Un’imponente operazione anti-‘ndrangheta eseguita dai carabinieri del Comando provinciale di Torino, con l’ausilio di oltre 400 militari, ha assestato un durissimo colpo a uomini e beni riconducibili ai clan calabresi stabilitisi da decenni nella cintura torinese, con base nei comuni di Settimo Torinese, Volpiano e San Giusto Canavese. Le settantuno richieste cautelari, firmate dal gip distrettuale Luca Fidelio su richiesta dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Torino, vanno dall’associazione di tipo mafioso al traffico internazionale di stupefacenti. L’inchiesta “Cerbero”, oggi condotta a termine grazie ad un’intensa operazione multi-forze, ha visto impegnati anche sessanta militari del Gruppo Torino della Guardia di Finanza che hanno notificato lo stesso provvedimento restrittivo ad altri 6 indagati, ritenuti responsabili, in seno al sodalizio criminale, anche di riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
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A quasi trent’anni da uno dei più efferati omicidi avvenuti nel nostro Paese, al centro di clamore mediatico e battaglie giudiziarie, capace di influenzare perfino ragazze che inondarono l’autore di lettere d’amore, Pietro Maso torna a parlare e a far parlare di sé. Una vita apparentemente normale, con il piccolo Pietro chierichetto che frequenta la prima media in seminario, poi l’abbandono della scuola ed il cambio radicale di abitudini: bella vita, abiti firmati, ragazze a non finire, vestiti firmati. Il giovane Maso diventa il coccolato di casa, tra genitori adoranti e due sorelle che ne fanno il belloccio di casa. Arriva il successo, di quelli che per chi è nato e vissuto in realtà piccole come San Bonifacio e Montecchia di Crosara, nel veronese, come -del resto- nella provincia di qualunque parte d’Italia, possono dare alla testa: narcisista, preferisce passare da una ragazza all’altra come quando si sfogliavano i petali dalle margherite e circondarsi di amici deboli ed influenzabili come perfetti alter ego.
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Dodici capi ultrà della curva Sud della Juve, quella del tifo più estremo, sono stati arrestati a conclusione di un’indagine condotta dalla Digos di Torino. Ieri mattina, al culmine di una lunga e complessa azione condotta dal “Gruppo criminalità organizzata” della Procura torinese, l’operazione “Last banner” ha portato al fermo una dozzina di leader degli storici gruppi del tifo organizzato che animano la curva dell’“Allianz Stadium”: dai Drughi ai “Viking”, dal “Nucleo 1985” a “Tradizione”, il tifo organizzato bianconero è stato letteralmente squassato dall’inchiesta alla cui base ci sarebbe un presunto accordo tra i gruppi-ultrà della curva finalizzato a sottoporre a “controllo militare” lo spazio dedicato a cori e coreografie. Destinatari di provvedimenti cautelari in carcere sono stati Dino Mocciola, storico capo dei Drughi, Salvatore Cava, Domenico Scarano, Umberto Toia, leader di Tradizione, Luca Pavarino, Sergio Genre, mentre Fabio Trincchero, Giuseppe Franzo, Christian Fasoli, Roberto Drago risultano ristretti ai domiciliari, mentre all’obbligo di dimora risultano Massimo Toia e Massimo Corrado Vitale: tutti dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere, estorsione aggravata, autoriciclaggio e violenza privata.
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Ha i colori della nazionale brasiliana e sicuramente la stessa vitalità, quella che esprime grazie al suo inconfondibile sapore che oggi troviamo in tutte le portate, dall’aperitivo sino al dolce, preparate secondo antiche ricette locali o seguendo le ricerche culinarie più sperimentali, quelle che hanno permesso al cedro di imporsi grazie alla sua duttilità gastronomica. Siamo in Calabria, lungo la striscia costiera stretta tra il mar Tirreno settentrionale e le propaggini dell’Appennino: qui, grazie ad un microclima particolare, l’agrume simbolo della cultura locale da secoli affascina sia per le sue virtù mediche che per gli antichi legami religiosi che spingono, ogni anno, centinaia di rabbini a recarsi in questa parte della Calabria, con l’unico scopo di scegliere meticolosamente il sacro frutto per la festa del “Sukkot”, antica celebrazione ebraica, rievocativa della vita del popolo di Israele nel deserto durante il viaggio verso la terra promessa. “Sorrido pensando a quegli invogli di fronde compresse e risecche, venuti di Calabria, che un giorno vi stupirono e vi incantarono, quando ve li offersi sopra una tovaglia distesa sull’erba non ancora falciata…”: era il 1916 e sulle pagine del Corriere della Sera Gabriele D’Annunzio celebrava l’agrume calabrese tra le specialità italiche.
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Alla cara memoria di Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013), scrittore, giornalista, “papà” del Trofeo Topolino, “cuore trentino”, la cui “Buona Neve” continua a posarsi sulle mie montagne…
Mare o montagna? Bella domanda, soprattutto per uno come me che è nato e vive in riva al Tirreno lucano-calabrese e frequenta le altezze da quasi mezzo secolo. Ne sono convinto: tutti coloro che amano la montagna o il mare nutrono il sogno nascosto di imbattersi, prima o poi, nei magici abitatori che popolerebbero i luoghi più reconditi di boschi e foreste o quelli più profondi degli abissi marini. E’ una certezza che si è rafforzata in me leggendo le storie, i racconti o le semplici impressioni di chi, di “montagna” o di “mare”, ha scritto per passione o per professione, andando alla continua ricerca del sentiero più sconosciuto come della rotta più esaltante, per conoscere un altro tipo di via, quella interiore, spirituale, intima, privata, coglibile -come ricorda Francesco Bevilacqua- grazie a “quel viaggio di scoperta eternamente in fieri, quella lunga avventura per valli, crinali, gole, foreste, pareti di roccia, grotte, (che) non hanno soltanto una dimensione geografica, ma anche un orizzonte interiore” .
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