Il costituzionalista di Roma Tre attacca il sistema dei partiti che ha trasformato la nomina del capo dello Stato in un gioco di manovre segrete e accordi sottobanco

«Questa concentrazione di energie e alchimie politiche sulla scelta del nome del nuovo Presidente è frutto di una distorta lettura costituzionale del suo ruolo». Utilizzando una metafora calzante, il professor Michele Ainis avverte che «non stiamo scegliendo il pilota, ma il meccanico del nostro ordinamento».

Il noto costituzionalista evidenzia come «il nuovo Presidente dovrà essere dotato di grande capacità di ascolto e di equilibrio: non è inserito in nessuno dei tre tradizionali poteri dello Stato, pur dovendo confrontarsi con ciascuno di essi. Il suo compito ricorda quello di una levatrice». Il costituzionalista non risparmia neanche una stoccata alla classe politica «Questa concentrazione di energie e alchimie politiche sulla scelta del nome del nuovo Presidente è frutto di una distorta lettura costituzionale del suo ruolo». Utilizzando una metafora calzante, il professor Michele Ainis avverte che «non stiamo scegliendo il pilota, ma il meccanico del nostro ordinamento». italiana, colpevole di rendere opaca l’elezione dell’inquilino del Quirinale: «Tutto si gioca durante conversazioni segrete e riservate tra i leader di partito che si incontrano e ragionano tra loro. Quest’enfasi preelettorale evidenzia una povertà programmatica dei partiti, effetto della loro ormai lunga stagione di crisi, incapaci di offrire programmi credibili e alternativi agli elettori, e concentrati solo su candidati da collocare nei collegi sicuri».
Messinese, classe ’55, allievo in riva allo Stretto di Temistocle Martines che lo avvia alla carriera accademica come ricercatore a scienze politiche, Michele Ainis approda prima alla Sapienza di Roma e a Teramo -tra il 2001 e il 2005 è stato preside a giurisprudenza- prima di far ritorno nella capitale, sponda “Roma Tre”, come ordinario di Istituzioni di diritto pubblico. All’ampia produzione dottrinale politico-costituzionale, Ainis affianca una presenza nella narrativa che dopo Doppio riflesso e Risa, culmina quest’anno con Disordini (La Nave di Teseo), «racconto che nasconde molti risvolti e sorprese, (in cui) si intrecciano una riflessione eraclitea sul mutamento prodotto dal tempo sull’uomo e un apologo sul disordine che sembra dominare il presente»per dirla con il giurista Sabino Cassese che, tra l’altro, aveva proposto Ainis all’ultimo Premio Strega. Componente di numerose Commissioni ministeriali, tra cui quella per le riforme costituzionali, editorialista per numerose testate, Ainis dal 2016 siede quale componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Conversando con Panorama.it, il costituzionalista si è lasciato andare ad una serie di riflessioni di politica costituzionale tese a far emergere le sfumature meno note della figura del Presidente della Repubblica, guidandoci anche sul versante della sua vena di narratore.

Professore, la politica nazionale si è praticamente avvitata tutt’attorno all’elezione del successore di Sergio Mattarella.
«Letteralmente concentrata sul prossimo inquilino del Quirinale, quasi prosciugando ogni forma di energia politica, come se sul nostro Paese non gravassero altre problematiche. Si tratta, indubbiamente, di un passaggio politico costituzionale di grande impatto, ma non si tratta di scegliere il nuovo presidente della Stati Uniti d’America, dotato, come sappiamo, di enormi poteri di indirizzo politico».
Chi è il Presidente della Repubblica?
«Il nostro Parlamento sarà chiamato ad eleggere “il garante” della Costituzione con un compito del tutto particolare: ovvero non di “pilotare” una macchina -ruolo che nella nostra forma di governo parlamentare spetta ad un “doppio pilota”, ovvero Parlamento e Governo che, in coppia, determinano le finalità generali della politica nazionale- ma di intervenire quando quella macchina va in panne».
Immagine evocativa… 
«Per dimostrare, appunto, che proprio quest’eccesso d’enfasi attorno alla sua elezione è l’effetto, soprattutto, di una lettura sostanzialmente errata del ruolo del Presidente della Repubblica».
Il costituzionalista corregga quest’errore…
«La proposta del Ministro Giorgetti a proposito del “semipresidenzialismo di fatto”, del tutto avulsa dal contesto costituzionale, ha complicato la lettura dei ruoli per il semplice motivo che il Presidente della Repubblica, nel nostro ordinamento, opera esclusivamente con compiti di coordinamento del lavoro altrui, ovvero degli altri organi costituzionali o di tale rilevanza. E soltanto nel caso di paralisi di uno di essi, il Presidente sarà chiamato ad intervenire, esattamente come un operaio addetto alla riparazione, tanto per mantenerci nel terreno evocativo».
