“Così vicini e così lontani da quel che siamo oggi, gli anni Settanta sono stati in Italia anni drammatici ma anche di grande trasformazione della società e del costume: dalla bomba di Piazza Fontana al rapimento e all’agonia di Aldo Moro, mai una società occidentale aveva sopportato un tale stillicidio quotidiano di attentati, di agguati a uomo, di omicidi dettati dall’odio politico. L’Italia si spaccò in due (…)”. Giampiero Mughini nel suo “Il grande disordine. I nostri indimenticabili anni Settanta” (Mondadori, 1998), riassumeva così la realtà di un Paese praticamente in guerra: e quel decennio registrò un anno consegnato drammaticamente agli annali della nostra storia civile come una sorta di picco massimo della violenza urbana.
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“Nove. Perché nove? Perché questi nove?(…)Non parlo solo del grumo di conoscenze acquisite, di esperienze pregresse, di percorsi interrotti ma non cancellati che condizionano inconsapevolmente colui che si accinge ad un nuovo lavoro (…). Pensieri. Che senso dare a questo reiterato appello al pensiero?A quali ascendenze rimanda e quali motivazioni trasporta? Certamente esso percorre una direzione che non coincide con la pura ricerca storica: anche se non la esclude né le si contrappone (…). Sulla politica. Quest’oggetto è la politica. Vorrei insistere sul ruolo di oggetto assegnato alla politica. Perché? Quale necessità trattiene la politica alla misura di oggetto del pensiero. Cosa le impedisce di farsene contemporaneamente soggetto?(…)”.
Scrivo alla vigilia di quella che, convenzionalmente, è la giornata dedicata all’amore: San Valentino, ovvero festa degli innamorati. Tralascio un critico personalissimo commento -sinceramente mi occorrerebbe l’intero numero di questo incisivo quindicinale- e punto dritto al cuore dell’intervento. “Www non ti voglio vedere più” è il titolo di un pungente articolo comparso sull’ultimo numero di “Panorama”, secondo cui “il 14 febbraio la voglia di rompere s’impenna: niente mazzi di rose rosse, ma fredde e-mail che sul monitor di un computer informano della fine di love story;oppure, nei casi peggiori, bigliettini al veleno e pesci morti ordinati sui siti internet specializzati nelle offerte di fine rapporto”. Non c’erano dubbi, lasciarsi via internet o via sms è l’ultima trovata di gentili maschietti e simpatiche femminucce che, a corto di dialettici contenuti sostanziali, preferiscono affidare le loro ultime volontà in fatto di amore a quelle fredde linee comunicative che si sono letteralmente impadronite della nostra vita.
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“Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”. Con questa massima socratica, posta a guardia dei tre corposi volumi, si sono imbattute generazioni di studenti italiani e non solo che negli anni del Liceo si sono formati su uno dei manuali più diffusi ed apprezzati di storia della filosofia: Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi di Giovanni Reale e Dario Antiseri (Editrice La Scuola, Brescia) rimane un insuperato strumento didattico e di ricerca, volto alla formazione di giovani ragazzi che a sedici anni si imbattono nello studio e nell’apprendimento della filosofia con tutto il pesante carico di stimoli, interrogativi, perplessità, dubbi ed incertezze nella costruzione degli uomini di domani.
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Malaffare ed intrecci politico-mafìosi, ritardi infrastrutturali e atavica arretratezza, mentalità gretta e sudditanza psicologica, per una volta, non sono protagonisti. Il centro della narrazione, questa volta, è la Calabria magica e seducente fatta di mare e colline, di tramonti ed albe, di usanze femminili e tipi maschili: finalmente, un romanzo -interamente ambientato in Calabria- ci regala una doppia prospettiva, interiore ed esteriore, legata a paesaggi e personaggi, tutta protesa intorno ad un universo narrativo che ha conquistato i lettori della scorsa estate, contribuendo ad irradiare un’immagine diversa della Calabria, fuori dai tanti stereotipi che ne fanno la terra di un certo degrado, non solo geo-fisico.