Due riviste, all’interno del Campus di Arcavacata, stanno attirando l’attenzione di studenti e ricercatori fino a ritagliarsi uno spazio di primissimo piano all’interno della comunità scientifica nazionale.
“Ossidiana: teoria, cultura e vita quotidiana”
Alla fine degli anni ’90, all’interno dell’allora Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica, vide la luce l’”Osservatorio per lo studio dei Processi Culturali e della Vita Quotidiana”, cui venne dato il nome esotico e ben augurante di “Ossidiana”. Quella struttura, venne “pensata e costruita” -si scrisse- “come uno spazio aperto e vivace di incontro, confronto e discussione, di analisi, riflessione e ricerca su tematiche che, sin dall’inizio, sono state attinenti alla cultura e alla vita quotidiana, alla memoria, alla teoria sociale, alla comunicazione, ai media e ai consumi culturali, e che, più recentemente, hanno incluso anche le migrazioni, la sfera pubblica, gli studi culturali e gli studi postcoloniali. L’Osservatorio è stato promotore di numerose presentazioni di volumi, cui hanno solitamente partecipato gli autori e di seminari che hanno visto il coinvolgimento di accademici di altri atenei nazionali e internazionali”.
La giurista di origini calabresi Caterina Malavenda si confronta sul campo minato dell’informazione italiana
“Perché qualcuno dovrebbe leggere questo libro? Ce lo siamo chiesti anche noi quando abbiamo deciso di scriverlo. Forse per conoscere meglio l’origine di luoghi comuni e facili semplificazioni, per condividerli o sfatarli, entrando nella vita quotidiana del cronista per bene. In Italia, infatti, è invalsa l’opinione, forse qualunquista, ma con un fondo di verità, che il giornalista sia un privilegiato, spesso prono per convenienza al potente di turno, pronto a nascondere o travisare le notizie scomode e a reggere non solo metaforicamente il microfono a chi conta davvero;oppure sia un invasato che, per sostenere teorie di parte, ignora la realtà o la presenta in modo parziale;o ancora, sia la buca delle lettere di magistrati, avvocati, e imputati eccellenti (…)”.
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Sottoscrivo in pieno quanto scritto da Francesco Bevilacqua, sottoforma di editoriale, giusto lo scorso numero. Con le sue ben note qualità dialettiche, immaginifiche -a metà tra l’arma seduttiva e l’arringa in perfetto stile forense… - Francesco ha anticipato a tutti i lettori di “Apollinea” il tema destinato a diventare il leit motiv da qui in avanti. E non ci vuole molto per capire il messaggio lanciato: c’è il rischio che dopo oltre diciassette anni la rivista possa chiudere! Non vorrei essere catastrofico, ma l’amarezza con cui Mimmo Sancineto mi ha confidato, appena qualche giorno addietro, la triste realtà in cui la nostra rivista si muove, mi fa preoccupare.
Baldini&Castoldi, Milano 2013, pp.347, € 19.90
“Ho sempre creduto che per comprendere il presente e pensare il futuro fosse necessario avere somma consapevolezza del tempo passato. Di quel tempo che diventa Storia e forgia inevitabilmente l’essere umano costituendone la sua stessa natura. Noi siamo la nostra storia e noi siamo la nostra formazione. E per formazione intendo tutti quegli aspetti, culturali, educativi, naturali, empirici, i condizionamenti esterni, gli esempi, le tradizioni, in una parola l’ambiente, nel quale siamo da sempre immersi e dal quale, per qualsiasi essere vivente, è impossibile evadere (…)”.
“Conobbi Gianni De Michelis nel 2002. Fu un incontro casuale, legato in qualche modo alla sera del 19 gennaio 2000, giorno della morte ad Hammamet di Bettino Craxi. Mi aveva colpito molto, durante il suo intervento nella trasmissione dedicata da Porta a Porta alla scomparsa dell’ex leader del Psi, la commozione di De Michelis: l’ex ministro si faceva una colpa di non essere riuscito a impegnarsi come avrebbe voluto, e come forse sarebbe stato possibile, affinchè la vicenda dell’ex segretario socialista e, più complessivamente, il fenomeno conosciuto come tangentopoli, fossero considerati nel contesto specifico e particolare della storia politica internazionale seguita al secondo conflitto mondiale. Una storia fortemente ideologizzata e legata agli equilibri della guerra fredda.