Insomma, ogni intervento del Presidente è da extrema ratio.
«Esattamente come capita, ad esempio, attraverso la decisione più radicale e traumatica che possa assumere, ovvero quella dello scioglimento delle Camere, entrambe o una sola di esse -atto proprio del presidente a mente dell’art. 88 della Carta- quando dovesse registrarsi l’impossibilità del loro regolare funzionamento».
Anche in altri casi fa sentire la sua voce…
«Quando le Camere non riescono a formare un Governo, o come quando occorre sciogliere il Csm. Lo ripeto: questa concentrazione di energie ed alchimie politiche sulla scelta del nome del nuovo Presidente è, praticamente, frutto di una lettura distorta del dettato costituzionale riferito al suo ruolo. Insomma, non stiamo scegliendo il pilota ma il meccanico».
A proposito di dinamismo dei partiti politici: ennesima ingerenza? 
«Chiariamo un aspetto: i partiti non possono non occuparsi dell’elezione del Presidente per la semplice ragione che quest’ultimo viene scelto, come sappiamo, dal Parlamento in seduta comune: e in Parlamento siedono proprio i partiti politici, che, a mente dell’art. 49 della Costituzione, concorrono “con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Altra cosa è, ovviamente, la modalità con cui la sua scelta avviene, a mio avviso caratterizzata da opacità, per me poco ragionevole».
Per questo chiediamo spiegazioni ad un esperto…
«Mi spiego meglio, allora. Questa scelta anzitutto avviene “per scrutinio segreto”, lo richiede la Carta, intesa come procedura di garanzia di libertà dei parlamentari ogni qualvolta sia in discussione un giudizio sulle persone, e che raggiunge l’apice proprio in ipotesi siffatte. Se riflettiamo sulla circostanza che non sono previste candidature ufficiali, a differenza di ciò che accade in Germania, la prima regola che dovrà rispettare la personalità più indicata all’elezione, consiste nell’assicurare di non essere candidato».
Senza candidature ufficiali non sembra essere in democrazia.
«E’ l’aspetto più deflagrante in un sistema democratico, anche perché non è prevista la possibilità da parte dell’opinione pubblica di poter controllare lo svolgimento dell’elezione presidenziale, che avviene, in questo mondo, nelle ovattate stanze del potere politico. Esattamente al contrario di ciò che avviene in qualunque altra competizione elettorale democratica».
E come mai, professore?
«L’assenza di candidati ufficiali è il frutto di una prassi costituzionale formatasi a partire dall’elezione di Luigi Einaudi, esattamente l’11 maggio del 1948: in quell’occasione, infatti, l’allora segretario del partito comunista Palmiro Togliatti, chiese una sospensione delle procedure di voto per aprire un dibattito sulle candidature, mentre la Democrazia cristiana, per bocca del costituente Giuseppe Dossetti, pose il veto, sostenendo che il Parlamento in seduta comune fosse già un’assemblea perfetta in cui si votava ma non discuteva».
Si arrivò allo scontro, se non ricordiamo male…
«Ad una rottura istituzionale: la destra reagì abbandonando l’aula e la sinistra votò scheda bianca sul nome di Einaudi, e proprio quell’episodio originò la prassi che non prevede la presenza di candidature ufficiali. Nel tempo, alcuni giuristi hanno cercato di giustificarla affermando che se c’è un candidato ufficiale questi verrebbe sottoposto a critiche politiche indebolendolo in caso di elezione: argomento che a me, francamente, non convince, perché il fatto stesso che non ci siano mai stati candidati ufficiali non ha impedito di “fucilare” -come si suol dire in gergo- un presidente come Giovanni Leone».
Altri giuristi la pensano diversamente…
«Sostenendo che un candidato ufficiale dovrebbe presentare un programma per la sua candidatura, cosa che il Capo dello Stato, chiaramente, non può avere, coincidendo, il programma, con la stessa Carta costituzionale. E anche questo è un argomento che a me pare infondato, visto che il dettato Costituzionale può essere sottoposto a diverse chiavi di lettura. Esattamente come nel caso del “ribaltone”: il presidente della Repubblica è obbligato a sciogliere le Camere o a cercare di far coagulare il consenso sul nuovo governo? Tante sono le sfumature interpretative».
Quindi la mancanza di papabili, rende l’elezione, a suo dire, opaca.
«Sarò tranchant: nel nostro sistema l’elezione del Presidente della Repubblica è opaca proprio perché mancano le candidature ufficiali. Si segue una prassi che ormai ha i suoi 73 anni, e tutto si gioca durante conversazioni segrete e riservate tra i leader di partito che si incontrano e ragionano tra loro. In più, l’enfasi di questi giorni deriva anche da una povertà programmatica dei partiti, effetto della loro almeno trentennale stagione di crisi. Incapaci di offrire programmi credibili e alternativi agli elettori, si concentrano solo sui nomi dei candidati da collocare nei collegi sicuri».
