Francesca è nata quando il padre aveva già portato a termine in solitaria il giro del mondo in barca a vela: il suo sguardo rimanda immediatamente a quell’inconfondibile viso, la sua voce spiccatamente lombarda trasmette determinazione e forza interiore.
In questo sempre più strano Paese che si chiama Italia, ormai non fa quasi più notizia che uno scrittore o un giornalista debba vivere sotto-scorta perché con le proprie idee, tradotte in libri, possa aver dato fastidio a qualcuno o qualcosa. Questo tipo di vita -anzi, di non vita- sembrava essere appannaggio esclusivo (!) di Magistrati impegnati in prima fila a contrastare la criminalità organizzata: ma in questo caso c’è almeno l’attenuante che si tratti di soggetti-organi dello Stato chiamati a svolgere il proprio ruolo istituzionale e costituzionale.
C’è un errore di fondo che caratterizza la conoscenza del nostro Sud ed in particolare della realtà calabro-lucana: quello di considerare queste regioni, tipicamente mediterranee, esclusivamente come realtà di mare, di spiagge assolate, di temperature perennemente estive;quasi l’appendice europea delle coste del continente africano. Insomma il vecchio stereotipo che vuole il Mezzogiorno d’Italia solo mare e spiagge. Ma non è così. La lunga dorsale appenninica regala, al contrario, un territorio per buona parte montuoso e collinare, con aspetti non molto distanti dalle più note realtà alpine: insomma, la montagna ed il suo complesso sistema è scesa fino a noi per impreziosire ancor di più un paesaggio per molti versi unico, grazie a quell’incomparabile mix mare-monti, che fa del nostro territorio quasi un unicum nel più ampio e già affascinante paesaggio italiano.
Il 15 settembre del 2003, esattamente tre anni prima di quest’articolo, un autorevole intellettuale lucano mi ospitò nella sua casa di Maratea a discutere di classicità, di bellezza, di Magna Grecia. Di quell’incontro, oltre che di una amabile e cordiale conversazione e di una vista incomparabile sul versante nord del Golfo di Policastro, conservo un suo affettuoso omaggio, una di quelle pubblicazioni che tengo sempre a portata di mano nella mia biblioteca su Calabria e Lucania. “Com’è noto, la Bellezza dall’antica patria venne a Roma dal mare e Roma la restituì al mondo attraverso il mare, il Mediterraneo”.
Ne sono sempre più convinto. Mi sono bastati pochi anni di frequentazione professionale trascorsa tra aule giudiziarie, redazioni di quotidiani, lezioni accademiche per rendermi conto di uno degli atteggiamenti più pericolosi che minano le basi della nostra democrazia e -in particolare- quelle del delicato mondo dell’informazione. Non esagero quando affermo che il nostro Paese risulta affetto da una grave forma di morbosità mediatica con tutti gli attori ormai sempre più liberi da norme, regole, decaloghi, in barba a sentenze, studi, pubblicazioni scientifiche che avrebbero dovuto tutelare -in primo luogo- gli eventuali soggetti passivi di una “clamorosa notizia di cronaca”.
Il virgolettato questa volta è d’obbligo, non foss’altro che prendo a prestito il titolo di una recente ricerca di un pubblicista calabrese, esperto in pianificazione territoriale, che ha trasformato alcune recenti riflessioni in un volumetto (Rubbettino, 2005), che ha posto sotto la lente d’ingrandimento “contraddizioni, opportunità e paradossi del caso Calabria”. L’interrogativo che pongo da tempo e che ha trovato nella pubblicazione di Emilio Tarditi un’autorevole sponda, suona più o meno così: coma fa una terra come la Calabria, nella quale non manca praticamente nulla dal punto di vista turistico-ambientale e paesaggistico, ad occupare ancora una posizione di gran ritardo tra le mete prescelte in Italia ed in Europa?