Il Parco Nazionale del Pollino, nel suo estremo versante nord-occidentale, va praticamente a tuffarsi nelle cristalline acque del Golfo di Policastro, interessando i comuni di Praia a Mare e Tortora: un mix di esaltante bellezza dove il connubio mare-monti dà vita ad un riuscitissimo incontro tra due realtà ambientali che trovano pochi eguali in altre parti d’Italia. I primi rilievi del Pollino formano, così, affascinanti terrazze sul mare, da cui è possibile gustare appieno della bellezza dei luoghi oggetto di questo itinerario: (…) l’Isola di Dino, più che per i ricordi storici, è interessante per le bellezze delle sue innumerevoli grotte marine, in molte delle quali, per l’angustia e la difficoltà dell’entrata e per lo sviluppo contorto e profondo, si racchiude ancora il mistero (…)”.
C’è un piccolo angolo di Paradiso nell’immaginaria triangolazione tra Capo Palinuro a nord -ovest, il Parco Nazionale del Pollino a nord -est e capo Scalea a chiudere a sud -est: siamo nell’area del Golfo di Policastro, nell’esatto punto di incontro di ben tre Parchi Nazionali (il Cilento -Vallo di Diano, nel basso salernitano, il nascente Sirino -Val D’Agri, nell’area del lagonegrese ed il Pollino, confine naturale tra Calabria e Lucania) che, quasi senza soluzione di continuità, si presentano come un’unica grande area protetta nella quale, grazie ad un’interminabile teoria di vette appenniniche e colline tondeggianti che cedono il passo ad insenature e spiagge dai nomi mitologici, l’intero territorio -per ragioni storiche ed aspetti geo-morfologici- non può non catturare lo sguardo anche del più distratto osservatore.
A quasi vent’anni, l’opera di Giorgio Braschi rivede la luce in una seconda edizione completamente rinnovata . “In questo mio libro, amico lettore, ti accompagnerò nel mondo favoloso e selvaggio dei luoghi naturali del Pollino: il nostro sarà un viaggio attraverso paesaggi reali e irreali al tempo stesso, visti con occhi che non si fermano all’apparenza delle cose…”. Inizia così l’affascinante “Pollino-Viaggio interiore in una realtà irreale”, imponente percorso poetico-fotografico che Giorgio Braschi ripresenta al pubblico a quasi vent’anni dalla prima edizione: pubblicato dalle Edizioni Pugliesi di Martina Franca, l’opera è il giusto completamento della prima edizione datata 1984, anno in cui Braschi proponeva ad un pubblico allora ristretto di ambientalisti ed camminatori d’alta quota, una prima guida fotografica della grande area posta a confine tra Basilicata e Calabria.
In basso il mare azzurrino, poi la verde collina che d’improvviso cede il passo a cime di dolomitica memoria che si innalzano fino a sfiorare i 2000 metri, in un susseguirsi asimmetrico di strapiombi ed improvvise gole: ecco come si presenta, da un qualunque punto di osservazione lungo la costa dell’alto Tirreno cosentino, uno degli angoli più selvaggi, affascinanti ed inquietanti dell’intera orografia meridionale, quella catena dei monti dell’Orsomarso ancora oggi poco conosciuta al grande pubblico, se è vero che soltanto nel 1960 l’intera area montuosa ricevette battesimo dal noto naturalista Franco Tassi che arrivò su questi monti “sospesi tra fantasia e realtà, quasi inafferrabili”, subito chiamati cosi per assonanza con uno dei centri più caratteristici dell’area, Orsomarso appunto.
Da almeno un trentennio il problema ambientale viene giustamente considerato da un’angolazione sovranazionale costruita su una fitta serie di norme prodotte da organismi internazionali che, a livello comunitario (europeo e latino-americano) e mondiale (varie organizzazioni internazionali, oltre le Nazioni Unite), garantiscono una costante produzione giuridica in tema di tutela dell’ambiente: il problema ambientale e la crisi ecologica si collocano nell’internazionalizzazione, intesa come “globalizzazione” del problema ambientale. E non possiamo condividere come “nel nostro tempo il concetto di diritto alla vita e di difesa dell’ambiente si rinnova e completa perché al fondamentale patrimonio dell’umanità si deve assicurare una protezione che possa essere estesa oltre i confini nazionali ed avere efficacia al di là dei limiti temprali previsti per l’ordinaria amministrazione dei beni: ciò allo scopo di conservare tali risorse anche per le generazioni future”.
A vederla adagiata com’è, in posizione tranquilla, a circa 600 m. s.l.m. alle pendici del Monte Ciagola (m. 1462), Aieta non può non far balzare alla mente quanta parte di storia risuoni tra i suoi vicoli, nelle sue piazzette, nei suoi boschi. “Aieta, comune della provincia di Cosenza, da cui dista oggi per via rotabile 120 Km., è un paese interno, ma dista dal mare in linea d’aria solo qualche chilometro e perciò non è visibile dal mare perché i suoi fondatori nell’alto medioevo, vollero sottrarre l’abitato alla vista e alle piraterie soprattutto saracene”. Iniziava così uno degli ultimi scritti pubblicati sull’abitato di Aieta, opera del compianto prof. Giuseppe Guida, “Aieta, pagine della sua storia civile e religiosa”, dato alle stampe nell’estate del 1991, e destinato a divenire la più accurata raccolta sulla storia del piccolo ma fondamentale centro calabrese. Una cartina geografica ne inquadra correttamente la posizione: appare come il secondo Comune della Calabria partendo da nord-ovest (il primo è Tortora, da cui dista appena due chilometri in linea d’aria), in pratica la porta più antropizzata del Parco Nazionale del Pollino.