Voi giuristi definite tutto ciò cooptazione!
«Esatto, e purtroppo. Assistiamo alla designazione di un membro di un organo collegiale mediante designazione da parte di altri membri già in carica in quello stesso organo. Con buona pace della dialettica politica, andata progressivamente erodendosi, in favore di “candidature blindate”».
Domanda provocatoria, a questo punto: cooptazione anche per l’elezione del Presidente?
«Evidentemente. Ai livelli più alti, ma sempre cooptazione. Che sinora ha prodotto esiti felici quanto ai presidenti succedutisi. E’ chiaro che non siamo noi cittadini a scegliergli.  Tutto si gioca tra le segreterie politiche che hanno il problema di non poter controllare, a loro volta, i propri gruppi parlamentari. Insomma, una sorta di tombola. Siamo in tema».
Professore, detto francamente: emerge un quadro a tinte foschi. I partiti sempre meno rappresentativi e forniti di personalità di primissimo piano.
«Il problema esiste e riguarda le classi dirigenti. Gli attuali leader politici non sono neanche lontanamente in grado di reggere il paragone con alcuni giganti del passato come Togliatti, De Gasperi, Dossetti, Berlinguer e Moro. Il problema è generazionale e trova nella politica la sua cartina al tornasole».
Professore, almeno un identikit ce lo abbozzi!
«Il nuovo Presidente dovrà essere dotato di grande capacità di ascolto e di equilibrio: non è inserito in nessuno dei tre tradizionali poteri dello Stato, pur dovendo confrontarsi con ciascuno di essi. Il suo compito è esattamente quello di una levatrice che non è in grado di far nascere un bambino se la donna non è gravida. E’ la politica che deve generare il nascituro, poi a farlo venire al mondo -politicamente- penserà proprio il Presidente, punto nodale della politica nazionale».
Funzione maieutica. Citiamo Socrate…
«Quando si tratta di formare un nuovo governo, e c’è una maggioranza parlamentare che deve votarlo, il Presidente della Repubblica ha, appunto, una funzione di ascolto, cioè maieutica, cercando di individuare qualcuno che ottenga tale consenso. La capacità di ascolto è una qualità insostituibile rispetto alle istanze della società civile chiamata a ritrovare fiducia nelle istituzioni».
Invece di sfiducia è ammantata la nostra società politica…
«Prendiamo il fenomeno No Vax: sono convinto che derivi non soltanto da una sfiducia nei confronti della scienza, quanto da una vera disaffezione per la politica e le istituzioni. Insomma per lo Stato nel suo complesso. Un cittadino non si fida dello Stato, ergo, non si sottoporrà al vaccino».
Non sarà facile riconquistare la fiducia sociale…
«Il nuovo Presidente dovrà restituire un clima di fiducia tra i cittadini e lo Stato, minata dalle tante malefatte capitate proprio di recente: come non citare, ad esempio, la crisi che sta attanagliando la magistratura, da cui deriva la sfiducia nei confronti della giustizia. Per non parlare delle cattive pratiche quando il legislatore non mantiene le sue promesse».
In che senso?
«Basta un esempio. Io legislatore mi pongo come obiettivo di politica generale l’industrializzazione del Mezzogiorno. Un imprenditore bergamasco, ad esempio, allettato dalle condizioni economiche vantaggiose, sarà invogliato a delocalizzare una sua fabbrica nel Sud Italia, grazie ad esenzioni fiscali e contributi statali. Due anni dopo, nel caso di cambio di normativa fiscale, il povero imprenditore bergamasco si vedrà costretto a delocalizzare quella fabbrica, tradendo, di conseguenza, le legittime aspettative di lavoro e sviluppo in quella parte meridionale della Penisola».
Doppio tradimento, pare…
«Tradito l’imprenditore bergamasco e traditi i cittadini del Sud che rimarranno (ancora) senza sviluppo e fonti lavorative. Quando queste situazioni si ripetono, è ovvio che il clima di sfiducia si cristallizza e diventa strutturale! E potrei continuare con innumerevoli esempi».

Un Presidente che cita a modello di questo percorso fiduciario?
«Assolutamente Carlo Azeglio Ciampi che si caratterizzò per un’idea di Patria condivisa. Adesso c’è bisogno che il nuovo inquilino del Quirinale ci aiuti a recuperare un’idea di Stato, di Stato amico».
