un primo provvedimento emesso dal prefetto di Lecce, Maria Rosa Trio, che aveva evidenziato «la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi d'impresa». Nel consiglio di amministrazione della società leccese, attiva nei lavori ferroviari con commesse sull'intero territorio nazionale, siedono, infatti, le sorelle Marcella, Maria e Alessandra Ventura, con la madre Angela Raffaella Perrone. A sua volta la società fa parte del Consorzio armatori ferroviari, società leccese destinataria da un diniego della Prefettura salentina all'iscrizione alla cosiddetta white list delle aziende. E in questo consorzio entrano anche la Globalfer e la Francesco Ventura costruzioni ferroviarie, nei cui confronti sono state svolte indagini per corruzione aggravata (patteggiata a un anno di pena), oltre che per violazione delle norme sul finanziamento dei partiti politici e turbativa d'asta.
In realtà è stata la primavera a far esplodere o implodere, a seconda della prospettiva, il Partito democratico calabrese che un candidato ufficiale già lo aveva. Nicola Irto, quarantenne reggino, che nonostante la sconfitta della coalizione alle regionali del 26 gennaio del 2020 che avevano incoronato il centro-destra di Jole Santelli (scomparsa lo scorso 15 ottobre), era stato eletto con una gran messe di consensi. Con 12.568 voti era stato il più votato, aumentando anche il precedente bottino del 2014, quando a trionfare era stata proprio la coalizione allora guidata dal piddino Mario Oliverio, prima che lo stesso cadesse sotto i colpi delle inchieste della Dda di Catanzaro nel dicembre del 2018.
Il giovane dem, nativo di Reggio Calabria, era il candidato in pectore della coalizione: anche perché Irto, lanciato direttamente dall'ex segretario Nicola Zingaretti, aveva letteralmente sbancato, solo a pensare che era candidato nel collegio di Reggio Calabria che conta, dopo Cosenza e Catanzaro, il numero più basso di elettori. Insomma, un successone. E invece, prima un mezzo ripensamento, poi la decisione di rimettere definitivamente il mandato nelle mani del segretario nazionale Enrico Letta. Il motivo? Non solo lamentava di avvertire distacco sul suo nome da parte di frange della coalizione, ma che addirittura si «brigasse con Forza Italia e la Lega», facendo intravedere un «trasversalismo in pezzi del centro sinistra calabrese, dovuto ad interessi comuni con pezzi del centrodestra». Eravamo al 31 maggio.
Non passa che qualche giorno e tra i nomi di una forte personalità richiesta dalla sinistra calabrese, salta fuori quella altisonante di Enzo Ciconte. La storia del 74enne docente di Storia delle mafie italiane all'Università di Pavia, precedentemente a Roma Tre, parlava da sola: eletto alla camera nel 1987 nel collegio di Catanzaro, con quasi 30.000 preferenze, membro della Commissione giustizia e consulente dell'Antimafia per undici anni, Ciconte sarebbe stata la classica garanzia nel far superare incomprensioni e contrasti soprattutto in casa Cinque Stelle, che in fatto di moralità e pulizia del candidato non avrebbero potuto muovere un dito. In realtà il nome del professore era stato lanciato dalla società civile, come lo stesso ha dichiarato a Panorama.it (vedi sotto).
Passano ancora pochi giorni e il 18 giugno il Pd, anzi l'ex ministro Francesco Boccia, estrae dal cilindro la 53enne presidente del consiglio d'amministrazione del Gruppo Ventura, leader nel settore dell'industria ferroviaria, sorto giusto un secolo addietro. Maria Antonietta Ventura, calabrese di famiglia ma pugliese di nascita, è anche molto attiva nel mondo del volontariato e del sociale. Presiede il comitato regionale Unicef ed è impegnata all'interno della Fidapa, la Federazione donne, arti, professioni e affari, nell' Assisi pax international, fondata nel 1997 dal francescano Gian Maria Polidoro, e nella Fondazione Marisa Bellisario network di professioniste, nato nel nome della manager piemontese, scomparsa a causa di un male incurabile nel 1988.
Appena prescelta, la Ventura aveva dichiarato all'Ansa di essere «ancora frastornata da una situazione completamente nuova nella quale devo cercare di calarmi al più presto. Ho accettato appena mi è stato proposto di candidarmi». Imprenditoria, sociale ma anche politica, in ogni caso, visto che è la moglie di Cosimo De Tommaso, storico titolare dell'affermato marchio calzaturiero cosentino, noto per aver vestito i piedi di star hollywoodiane come George Clooney, Brad Pitt, Tom Cruise e Francis Quinn, e attualmente sindaco di San Lucido, comune del medio tirreno cosentino.
Forte di questi addentellati, si era calata subito nei panni della prima donna candidata nella storia del centro-sinistra regionale, facendo valere la sua forte presenza pubblica e le radici calabresi, quasi avulsa dal contesto politico in cui sarebbe maturata la sua nomina: ma tirandosi addosso, ovviamente, le critiche, tra l'altro, della corrente del Pd calabrese che fa capo all'ex presidente Mario Oliverio, per il metodo seguito nella sua designazione. Ora, improvvisa, ma per molti ben informati, attesa e scontata, la rinuncia («un passo di lato», come ha dichiarato): ufficialmente legata alle due interdittive antimafia indirizzate ad aziende riconducibili al gruppo imprenditoriale familiare, sulle quali hanno soffiato, al momento, le varie correnti del disorientato schieramento progressista calabrese. In attesa del prossimo candidato. Il terzo o addirittura il quarto, a seconda della prospettiva…
Ciconte: «Serve un progetto alternativo per riaggregare le forze pulite di questa terra»
Professore Ciconte, situazione ingarbugliata…
«Non per la mia storia personale e professionale. Il mio nome era stato lanciato alcuni mesi fa da Jasmine Cristallo, la leader calabrese del Movimento delle sardine, praticamente sintetizzando le istanze che continuamente mi pervenivano da larghi strati della società civile calabrese. Istanze non solo legate allo schieramento progressista».
Ma con tutti i suoi impegni?
«Sarei stato disponibile solo per unificare quello schieramento, la mia posizione è ben nota in Calabria. Come la mia storia personale ha dimostrato negli anni».
Insomma: proposto dalla base ma passato inosservato ai vertici.
«Lo ripeto: con i vertici non ho mai parlato. Mi aveva proposto un'ampia base, fuori dai partiti tradizionali».
Ora regna il caos, a sinistra.
«Il partito pare ridotto a scontri tra correnti e fazioni, la base è in rivolta».
Lei è uno studioso del potere politico in Calabria.
«Da decenni registriamo commistioni tra politica deviata, economia deviata, massoneria deviata e 'ndrangheta. Il presente è compromesso, il futuro inimmaginabile».
A questo punto un nome che occorrerebbe ai progressisti...
«Non è solo questione di nome, occorre un serio progetto alternativo che sappia riaggregare le forze sane, anzi pulite di questa terra, che sono tante. Partendo dalla narrazione imbrigliata in stereotipi ormai fuori tempo».
Insomma, la politica si è trasformata in un mercato al ribasso, in Calabria non si arriva neanche agli sconti. E al professore Ciconte, pare che non ne abbiano praticati.
Panorama.it Egidio Lorito, 04/07/2021