Panorama - Milano

L’ex vicepresidente della Corte costituzionale commenta la decisione del governo. «La situazione che stiamo vivendo in queste ore mette in rilievo l’interesse collettivo e il provvedimento diventa costituzionalmente fondato, osserva. Ma l’obbligo per tutti, a mio avviso, sarebbe la soluzione più ragionevole».

Originario di Arezzo, classe 1934, Enzo Cheli, primo allievo di Paolo Barile a Siena con cui si laureò nel 1956, è professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Firenze. Ha insegnato diritto costituzionale a Cagliari e Siena, dottrina dello Stato alla Luiss di Roma e diritto dell’informazione e della comunicazione al Suor Orsola Benincasa di Napoli, disciplina che lo vede tra i massimi esperti nel nostro Paese. E’ stato giudice costituzionale dal 1987 al 2005 e vice presidente della stessa Corte dal 1995 al 1996, presidente dell’Autorità garante nelle comunicazioni dal 1998 al 2005 e presidente del Consiglio superiore delle comunicazioni dal 2006 al 2010. Nel 2013 ha fatto parte della Commissione di esperti voluta dal presidente del Consiglio Enrico Letta per le riforme costituzionali.

Il costituzionalista di Roma Tre sostiene che «vaccinarsi è un dovere civico». Però ammette che l’obbligo comporterebbe una serie di ostacoli difficilmente superabili.

Dopo settimane di polemiche sull’obbligo del green pass, ora è la volta del vaccino obbligatorio che, secondo Celotto «la legge può disporre ai sensi dell’art. 32 Cost.»: il costituzionalista rileva come «in questi 22 mesi abbiamo assistito ad una politica incrementale sul Covid, partita da misure sempre più mirate per diventare parimenti efficaci: dal lockdown generale alle autocertificazioni e autodichiarazioni, dalle zone a colori al green pass obbligatorio per svolgere qualunque attività».

Per il politologo della Luiss «non vi è dubbio che vi siano ottime ragioni per augurarsi l’elezione dell’attuale premier a capo dello Stato». Perché «il ruolo del Presidente della Repubblica non è assolutamente simbolico».

Abruzzese-Molisano, classe 1947, laureatosi in Scienze politiche alla Cesare Alfieri di Firenze con Giovanni Sartori e specializzatosi negli Usa ad Harvard e a Berkeley, Roberto D’Alimonte ha insegnato dal 1974 al 2009 nell’ateneo fiorentino prima di approdare alla Luiss di Roma di cui è stato, sino al pensionamento, direttore del dipartimento di Scienze politiche. Già docente come visiting professor nei prestigiosi atenei statunitensi di Stanford e Yale, ha fondato il Centro italiano per gli studi elettorali ed attualmente è titolare, presso l’ateneo della Confindustria, dell’insegnamento di Sistema politico italiano, settore di studio in cui concentra la pluridecennale esperienza maturata in tema di sistemi elettorali. Considerato uno dei padri dell’Italicum, D’Alimonte ha risposto alle domande di Panorama.it, focalizzandosi, soprattutto, sullo stato di salute dei partiti quando ormai non manca molto alla nomina del nuovo inquilino del Quirinale.

Il politologo, allievo di Giovanni Sartori, denuncia come i partiti si siano avvitati intorno alla nomina del Capo dello Stato, rinunciando ad affrontare i gravi problemi del Paese. 

Grazie ai suoi studi sulla crisi della nostra democrazia, il politologo osserva come l’intero dibattito politico si sia avvitato intorno all’elezione del capo dello Stato, «perdurando l’incapacità di riuscire ad approvare riforme istituzionali che consentirebbero una governabilità in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini». Evidenziando come «ingessare il conflitto partitico per quanto possibile ed affidarsi, questa volta, a un tecnico con capacità politiche per le sue precedenti esperienze di presidente della Bce, come Mario Draghi, sia servito soltanto a rispondere all’emergenza e all’acuirsi della crisi politica».

Alla guida della Regione Basilicata dal novembre del 2013, Marcello Pittella era stato arrestato e posto ai domiciliari la mattina del 6 luglio 2018 all’esito dell’operazione “Suggello” condotta dalla Guardia di Finanza di Matera e coordinata dal procuratore capo Pietro Argentino. 

Le gravi accuse di falso e abuso d’ufficio, quale dominus della macchina sanitaria regionale, lo vedevano coinvolto insieme ad altre 29 persone -manager, dirigenti ed imprenditori legati a vario titolo all’ambiente politico, amministrativo e sanitario regionale. All’epoca il Gip del Tribunale della Città dei Sassi, Angela Rosa Nettis, aveva emesso 30 ordinanze cautelari, delle quali la più pesante dal punto di vista degli effetti politici, notificata proprio al presidente in carica: «E’ Pittella -scrisse- che influenza le scelte gestionali delle aziende sanitarie e ospedaliere interfacciandosi con i direttori generali che sono stati nominati con validità triennale dalla sua giunta».

Il costituzionalista di Roma Tre attacca il sistema dei partiti che ha trasformato la nomina del capo dello Stato in un gioco di manovre segrete e accordi sottobanco

«Questa concentrazione di energie e alchimie politiche sulla scelta del nome del nuovo Presidente è frutto di una distorta lettura costituzionale del suo ruolo». Utilizzando una metafora calzante, il professor Michele Ainis avverte che «non stiamo scegliendo il pilota, ma il meccanico del nostro ordinamento».

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