Un presidente che vorrebbe…
«Penso che con l’esclusione del sottoscritto, ci sia qualche milione di cittadini papabili! Scherzi a parte, potrei sottolineare l’appello corale, che c’è nel paese, in favore di Mattarella e Draghi, le due candidature che troneggiano da giorni, alle quali sarei felicissimo di aggiungere il mio supporto ideale. Il Presidente uscente, sappiamo, ha già declinato l’invito ad un nuovo mandato, per ragioni di assoluta nobiltà costituzionale».
Rimane Mario Draghi, attuale inquilino di Palazzo Chigi.
«Noi italiani siamo abituati a ricercare e poi ad adagiarci su un vero “salvatore della patria”, una sorta di “uomo della provvidenza”, che poi siamo, parimenti, abituati a buttare giù dalla torre. Successe con Craxi, con Monti, con lo stesso presidente Napolitano, letteralmente pregato in ginocchio pur di ripresentare la sua disponibilità ad un secondo mandato. Sappiamo che quando due anni dopo andò via, non fu certo accompagnato dal favore della critica».
Il periodo sembra essere ammantato da idealismo platonico.              
«Purtroppo non viviamo nella “Republica” (il latinismo è d’obbligo) di Platone, nella quale un uomo ricco di mille virtù veniva accolto con i massimi onori pubblici: lo scenario democratico, nel quale siamo calati, ci fa prefigurare ben altro, in quanto  la democrazia non tollera i capi assoluti, giusto per ricordare il buon Hans Kelsen, filosofo del diritto insuperato».
Strani noi italiani…
«Ricerchiamo continuamente un “unto dal Signore”, un “principe machiavellico” e, dopo essercene perdutamente innamorati, non di rado lo scaraventiamo nelle fiamme dell’Inferno. Ecco perché non occorre, al nostro Paese, un nuovo salvatore della patria, soprattutto perché il ruolo e la funzione del Presidente della Repubblica non è di “timoniere” ma di “meccanico”, come ho metaforicamente evidenziato».

Allora?
«Serve una personalità fortemente equilibrata, con indubbie capacità di ascolto: un buon padre di famiglia, non certo un campione di incassi al cinema, un “cinepanettoni”, per intenderci».
Si percepiscono le sue capacità. A proposito…
«Disordini è il mio ultimo romanzo, uno sguardo sul tempo che stiamo vivendo. La nostra società è caratterizzata da un fisiologico disordine, anche nel funzionamento delle istituzioni democratiche. Se affermo che tra giudice e legislatore c’è una continua surroga di ruoli, è evidente che qualcosa non va nella stessa macchina democratica».
Detto da lei…
«Sono realista: la scorsa legislatura ha tenuto a battesimo ben 16 Commissioni d’inchiesta. Le inchieste le portano avanti i magistrati dell’ufficio del Pubblico ministero, mentre legiferare spetta primariamente al Parlamento e solo, in via secondaria, al Governo cui la funzione legislativa può essere delegata “con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti”, a mente dell’art. 76 della nostra carta costituzionale. C’è qualcosa che continua a non andare per il verso giusto».
Sia sincero, nel suo romanzo si respira atmosfera politica!
«Non direttamente, anche se lo considero il più politico dei mie tre pubblicati: si tratta di una metafora, di una storia fantastica, immaginifica, che ruota attorno alla vita di Oscar, professore associato di diritto che una mattina, svegliatosi e guardandosi allo specchio, si accorge di possedere un altro viso. Pensa di avere avuto un’allucinazione, ma si accorge che colleghi e amici non solo non lo riconoscono, ma che essi stessi hanno subito lo stesso destino. Vivrà da estraneo in un ambiente di estranei».
Oscar inizia un viaggio alla ricerca di sé stesso.
«Raggiunge finanche la località di mare meta delle sue vacanze giovanili per incontrare i volti che popolavano la vita di quel tempo: incontra persino la fidanzatina di allora, ma reagisce disperato quando si rende conto che anche quei volti di quegli anni erano stati vittima dello stesso mutamento di sembianze».
Trama allarmante…   
« Il romanzo mostra la tragedia di tenere nascosto questo inspiegabile cambio di sembianze umane che stava disgregando cittadini, società, istituzioni. Nessuno era in grado di riconoscersi, di sapere il proprio nome, il proprio destino, il ruolo nella società».
Romanzo fantastico?
« Il viaggio di Oscar, poetico e psico-sociale al tempo stesso, ha solleticato il richiamo a La metamorfosi di Frank Kafka del 1915: Gregor, il protagonista, una mattina si rende conto di essersi trasformato in un orrendo scarafaggio. Dacia Maraini, presentando il mio romanzo a Roma tempo addietro, a però evidenziato come in esso manchi l’elemento della mostruosità, tipica della narrazione kafkiana, intrisa di assoluta narrativa fantasy».        
Metafora del nostro tempo, allora.
«Ammantata da una tragicità tranquilla, mi permetta un ossimoro». 

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