Il trasferimento nelle ultime ore dopo che, a quanto pare, la sua sicurezza era stata messa a rischio nel reparto destinato ai terroristi islamici: da un comunicato del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, è emerso che nel carcere calabrese, nell’ultimo periodo, si fosse instaurato un clima di tensione nei confronti dell’ex terrorista.
Due giorni addietro Battisti aveva ricevuto la vista della parlamentare cosentina del Pd Enza Bruno Bossio -«era molto provato dalla protesta e in uno Stato di diritto non è consentito andare oltre una sentenza di condanna»- e dell’avvocato Adriano D’Amico che l’aveva «incontrato ad un passo dalla morte».
Per l’articolo 595 del codice penale, il carcere resta soltanto nei casi più gravi di diffamazione con istigazione alla violenza o nelle forme di espressione che diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza.
Per il presidente del sindacato dei cronisti romani Pierluigi Roesler Franz «la Corte ha preso finalmente atto della giurisprudenza europea, dando ingresso al celebre articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sulla libertà di espressione».
Per l’avvocato milanese Caterina Malavenda «la Corte ha surrogato il Parlamento, inattivo in materia, per abrogare solo una delle norme che prevedono il carcere per i giornalisti, lasciando però la possibilità di irrogarlo, sia pure in alternativa alla multa, quindi senza eliminarlo del tutto, come pure avrebbe potuto fare».
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«I collaboratori di giustizia costituiscono l'unico effettivo strumento per contrastare appieno le mafie. Senza i pentiti, molti risultati non sarebbero stati raggiunti». Federico Cafiero de Raho non ha dubbi. Dopo 25 anni di carcere, con 45 giorni di anticipo sul fine pena, il boss Giovanni Brusca è tornato libero. Tecnicamente la sua sarà, per quattro anni, una libertà vigilata e protetta in una località segreta. La notizia della scarcerazione ha sollevato, ovviamente, polemiche su polemiche, anche se il «fine pena» per l'ex boss siciliano sarebbe comunque arrivato il prossimo anno.
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E’ storia di cento anni addietro. Varato come Laura nel cantiere navale triestino di Monfalcone il 3 gennaio 1923 e completato per la Cosulich, storica società triestina di navigazione il successivo 20 marzo insieme ai gemelli Ida, Alberta, Clara, Teresa e Lucia impiegati sulle linee dell’America Settentrionale, il piroscafo da carico Laura C. ha avuto una storia degna della miglior letteratura d’avventura. Lungo 121,95 metri e largo 16,47, capace di raggiungere una velocità 10,5 nodi, venne ribattezzato Laura C. nel 1925 e, contrariamente a quanto spesso affermato, non sembra che abbia mai assunto il nome completo di Laura Cosulich, in omaggio ad una delle discendenti della celebre dinastia marittima triestina. Dopo le rotte verso le coste americane, è con l’ingresso del nostro Paese nel secondo conflitto bellico, il 10 giugno del 1940, che il piroscafo inizia una nuova fase della propria vita per mare: requisita dalla Regia Marina inizierà a solcare il Mediterraneo, scortata da unità militari, adibita al trasferimento delle merci. E durante una di queste navigazioni vedrà segnata la sua breve storia.
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Claudio Cordova: «E’ accusato di aver fatto parte, tra il 1988 e il 1994, di un gruppo del narcotraffico nel quale organizzava il trasporto della droga in Italia».
Enzo Ciconte: «Le nuove leve della ‘ndrangheta, pur cambiando identità, continuano ad esporsi platealmente come se nulla fosse».
Da quando si era reso protagonista di una spettacolare fuga dal penitenziario “Central” di Montevideo, in Uruguay, il 24 giugno del 2019, Rocco Morabito, boss della ‘ndrangheta e re indiscusso della “coca milanese”, era diventato una specie di ossessione per le autorità di mezzo mondo.
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