E’ una di quelle passioni -di quegli amori, tanto per rimanere al titolo della mia rubrica- che ho forzatamente attenuato nel corso degli ultimi anni. Forzatamente non nel senso di esservi stato costretto, ma nel senso di essermene volontariamente allontanato, vista una certa impraticabilità di campo. Eppure ho iniziato giovanissimo ad occuparmi di questa “materia”, iniziando molto lontano dalla realtà in cui oggi opero, anche con gli immancabili approfondimenti accademici perché, piaccia o meno, la politica è pur sempre una scienza cui conviene avvicinarsi con un bel bagaglio culturale e tecnico.
Quando questo nuovo numero uscirà alle stampe, saranno quasi quattro mesi di separazione forzata. In alcuni ambiti si parla di “crisi d’astinenza”, in altri di “saudade”. Non voglio neanche scomodare dotte dissertazioni filosofiche sul legame che si stringe tra una persona ed un determinato ambito, ma pare che le cose stiano effettivamente così: non riusciremo mai a saldare quel debito che ognuno di noi vanta verso una determinata realtà geo-antropologica per esservi nato, per averla frequentata, per avervi legato momenti insostituibili della propria formazione umana complessiva.
Ci risiamo. Il nostro Bel Paese, tra i tanti problemi che è costretto ad affrontare giorno dopo giorno, tra le infinite emergenze da arginare, ora è nuovamente “invitato” al gran banchetto in onore di un gruppuscolo di presunti Vip. Queste tre lettere, acronimo dell’espressione inglese “Very Important Person”, sono entrate prepotentemente non solo nel nostro vocabolario “italenglish” ma -cosa ancor più allarmante- nel costume della nostra Italia.
“(…) La Calabria sarebbe potuta diventare il paese di un turismo nuovo, colto, civile, un luogo di recupero spirituale per tutta la gente estenuata dalle nevrosi, dalle intossicazioni, dagli arrampicamenti, dal consumismo e industrializzazione, che ormai fanno malata più di mezza Europa (...)”. Lo cito sempre Giuseppe Berto, che calabrese proprio non era, nelle mie sempre più numerose riflessioni su questa terra e mi è ritornato in mente assistendo ad una nuova puntata di “W l’Italia” condotto da Riccardo Iacona.
“Così vicini e così lontani da quel che siamo oggi, gli anni Settanta sono stati in Italia anni drammatici ma anche di grande trasformazione della società e del costume: dalla bomba di Piazza Fontana al rapimento e all’agonia di Aldo Moro, mai una società occidentale aveva sopportato un tale stillicidio quotidiano di attentati, di agguati a uomo, di omicidi dettati dall’odio politico. L’Italia si spaccò in due (…)”. Giampiero Mughini nel suo “Il grande disordine. I nostri indimenticabili anni Settanta” (Mondadori, 1998), riassumeva così la realtà di un Paese praticamente in guerra: e quel decennio registrò un anno consegnato drammaticamente agli annali della nostra storia civile come una sorta di picco massimo della violenza urbana.
Scrivo alla vigilia di quella che, convenzionalmente, è la giornata dedicata all’amore: San Valentino, ovvero festa degli innamorati. Tralascio un critico personalissimo commento -sinceramente mi occorrerebbe l’intero numero di questo incisivo quindicinale- e punto dritto al cuore dell’intervento. “Www non ti voglio vedere più” è il titolo di un pungente articolo comparso sull’ultimo numero di “Panorama”, secondo cui “il 14 febbraio la voglia di rompere s’impenna: niente mazzi di rose rosse, ma fredde e-mail che sul monitor di un computer informano della fine di love story;oppure, nei casi peggiori, bigliettini al veleno e pesci morti ordinati sui siti internet specializzati nelle offerte di fine rapporto”. Non c’erano dubbi, lasciarsi via internet o via sms è l’ultima trovata di gentili maschietti e simpatiche femminucce che, a corto di dialettici contenuti sostanziali, preferiscono affidare le loro ultime volontà in fatto di amore a quelle fredde linee comunicative che si sono letteralmente impadronite della nostra vita.