A cento anni dalla nascita dello scrittore veneto, intervista al suo biografo Giuseppe Mendicino. «Nelle sue lettere», racconta, «Rigoni parla di boschi e di urogalli, del suo altipiano aggredito dalla speculazione edilizia e dalle esercitazioni militari, di manoscritti ingiustamente respinti dagli editori, come quelli di Tina Merlin». . 

Tra i più grandi scrittori del Novecento italiano, Mario Rigoni Stern (1921-2008) è oggetto in questi giorni di convegni, letture e momenti di riflessione organizzati in concomitanza con la ricorrenza del centenario della nascita. La figura di intellettuale organico al territorio, ovvero all’altipiano incastonato tra le province di Vicenza e Trento, in realtà è da tempo oggetto di attente riflessioni che prendono spunto proprio dal paesaggio che lo scrittore imparò ad amare sin da bambino, divenendo nel tempo il leit motiv di buona parte della sua produzione letteraria. Un intero ciclo vitale capace di racchiudere, tra dolci colline e appuntite cime dolomitiche all’orizzonte, la vita e il racconto poetico del suo più celebre concittadino, anche quando a migliaia di chilometri di distanza da casa, sergente al comando di settanta alpini in ritirata, riuscì a riportarli in salvo dalle sterminate e gelide steppe russe. 

Giuseppe Mendicino, aretino di madre e calabrese di padre, risiede da molti anni in Brianza ove svolge la funzione di segretario generale in Lombardia, impegnato anche in attività di sostegno alla cultura della legalità contro le infiltrazioni della criminalità organizzata. Ma questa è un’altra storia. Quella che ora Panorama.it racconterà ruota, invece, tutta attorno alla corposa pubblicistica sullo scrittore di Asiago che, grazie a Mendicino, ha trovato collocazione su Meridiani Montagne con Dentro la memoria (Domus 2007), una raccolta di racconti inediti di Rigoni, seguita nel 2013, per Einaudi, da Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no e nel 2016, per Priuli & Verlucca, da Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri.
Collabora con le riviste Montagna e Meridiani Montagne, e quest’anno l’editore Laterza ha pubblicato il suo ultimo Mario Rigoni Stern. Un ritratto. Intanto sono ore frenetiche, visto che ha curato con Fiorenzo Degasperi, la mostra “Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern”, in corso di svolgimento a Trento presso il MUSE e Palazzo delle Albere e il convegno “Mario Rigoni Stern. Cento anni di etica civile, letteratura, storia e natura” in svolgimento ad Asiago giusto a ridosso dell’anniversario.  
Panorama.it ha conversato con lui all’indomani di un’escursione tra le vie dolomitiche (Mendicino è un appassionato ed esperto trekker) e nel bel mezzo di appuntamenti che culmineranno con le celebrazioni del primo novembre, giorno del centenario della nascita.   
Giuseppe Mendicino, tra i dolci profili dell’Altipiano si dipana il ricordo di Rigoni Stern.
«Da anni mi piace ripercorrere vie e sentieri cari a Rigoni Stern. L’altipiano è privo di rilievi svettanti e di ghiacciai: la montagna più alta, Cima XII, raggiunge i 2.336 metri; la più nota, perché teatro di una sanguinosa battaglia durante la Grande Guerra, l’Ortigara, i 2.106 metri. D’inverno il freddo è intenso e a volte, nella Piana di Marcésina, soprannominata la Finlandia d’Italia, tra le province di Vicenza e di Trento, la temperatura è tra le più basse della Penisola». 
La dolcezza sembra rassicurare lo sguardo
«Sono cime che disegnano curve morbide contro il cielo, si salgono, non si scalano. È un ambiente montano del tutto particolare, per l’estensione di boschi, alpeggi e pascoli, per la luce radente e i colori, per gli orizzonti lontani sulle Dolomiti di Brenta, sulle Alpi del Cevedale, sul Lagorai, sulle Pale di San Martino, e anche sulla laguna di Venezia nei giorni di cielo terso». 
Paesaggio naturale che Rigoni Stern trasformò in paesaggio interiore.
«Ampio e ricco di boschi, sopra la pianura veneta, isolato, eppure aperto e così largo, questo paesaggio Rigoni se lo portava dentro».
Asiago era la sua casa madre…
«Un paese ancora profondamente ferito dalla guerra, situato a mille metri di altitudine nel cuore dell’Altopiano dei Sette Comuni, ha rappresentato una sorta di Arcadia nel processo di formazione culturale e spirituale di Rigoni, al punto da non averla mai più abbandonata dopo il ritorno dal fronte orientale, nella primavera del 1945».
