Panorama - Milano

La Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale della pena detentiva per i giornalisti, come invece prevedeva l’articolo 13 della legge sulla stampa. 

Per l’articolo 595 del codice penale, il carcere resta soltanto nei casi più gravi di diffamazione con istigazione alla violenza o nelle forme di espressione che diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza.
Per il presidente del sindacato dei cronisti romani Pierluigi Roesler Franz «la Corte ha preso finalmente atto della giurisprudenza europea, dando ingresso al celebre articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sulla libertà di espressione».
Per l’avvocato milanese Caterina Malavenda «la Corte ha surrogato il Parlamento, inattivo in materia, per abrogare solo una delle norme che prevedono il carcere per i giornalisti, lasciando però la possibilità di irrogarlo, sia pure in alternativa alla multa, quindi senza eliminarlo del tutto, come pure avrebbe potuto fare».

Da simbolo della marineria italiana della prima metà del Novecento a santabarbara della ‘ndrangheta e crocevia di oscure trame. 
Per l’allora procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, oggi a capo dell’antimafia, era il «supermarket della ‘ndrangheta».
Per il saggista reggino Claudio Cordova «il carico del relitto è stato utilizzato dalle cosche per troppo tempo».

E’ storia di cento anni addietro. Varato come Laura nel cantiere navale triestino di Monfalcone il 3 gennaio 1923 e completato per la Cosulich, storica società triestina di navigazione il successivo 20 marzo insieme ai gemelli Ida, Alberta, Clara, Teresa e Lucia impiegati sulle linee dell’America Settentrionale, il piroscafo da carico Laura C. ha avuto una storia degna della miglior letteratura d’avventura. Lungo 121,95 metri e largo 16,47, capace di raggiungere una velocità 10,5 nodi, venne ribattezzato Laura C. nel 1925 e, contrariamente a quanto spesso affermato, non sembra che abbia mai assunto il nome completo di Laura Cosulich, in omaggio ad una delle discendenti della celebre dinastia marittima triestina. Dopo le rotte verso le coste americane, è con l’ingresso del nostro Paese nel secondo conflitto bellico, il 10 giugno del 1940, che il piroscafo inizia una nuova fase della propria vita per mare: requisita dalla Regia Marina inizierà a solcare il Mediterraneo, scortata da unità militari, adibita al trasferimento delle merci. E durante una di queste navigazioni vedrà segnata la sua breve storia.

Il procuratore nazionale antimafia analizza il ruolo dei collaboratori di giustizia. E sostiene che la liberazione del famigerato boss di San Giuseppe Jato «è la vittoria dello Stato di diritto». 

«I collaboratori di giustizia costituiscono l'unico effettivo strumento per contrastare appieno le mafie. Senza i pentiti, molti risultati non sarebbero stati raggiunti». Federico Cafiero de Raho non ha dubbi. Dopo 25 anni di carcere, con 45 giorni di anticipo sul fine pena, il boss Giovanni Brusca è tornato libero. Tecnicamente la sua sarà, per quattro anni, una libertà vigilata e protetta in una località segreta. La notizia della scarcerazione ha sollevato, ovviamente, polemiche su polemiche, anche se il «fine pena» per l'ex boss siciliano sarebbe comunque arrivato il prossimo anno. 

Dopo la clamorosa evasione dal carcere di Montevideo del giugno del 2019 il boss della ‘ndrangheta, secondo della lista dei latitanti più pericolosi e ricercarti d’Italia, è stato catturato in Brasile, in un hotel di lusso. La storia di un potentissimo nato davvero dal basso. I ricordi di Claudio Cordova ed Enzo Ciconte  

Claudio Cordova: «E’ accusato di aver fatto parte, tra il 1988 e il 1994, di un gruppo del narcotraffico nel quale organizzava il trasporto della droga in Italia».
Enzo Ciconte: «Le nuove leve della ‘ndrangheta, pur cambiando identità, continuano ad esporsi platealmente come se nulla fosse».
Da quando si era reso protagonista di una spettacolare fuga dal penitenziario “Central” di Montevideo, in Uruguay, il 24 giugno del 2019, Rocco Morabito, boss della ‘ndrangheta e re indiscusso della “coca milanese”, era diventato una specie di ossessione per le autorità di mezzo mondo. 

Bedeschi I capisaldi del pensiero liberale

Lo storico della filosofia torna con un saggio in cui riassume la forza ideologica dei maestri del liberalismo italiano nell’età repubblicana  

La galleria delle icone del pensiero liberale italiano è più ricca che mai: da Benedetto Croce a Luigi Einaudi, da Gaetano Salvemini a Guido Calogero, da Carlo Antoni a Giuseppe Maranini, da Norberto Bobbio a Nicola Matteucci, da Giovanni Sartori a Rosario Romeo, sino a Francesco Compagna ed alla rivista “Nord e Sud”, modello di dialogo culturale tra i due estremi, non solo geografici, del nostro Paese. Senza dimenticare quel Lucio Colletti, la cui parabola, dal marxismo a Berlusconi, bussa alle porte dei nostri giorni.
Giuseppe Bedeschi ha estrapolato da queste icone liberali i temi dell’analisi politico-filosofica, ispirandosi ora a quelli più spiccatamente ideali, ora a quelli più marcatamente pratici, assecondando l’ispirazione e la timbrica di ciascuno di loro. Il suo ultimo saggio, I maestri del liberalismo nell’Italia repubblicana (Rubbettino, 2021), mette «in rilievo come tutti, in un’Italia in cui il marxismo e il cattolicesimo politico avevano l’egemonia, abbiano condotto una decisa battaglia in difesa della società pluralistica, ora economica, ora politica, ora culturale: ed abbiano combattuto le grandi disuguaglianze sociali, rivendicando una società più giusta». Appena pubblicato e già oggetto di approfondite analisi, «il libro mostra che, per ricchezza di cultura e per capacità di riflessioni teoriche, il pensiero liberale dell’Italia repubblicana occupa un posto di tutto rispetto nella cultura europea contemporanea».

Una parrucchiera aveva segnalato ai Carabinieri di Scalea la somiglianza con la bambina scomparsa 17 anni fa. La diretta interessata smentisce. Ma le indagini proseguono

Si chiama proprio Denise, avrebbe una ventina d’anni e assomiglierebbe fortemente, nonostante i quasi diciassette anni passati, alla bambina di cui non si hanno più notizie dal primo settembre del 2004. Somiglianza schiacciante, certo, anche se la diretta interessata ha dichiarato di non essere Denise Pipitone. E così, dopo la segnalazione arrivata clamorosamente dalla Russia -in realtà si trattava della giovane ballerina Olesya Rostova - e l’ispezione a Mazara del Vallo della casa di Anna Corona, ex moglie di Pietro Pulizzi, il padre biologico di Denise, dove secondo alcune fonti si sarebbe potuto celare il corpo della piccola Denise, arriva ora dalla Calabria una clamorosa notizia. Che aggiunge mistero a mistero. Da verificare, a questo punto, con metodi scientifici, l’identità di questa Denise che, pur avendo dichiarato di non essere la piccola bambina scomparsa quasi diciassette anni addietro, potrebbe comunque aggiungere pressione alle indagini.  

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