Panorama - Milano

Intervista al neo governatore della Calabria che dopo la sbornia elettorale (di fatto è stata l’unica buona notizia per il centrodestra), deve cominciare a fare i conti con i grandi e gravi problemi della sua regione, come ad esempio la gestione dei rifiuti, ed un bene primario come l’acqua in tutte le case

«Sono felice di poter essere il presidente della mia terra, ma noi vinceremo da domani, quando inizieremo ad affrontare i problemi che affliggono la Calabria».
E sulle dimensioni della sua vittoria sottolinea come «non mi piaceva fare pronostici perché scaramantico, ma sentivo la vittoria»

L’avvocato Francesco Romito, legale di Giuseppe De Donno, ricostruisce due anni di indagini dell’ex ufficiale dei Carabinieri dentro Cosa Nostra. Sino all’assoluzione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo «perché il fatto non costituisce reato». Una condanna che ha smontato il teorema dell’ormai presunta trattativa Stato-Mafia.

Ribaltata la sentenza di primo grado nel processo d’appello anche per il capitano del Reparto operativo speciale di Palermo Giuseppe De Donno, oggi in pensione con il grado di colonnello: in primo grado era stato condannato a 8 anni di reclusione all’interno del complesso filone processuale sulla presunta “trattativa Stato-mafia”, che secondo l’accusa avrebbe visto organi dello Stato, dopo gli attentati di Capaci e Via D’Amelio, scendere a patti con Cosa Nostra per costringere i governi in carica ad ammorbidire le condizioni detentive dei mafiosi in regime di carcere duro.

La Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha praticamente ribaltato la sentenza di primo grado del 2018: assolti l’ex senatore Marcello Dell’Utri («per non avere commesso il fatto») e gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno («perché il fatto non costituisce reato»)

  • Francesco Centonze, legale dell’ex senatore Marcello Dell’Utri: «Il riferimento alla “trattativa” è uno slogan».
  • Basilio Milio, legale del generale Mori: «La decisione rende verità e giustizia a un servitore dello Stato»
Si è concluso con un vero ribaltamento della sentenza di primo grado il processo d’appello per l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex carabinieri del Reparto operativo speciale di Palermo Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, condannati in primo grado a pene severe all’interno del complesso filone processuale che avrebbe dovuto fare luce sulla presunta “trattativa Stato-mafia”, ovvero sulla teoria accusatoria secondo la quale organi dello Stato, all’indomani degli attentati di Capaci e Via D’Amelio, sarebbero scesi a patti con la criminalità organizzata siciliana, la mafia ai suoi più alt livelli, per costringere i governi in carica ad adottare un atteggiamento più morbido nei confronti della mafia stessa.

Il celebre matematico si schiera contro i suoi colleghi contrari al certificato vaccinale. E attacca: «E’ come se stesse prevalendo, sull’argomento Covid-19, il più elementare meccanismo pubblicitario.

«Rispetto le idee dei miei colleghi, ma si tratta di un numero esiguo rispetto alla maggioranza degli altri accademici. E’ tutto fisiologico, a voler dar ragione ai tradizionali processi comunicativi e mediatici: una classica minoranza rumorosa sta attirando l’attenzione non soltanto dei tradizionali mass-media quanto della stessa opinione pubblica, attratta nel vortice dei social-media, diventati, soprattutto nel dibattito su vaccini e green-pass, alquanto iperattivi».

A poche ore dall’ufficializzazione della nuova discesa in campo, affida in esclusiva a Panorama.it un’ampia serie di valutazioni. Non senza sorprese…

L’ex presidente della Regione Calabria e potente esponente della sinistra regionale, dopo aver ufficializzato la sua discesa in campo, non risparmia bordate ai maggiorenti del partito democratico, da Francesco Boccia, responsabile autonomie territoriali ed enti locali della segreteria nazionale («Solo un colloquio telefonico, una comunicazione burocratica, senza possibilità di esprimere valutazioni e punti di vista»), al segretario nazionale Enrico Letta: («si sarebbe dovuto esporre più direttamente e non nascondersi dietro un commissario regionale»). E ancora: «Gli avevo scritto, non mi ha mai risposto».

Tra «foreste monumentali perse per sempre» e «manovali delle fiamme», due intellettuali calabresi cercano di fare ordine tra atavici ritardi, interessi malavitosi dietro i roghi e sentimenti di rabbia emersi puntuali.

Un inferno di fuoco ha ridotto in cenere più di 11mila ettari di territorio boschivo in Calabria, oltre un terzo dei quali nella sola area dell’Aspromonte. Un’emergenza senza precedenti che ha spinto il premier in persona ad inviare a Reggio Calabria e Catanzaro il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio. Ma il fuoco, questa volta non ha ridotto in cenere soltanto una parte dell’immenso patrimonio boschivo della regione: questa volta le fiamme sono arrivate sin dentro i comuni, costringendo centinaia di impauriti cittadini ad abbandonare precipitosamente le proprie abitazioni, i propri affetti, i propri averi. Bussando alle porte delle coscienze dei calabresi, quasi a scuoterli da un inspiegabile “sonno della ragione”. Senza dimenticare le quattro vittime di questo ennesimo attacco al cuore verde della Calabria.    

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