Lei può vantare un fitto scambio epistolare con Rigoni Stern. 
«Leggere gli epistolari degli scrittori a volte delude, specie quando dalla corrispondenza con le loro case editrici emergono rancori, piccolezze, avidità, che possono lasciare perplessi gli estimatori dei loro libri. Questo non avviene con Rigoni Stern: ogni lettera ha la qualità narrativa e la velocità di un piccolo racconto, a volte aspro e sanguigno, altre volte elaborato e ricco di riflessioni».
In che modo ha avuto inizio questo scambio epistolare?
«Sentivo la necessità di vedere e camminare nei luoghi narrati nelle sue opere e dopo averle visitate, gli portavo delle foto: vette ben lontane da Asiago, come la Val Veny e la Val Ferret, le cascate di Lillaz e i laghi sopra Champorcher, in Valle d’Aosta, piuttosto che le nevi della Val Formazza e i prati di maggio della Val Soana, in Piemonte. E Rigoni una volta mi scrisse “lei è come se viaggiasse per me”».
Voleva saperne di più?   
«Si, anche attraverso le sue lettere, specie quelle dal fronte e dalla prigionia nei lager tedeschi quei giovani in battaglia senza il legame epistolare, senza ricevere notizie da casa, sarebbero morti di nostalgia. Nella prefazione a un libro sulle lettere di soldati dal fronte, Rigoni era stato chiaro: “(…) il momento in cui arrivava in linea il furiere con la posta era il più atteso. Speranze, sogni, delusioni anche. C’era tutto un mondo, un paese, una maniera di vivere in quelle parole tracciate a fatica con penna e inchiostro, e chi non riceveva una cartolina restava in solitudine e tristezza” »..
A questo punto entra in scena lei. 
«Durante una passeggiata con il presidente dell’Einaudi Roberto Cerati, nel 2012, nacque l’idea di raccogliere le interviste più significative di Rigoni e di scriverne la biografia. Il libro di conversazioni andò poi in porto con quell’editore, e fu uno degli ultimi libri che Cerati vide prima di morire, alla fine del 2013: Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no. La biografia invece, uscì più tardi con la casa editrice Priuli & Verlucca: Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri. Grazie a Cerati potei leggere il carteggio di Rigoni con l’Einaudi: Daniele Ponchiroli, Italo Calvino, Elio Vittorini, e altri». 
In quelle lettere lo scrittore non aveva dismesso il piglio entusiasta delle missive giovanili. 
«In molte corrispondenze tra autori e case editrici, è facile trovare questioni di visibilità, di compensi, di manovre su premi letterari, di circumnavigazioni del proprio ego. Rigoni invece parla di boschi e di urogalli, del suo altipiano aggredito dalla speculazione edilizia e dalle esercitazioni militari, di manoscritti ingiustamente respinti dagli editori, come quelli di Tina Merlin e di Dianella Selvatico Estense. Natura, etica e indignazione civile, interesse per scritti altrui: la corrispondenza di un uomo libero e appassionato, con un discreto senso dell’ironia». 

La nota Biografica
Mario Rigoni nacque ad Asiago, sull’altopiano dei Sette Comuni, in provincia di Vicenza, il 1º novembre 1921: dal matrimonio di Giovanni Battista Rigoni e Annetta Vescovi, videro la luce sette fratelli e una sorella, che trascorsero gli anni dell’infanzia immersi nell’ambiente dell’altopiano, dove la famiglia commerciava con i malgari. Il giovane Mario raggiunse il diploma di terzo avviamento per poi dedicarsi al lavoro nella bottega di famiglia, prima dell’arruolamento, nel 1938, presso la Scuola centrale militare di alpinismo: sarà alpino nella divisione Tridentina, partecipando alle operazioni lungo il confine con la Francia al tempo dell’ingresso in guerra dell’Italia nel 1940 alleata della Germania, per spostarsi lungo il fronte greco-albanese e in Russia, prima nel gennaio poi nel luglio del 1942. 
Le illusioni giovanili di Rigoni cadranno durante la disfatta e la ritirata degli alpini dalla Russia, ove erano rimasti abbandonati nella “sacca” sul fiume Don, privi di copertura aerea, di istruzioni e di comandanti, soggetti ai ripetuti attacchi dell’esercito sovietico. Rigoni, da sergente, si sentì responsabile dei suoi uomini e si impegnò al massimo per riuscire a ripiegare con ordine e ricondurli in patria. Al rientro scoprì con rammarico che nessun giornale aveva parlato né dell'accaduto, né degli scontri e dei morti, anzi i reduci vennero quasi nascosti, per evitare che si sapesse della disastrosa campagna. 
