Panorama - Milano

Il politologo non crede nell’esplosione di un conflitto nei prossimi giorni. Ma osserva: «anche se la crisi verrà superata, non si assisterà alla risoluzione totale della vicenda, perchè coinvolge la vocazione imperiale della Russia».

Angelo Panebianco, bolognese, classe 1948, è professore emerito di scienza politica all’Università di Bologna, dove ha insegnato Sistemi internazionali comparati nella facoltà di Scienze politiche, contribuendo anche alla nascita della sede di Forlì. Già   docente di Teoria politica e Geopolitica alla facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, negli anni Settanta ha insegnato alla John Hopkins University di Bologna, svolgendo attività di docenza e ricerca in prestigiosi atenei quali la Harward University, l’University of California-Berkely e la London school of economics and political science. Già membro di comitato di redazione e di direzione della rivista di cultura politica Il Mulino, è editorialista del Corriere della Sera.   

Prof. Raniolo: «Il nome di Mattarella ha incrociato il doppio consenso dei grandi elettori e dell’opinione pubblica, ma la crisi dei partiti è ormai certificata». E scoppia anche il problema sulla comunicazione.

Il politologo commenta a caldo l’elezione-riconferma di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, tra attese collettive, evidente crisi del sistema partitico, saturazione mediatica e possibili fughe in avanti dettate dalla riapertura del tema della modifica della legge elettorale, a un anno esatto dalle elezioni politiche. Salvo sorprese…

«L’esito dell’elezione di Mattarella, per certi versi scontato già dopo le prime votazioni dato il quadro politico, ha confermato le voci, le indiscrezioni e le aspettative ben chiare sin dall’inizio» -sottolinea Francesco Raniolo- «sul nome di Mattarella si sono incrociati il consenso dei parlamentari e le aspettative dell’opinione pubblica». Senza risparmiare critiche al sistema mediatico, «il cui tasso di saturazione ha raggiunto livelli asfissianti».

Il sociologo Paolo Mancini denuncia l’autoreferenzialità del sistema politico italiano. Che, mentre ci sono ancora 378 morti di Covid al giorno, è trincerato dietro tatticismi e schermaglie. In un’elezione del Presidente alla Repubblica che appare come una corsa di cavalli.

«L’elezione del Presidente appare del tutto interna alle élites, sempre più vicine a chi ha o avrà un ruolo diretto nella sua elezione». Il sociologo Paolo Mancini mette in risalto lo scollamento tra classe politica ed elettori, tra grandi elettori e cittadini della porta accanto. E aggiunge come «la notizia della sua elezione interessi molto meno l’uomo della strada», anche a causa dei «mutamenti radicali della struttura di fondo dei partiti».

 

E al Quirinale? «Una personalità che sostenga l’azione del governo».

Alla vigilia dell’elezione del Presidente della Repubblica, Maurizio Cotta auspica «una necessaria continuità dell’azione di governo per il migliore utilizzo delle risorse del Pnrr, con il prossimo Presidente della Repubblica chiamato a sostenere l’azione dell’esecutivo». E si sbilancia sui nomi: «Marta Cartabia, Letizia Moratti, Pierferdinando Casini, Sabino Cassese, magari anche Franco Frattini».

 Il politologo analizza lo stato di salute dei partiti italiani, individuando criticità (tante) e positività (poche) di un sistema in crisi, al quale soltanto un «consenso che attraversi gli schieramenti» potrà porre freno.

Pio Mastrobuoni, braccio destro dello storico direttore dell’Ansa scomparso oggi, ricorda il suo maestro. 

«Giornalisti si nasce o si diventa?» Era l’interrogativo che Sergio Lepri, scomparso questa mattina a Roma all’età di 102 anni, si era posto nelle pagine introduttive di un di un suo celebre manuale di giornalismo pubblicato oltre trent’anni addietro e dal quale diverse generazioni di colleghi avranno attinto a piene mani per apprendere i segreti della professione. E a quella domanda aveva risposto che «giornalisti si diventa», motivando, quella sua incisiva risposta, secondo un ragionato doppio binario: «Certo, nessuno diventerà giornalista, per lo meno, buon giornalista, se gli manca curiosità di conoscere e capacità di analisi critica; ma il resto, la parte più importante della professionalità giornalistica, è nel patrimonio di cultura, di tecniche e di sensibilità che nasce dall’apprendimento, dallo studio, dalle letture e che si arricchisce con l’esercizio, con la pratica quotidiana, con l’accumulo accorto delle esperienze di lavoro»

Il neo presidente dei costituzionalisti italiani analizza il percorso che porterà all’elezione del Presidente della Repubblica. Tra allarme Covid, liturgie costituzionali e scenari inediti.  «Se fosse eletto Mario Draghi», riflette, «ci troveremmo in una situazione costituzionalmente complessa». 

Napoletano di Pompei, classe 1955, Sandro Staiano, professore ordinario di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Napoli Federico II, è da alcune settimane il nuovo presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti. Attualmente direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’ateneo federiciano, vanta decine di pubblicazioni sui principali temi di diritto pubblico e costituzionale.

Torna su