Fatto prigioniero dai tedeschi dopo la firma dell'armistizio di Cassibile (3 settembre 1943), rifiutò di aderire alla Repubblica sociale di Mussolini e fu deportato come Imi in un campo di concentramento a Hohenstein (oggi Olsztynek), in Prussia orientale. Durante la prigionia tenne un diario dove annotava le sue esperienze in guerra e soltanto dopo la liberazione del campo durante l’avanzata dell’Armata Rossa verso il cuore della Germania, rientrò a casa a piedi attraversando le Alpi, dopo due anni di prigionia, il 5 maggio 1945. 
L’Altipiano, insomma: il matrimonio, tre figli, il lavoro all’ufficio imposte del catasto della cittadina pre-dolomitica, saranno, le basi da cui ripartire per l’attività di scrittore che l’aveva visto esordire nel 1953, quando Rigoni Stern pubblica uno dei suoi capolavori, Il sergente nella neve, potente racconto  autobiografico, edito da Einaudi, nel quale si materializza  l’esperienza, in presa diretta, di sergente degli alpini nel corso della terribile ritirata iniziata la notte del 17 gennaio  del 1943 sotto il comando del generale Gabriele Nasci e durata sino al successivo mese di marzo, e che costerà la vita a migliaia di soldati del Corpo d’armata alpino e di altri reparti. Quel racconto divenne un vero abbraccio di ricordi, immagini, storie che presentavano analogie di situazioni, temi e umanità con i libri scritti da altri due cultori della narrativa realista quali furono Primo Levi e Nuto Revelli. Talmente forte era l’amore ed il rapporto con la sua comunità alla fine degli anni Sessanta, che Asiago tornò prepotente ad occupare la sua produzione letteraria nella sceneggiatura de I recuperanti, trasposizione televisiva alla quale la sapiente mano di Ermanno Olmi lavorò per restituire, in maniera più reale possibile, le immagini della gente fiera e forte del suo Altipiano appena uscito dalla seconda guerra mondiale.  Temi tra la ricerca antropologica, l’introspezione psicologica e la necessaria contemplazione del paesaggio dolce e rassicurante posto appena sotto le imponenti pareti dolomitiche. Temi sapientemente elaborati ne Il bosco degli urogalli e, nel 1980 ancora in Uomini, boschi e api.
Per la sua sensibilità verso il mondo della natura e della montagna, l’11 maggio 1998 l’Università di Padova gli conferì la laurea honoris causa in scienze forestali e ambientali. In Ritratti. Mario Rigoni Stern, del 1991, Marco Paolini e Carlo Mazzacurati lo diressero alla ricerca dei più vividi ricordi della sua esperienza personale: il profilo biografico, l’esperienza bellica, il dramma del lager, l’altrettanto difficile ritorno nella comunità di origine: il rapporto con la montagna e la natura si cristallizza attorno ad una tecnica del racconto inteso come veicolo della memoria, una missione culturale ed umana, quelle di farsi latore della propria esperienza. Nel 2003 numerose associazioni ambientaliste e di tutela del patrimonio alpino lo candidarono a senatore a vita, ma Rigoni Stern, proprio dalla sua Asiago, ringraziando, rispedirà al mittente: «Non abbandonerò mai il mio paese, le mie montagne per uno scranno in Parlamento. Non è il mio posto».
Cittadinanza onoraria a Montebelluna, poi, nel 2007, ancora una laurea honoris causa (a Genova, in scienze politiche), poi ancora Firenze con una nuova cittadinanza onoraria. Il successo gli arriderà grazie ai numerosi premi letterari nazionali, tra i quali spiccano il Viareggio Opera Prima e il Bancarellino per Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia, il Campiello e il Bagutta per Storia di Tonle, Il Grinzane Cavour e il Comisso per le stagioni di Giacomo. Sino alla “Commenda di accademico di Francia per la cultura e l’arte”, segno dell’ormai avvenuta fama conquistata bel fuori dai confini nazionali. La notizia della morte, il 16 giugno del 2008, per sua stessa volontà, verrà data solo a funerali celebrati. 
Panorama.it                                                                    Egidio Lorito, 28/10/2021

Torna su